giorgio bongiovanni e lorenzo baldo [da antimafia 2000]
Nessun commentoL'arresto di Massimo Ciancimino ha scatenato immediatamente le ire di uomini di potere, servi, ominicchi e quaquaraquà delle più svariate categorie. Un vecchio sociologo come Pino Arlacchi si è lanciato in sprovvedute quanto arroganti critiche nei confronti dei magistrati che si sono occupati di Massimo Ciancimino domandandosi il senso di continuare a investigare su una “favola mediatico-giudiziaria della trattativa Stato-mafia degli anni delle stragi di Capaci, via d’Amelio ed altre”. Dal canto loro esponenti politici come Maurizio Gasparri e Luigi Compagna hanno sentenziato che “non possono indagare su Ciancimino coloro che ne hanno fatto un oracolo”, chiedendo espressamente “una commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione dei pentiti” e minacciando di presentare un esposto contro Michele Santoro per avere ospitato il figlio di Vito Ciancimino ad Annozero. In questo stillicidio di dichiarazioni atte unicamente a preparare il terreno alla definitiva delegittimazione di un pm come Antonio Ingroia, Antonino Di Matteo e in generale nei confronti della procura di Palermo, le parole al veleno di Giuliano Ferrara spiccano su tutte. Per il direttore del Foglio Ingroia ha “la libido da convegno” e “usa il suo delicatissimo potere d'indagine e di accusa mescolando con un attivismo politico fazioso in forma incompatibile con la Costituzione e la legge della Repubblica”. Nel suo editoriale Ferrara strumentalizza le accuse di Massimo Ciancimino nei confronti di uomini delle istituzioni che sarebbero coinvolti nella “trattativa” tra Stato e mafia per dimostrare la sua tesi. E cioè che “quando un magistrato avalla una cospirazione calunniosa contro i capi del governo, i parlamentari, i generali dei carabinieri, i capi dei servizi segreti e i vicepresidenti” bisogna “tirare fuori l'articolo 289 del codice penale, 'attentato a organi costituzionali' che punisce con dieci anni di galera chi cospira contro lo Stato”. Dimissioni, quindi, sono quelle che Ferrara invoca per Antonio Ingroia, sotto la minaccia di un'ipotetica azione penale nei suoi confronti. La tanto sbandierata difesa di chi “ama la Repubblica” di cui trasuda ipocritamente l'editoriale del Giornale si scontra con le stesse ammissioni di Giuliano Ferrara pubblicate il 13 maggio del 2003 sul Foglio, sotto il titolo “Curriculum dell'Elefantino”. In quel suo excursus vitae Ferrara raccontava tra l'altro come tra la fine del 1985 e la fine del 1986 “fra i tanti lavoretti fatti” vi era anche quello di “informatore prezzolato della Cia”, aggiungendo che “in politica non è la capacità di ricatto che fa le carriere ma la disponibilità ad essere ricattati”. Una sorta di “confessione” sulla caratura etico-morale del direttore del Foglio e soprattutto un'analisi lucidissima su un sistema di potere del passato, mai così attuale.
Dietro l'attacco di Giuliano Ferrara ci sono esattamente quegli “ibridi connubi” già individuati da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino prima di venirne fagocitati. Un vero e proprio “virus” che si attiva con ogni mezzo contro tutti gli “anticorpi” che vorrebbero debellarlo. Ecco che le campagne mediatiche contro quei magistrati che attraverso le loro indagini sono giunti “nell'anticamera della verità” assumono giorno dopo giorno contorni sempre più violenti e infamanti. Giornalisti più o meno noti, più o meno venduti a questo sistema di potere divengono complici degli “avvoltoi” che si preparano alla resa dei conti. Nel mirino finiscono uomini e donne che hanno giurato fedeltà alla Costituzione Italiana. Antonio Ingroia ed alcuni suoi colleghi diventano quindi l'obiettivo da abbattere. Delegittimazione, isolamento, eliminazione morale o fisica, l'iter che si prospetta è esattamente questo. Fino al prossimo eventuale martirio.
In un saggio di Antonio Ingroia pubblicato recentemente come prefazione al libro di Maurizio Torrealta “Quarto livello” non c'è una sola parola sulle indagini in corso su Massimo Ciancimino, ma anche in questo caso i nuovi “farisei” del tempio si sono stracciati le vesti per questa pubblicazione. E' evidente che ciò che spaventa maggiormente è l'analisi lucida e dettagliata del pm palermitano sulla “ragione di Stato” che sovrasta la storia delle stragi impunite nel nostro Paese. L'analisi del magistrato affronta senza remore un “universo mafioso sempre più condizionato da quel ceto costituito da professionisti, consulenti, uomini politici, imprenditori, funzionari statali, che costituiscono l'élite della cosiddetta 'borghesia mafiosa'”. Quello stesso “universo mafioso” vede ora in pericolo la propria esistenza e si appresta perciò a sferrare attacchi ulteriormente violenti. Il lavoro scrupoloso della procura di Palermo, così come quella di Caltanissetta, su temi tanto delicati come la “trattativa” Stato-mafia e le nuove indagini sulla strage di via D'Amelio procede in un percorso a ostacoli pericolosissimo. Una classe politica collusa e corrotta spinge sull'acceleratore per realizzare lo smantellamento sistematico della Giustizia così da impedire a tutti gli effetti che si arrivi alla verità sui mandanti esterni nel biennio stragista '92/'93. In una vera e propria corsa contro il tempo se lo “scudo” della società civile saprà essere più forte e saldo di quanto non lo sia stato ultimamente magistrati come Ingroia, Di Matteo, Lari ed altri non correranno rischi e potremo arrivare alla verità; altrimenti non avremo giustificazioni di fronte a possibili nuove morti eccellenti. In quel caso gli “avvoltoi” avranno vinto. E anche i loro complici. Quindi se nuove stragi ci saranno, se nuove autobombe distruggeranno intere palazzine di Palermo, annientando persone, uomini e donne delle scorte, magistrati dal nome Ingroia, Di Matteo, Lari, Gozzo, Marino o giornalisti, sappiate che la Mafia è stata solo il braccio armato di quel mostro che pachidermi come Ferrara e premier piduisti come Berlusconi rappresentano e cioè il quarto ed il quinto potere.
{ Pubblicato il: 29.04.2011 }