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"Noi, la Associazione "Madres de Plaza de Mayo" supplichiamo, chiediamo a Dio in una immensa preghiera che si estenderà per il mondo, che non perdoni lei signor Giovanni Paolo II, che denigra la Chiesa del popolo che soffre, ed in nome dei milioni di esseri umani che muoiono e continuano a morire oggi nel mondo nelle mani dei responsabili di genocidio che lei difende e sostiene. ". Così scrisse l'Asociación Madres de Plaza de Mayo. L'amicizia tra papa Wojtyla e Pinochet coprì di vergogna l'intera Chiesa cattolica. Oltre a potentissimi pedofilim il Beato infatti legittimò dittatori assassini d'ogni specie come Pinochet e Castro. Ampia documentazione.
Pinochet e Wojtyla: il macellaio ed il suo fan
di Gianni Perreli / L'Espresso 10 dicembre 1998
A vent'anni dal golpe la legittimazione più calorosa arrivò al dittatore Augusto Pinochet dalle stanze del Vaticano. 18 febbraio 1993: la privatissima ricorrenza delle sue nozze d'oro viene allietata da due lettere autografe in spagnolo che esprimono amicizia e stima e portano in calce le firme di papa Wojtyla e del segretario di Stato Angelo Sodano.
«Al generale Augusto Pinochet Ugarte e alla sua distinta sposa, Signora Lucia Hiriarde Pinochet, in occasione delle loro nozze d'oro matrimoniali e come pegno di abbondanti grazie divine», scrive senza imbarazzo il Sommo Pontefice, «con grande piacere impartisco, così come ai loro figli e nipoti, una benedizione apostolica speciale.
Giovanni Paolo II.»
Ancor più caloroso e prodigo di apprezzamenti è il messaggio di Sodano, che era stato nunzio apostolico in Cile dal '77 all'88, e che nell'87 aveva perorato e organizzato la visita del papa a Santiago, trascurando le accese proteste dei circoli cattolici impegnati nella difesa dei diritti umani. Il cardinale scrive di aver ricevuto dal pontefice «il compito di far pervenire a Sua Eccellenza e alla sua distinta sposa l'autografo pontificio qui accluso, come espressione di particolare benevolenza». Aggiunge: «Sua Santità conserva il commosso ricordo del suo incontro con i membri della sua famiglia in occasione della sua straordinaria visita pastorale in Cile». E conclude, riaffermando al signor Generale, «l'espressione della mia più alta e distinta considerazione».
Il Vaticano non rese pubbliche queste missive così partecipi. Né lo fece Pinochet, che pure probabilmente le aveva sollecitate. Si decise di mantenerle nell'ambito della sfera privata, per timore che l'eccesso di enfasi attizzasse nuove polemiche. Ma tre mesi dopo prevalse la vanità del dittatore. I documenti furono portati alla luce dal quotidiano cileno "El Mercurio". E furono ripresi da "Témoignage Chrétien", la rivista francese dei cattolici progressisti. Provocando «reazioni di rivolta, di tristezza e di vergogna», nel ricordo delle barbare esecuzioni e delle feroci torture perpetrate dal regime di Pinochet.
Molti lettori indirizzarono al Vaticano lettere di indignazione. Un gruppo di preti-operai di Caen diede una risposta particolarmente risentita all'iniziativa del Papa e di Sodano. Opponendo al commosso ricordo di Wojtyla «l'emozione davanti alla morte del presidente Allende e di molti suoi collaboratori; davanti alla retata e al parcheggio dei sospetti nello stadio di Santiago; davanti alle dita amputate del cantante Victor Jara per impedirgli di intonare sulla sua chitarra gli accordi della libertà; davanti alle sparizioni, alle carcerazioni, alle torture».
E la Fraternità e la Comunità Francescana di Béziert espressero la loro costernazione in modo lapidario: «Durante il potere di Pinochet Gesù Cristo era crocifisso ancora». Sentimenti di ripulsa che in Francia si sono riaffacciati dopo l'arresto a Londra del dittatore. E che subito dopo il recente incontro in Vaticano fra il cardinal Sodano e il sottosegretario cileno agli Esteri Mariano Fernandez, visto come un tentativo di attivare il Vaticano in soccorso di Pinochet, hanno riproposto gli inquietanti interrogativi che accompagnarono la rivelazione dei messaggi di auguri. Nel '93, Pinochet non era più il capo dello Stato, ma solo il comandante delle Forze Armate. E Sodano era tornato già da cinque anni in Italia dove aveva preso il posto di Agostino Casaroli al vertice della diplomazia pontificia. Che ragione c'era di elargire al dittatore riconoscimenti così entusiastici, coinvolgendo anche il papa in prima persona, per una ricorrenza non così straordinaria che avrebbe al massimo meritato un asciutto telegramma di felicitazioni? La risposta, a sentire i cattolici cileni che lavoravano a Santiago per la Vicaria de la Solidaridad, un organo della curia che per sedici anni - dal '76 al '92 - si è battuto contro le atrocità della dittatura, è nel feeling che, nonostante le tensioni provocate dalle denunce dei sacerdoti socialmente più impegnati e dagli episodi di cronaca più scabrosi, si era instaurato fra Sodano e Pinochet.
Nel conflitto fra ragion di Stato e difesa dei diritti umani, pur senza plateali favoreggiamenti, il nunzio apostolico avrebbe privilegiato il dialogo con il regime, assecondando l'ipocrita transizione che provoca ancor oggi nel Cile tante lacerazioni. Negli inevitabili scontri con Pinochet, Sodano avrebbe badato a difendere l'istituzione Chiesa più che l'incolumità delle vittime perseguitate dalla dittatura. Certo, erano tempi tremendi. Ed è probabile che l'approccio sfumato dell'ambasciatore di Wojtyla sia servito a prevenire una repressione ancor più spietata. È meno comprensibile che, come dimostra l'estrema cordialità dei messaggi augurali per le nozze d'oro, a distanza di pochi anni il Vaticano abbia rimosso le pagine più tragiche della storia cilena e si sia profuso in attestati di stima verso il carnefice. La lunga permanenza di Sodano a Santiago è coincisa con un processo di spaccatura all'interno della Chiesa cilena. Da un lato le frange più conservatrici del mondo cattolico facevano quadrato intorno alla dittatura in nome dell'anticomunismo. Dall'altro gli ambienti più aperti trasformavano la Vicaria de la Solidaridad nel vero simbolo dell'antipotere.
Una divisione che nelle concitate reazioni all'arresto del generale affiora ancor oggi. Oltre la metà dei cattolici cileni teme che la soluzione di processare Pinochet in patria, per la quale si sta affannando il governo Frei, potrebbe rivelarsi una beffa alla giustizia. In Cile né la magistratura militare né quella penale (che anche dopo il ritorno della democrazia si è ben guardata dall'aprire processi alla dittatura) garantirebbero imparzialità di giudizio. E si scatenerebbe una nuova ondata di disordini. Solo un pubblico pentimento di Pinochet - ipotesi considerata inverosimile - introdurrebbe una nota di distensione, scongiurando il rischio che i mai sopiti rancori sfocino inaltrettanti regolamenti di conti. Da circa sette anni la Vicaria de la Solidaridad, che già dopo il referendum da cui uscì sconfitto Pinochet nell'88 aveva perso la funzione primaria, si è trasformata in un centro documentazione.
Attraverso i suoi archivi è possibile ricostruire nei dettagli i controversi rapporti fra una Chiesa di ispirazione progressista e il generale che si richiamava anche ai principi della fede cattolica per giustificare la sua azione disterminio. Già negli anni Venti la forza della Dc cilena si sviluppa intorno alle attività umanitarie dei sacerdoti che si schierano al fianco dei poveri e lottano contro il latifondo premendo per la distribuzione della terra ai contadini. Una sensibilità immune dagli estremismi della teologia della liberazione, che nel '70 non ostacola l'ascesa al governo del socialista Salvador Allende. In quel periodo, l'arcivescovo di Santiago Raúl Silva Henriquez, cardinale dal '61, accoglie con benevolenza Fidel Castro che prolunga una visita di Stato in Cile per 25 giorni, e al momento del congedo gli regala una Bibbia.
Dopo il colpo di stato militare (11 settembre '73), accolto con moderato sollievo anche dalla Dc nonostante il suicidio di Allende, Henriquez prende le distanze dal regime. E il 18 settembre, una settimana dopo il golpe, in occasione della festa nazionale, impartisce una prima umiliazione a Pinochet rifiutandosi di celebrare come ogni anno il Te deum davanti alle autorità dello Stato nella cattedrale, e allestendo la cerimonia in una chiesa meno rappresentativa. Fonda poi l'8 ottobre, insieme ai responsabili delle altre fedi religiose, un Comitato nazionale per la pace che si scaglia contro le malefatte del regime. Agli attacchi della stampa e alleminacce dei golpisti, il cardinale risponde alzando il tiro. E a Paolo VI, che disgustato dal clima di terrore gli offre sostegno, risponde che pensa di potercela fare da solo. Se il generale non allenterà la presa, potrebbe incorrere in una scomunica. Ma Pinochet stringe sempre più il Cile nella sua morsa. Si allentano le resistenze, si sfalda anche il fronte religioso. Nel '75 è Henriquez che chiede aiuto a Paolo VI. Che stavolta si dichiara impotente. La guerra fredda ha procurato qualche consenso internazionale a Pinochet. Qualche mese più tardi è il tiranno a tentare un'apertura.
Dopo l'uccisione di uno dei leader dell'ultrasinistra, un gruppo di marxisti si rifugia nella Nunziatura. E allora Pinochet decide di scrivere al cardinale: questo è un governo cattolico che vorrebbe buone relazioni con la Chiesa. Con lei personalmente non ci sono problemi. Il problema è il Comitato. Il cardinale intuisce che dietro le formalità si cela un ordine. Il generale non tollera più intralci. E il cardinale finge di obbedire, senza abdicare ai principi. Scompare il Comitato e al suo posto, come emanazione della sola curia cattolica, nasce agli inizi del '76 la Vicaria de la Solidaridad. Un rifugio per le vittime del regime a cui vengono assicurati patrocinio legale e assistenza medica. In aperta sfida a Pinochet, pochi mesi dopo l'arrivo di Sodano a Santiago, Henriquez proclama il '78 anno dei diritti umani in Cile. E indice un convegno internazionale sulla materia. Sodano si defila. E quando arriva un messaggio augurale del papa, minimizza attribuendolo al cardinale di Stato Jean Villot. I rapporti fra la curia e la chiesa si fanno particolarmente aspri nell'83, decennale del golpe. Henriquez si spinge a definire inumano il programma economico varato da Pinochet che applicando le teorie monetariste dei Chicago's boys ha rimesso in ordine i conti dello Stato sacrificando però i programmi di assistenza sociale per le classi meno abbienti. E la giunta militare sbatte in carcere i tre sacerdoti stranieri che più avevano alzato la voce nelle proteste. Sodano chiede la loro liberazione. E i tre vengono espulsi.Per evitare fratture più traumatiche, papa Wojtyla, tramite Sodano, invita i militari a cercare risposte positive alle condizioni e alle situazioni di violenza. Pinochet, in cerca di legittimazioni, si dichiara in sintonia con le aspettative del pontefice: il governo cileno è impegnato nella creazione di un sistema democratico di ispirazione occidentale e cristiana; il messaggio di Sua Santità è uno strumento prezioso per la realizzazione di questi obiettivi. Ma appena sorge qualche contrasto con la curia di Santiago, si affretta a inviare a Roma Sergio Rillon, il funzionario governativo per le relazioni con il Vaticano, che non manca mai di sottolineare l'irritazione del generale.
L'anagrafe dà intanto una mano a Pinochet. Per limiti d'età va in pensione il cardinale Henriquez. E a sostituirlo viene chiamato Juan Francisco Fresno, un arcivescovo più in sintonia con Sodano, che non si sottrarrà agli scontri con la dittatura ma li condurrà in modo meno battagliero. L'84 per Sodano è un anno vissuto pericolosamente. A Santiago, nella parrocchia di San Francesco si invoca la punizione divina contro i torturatori di Stato. Colti di sorpresa, i militari dichiarano guerra alle frange sovversive della Chiesa. E consegnano a Sodano un dossier da inoltrare in Vaticano, in cui si proclamano salvatori della patria. Scoppia poi la grana dei terroristi del Mir, presunti killer del sindaco di Santiago Carlos Urzia, che attraverso i locali dell'ambasciata francese trovano rifugio negli uffici della Nunziatura. È una brutta rogna per Sodano. Anche se il Vaticano non ha firmato la convenzione sull'asilo politico, ragioni umanitarie sconsigliano la consegna dei ribelli a un governo che non dà alcuna garanzia sulla regolarità di un processo. Sodano chiede che ai quattro venga rilasciato un salvacondotto. I militari si irrigidiscono. E l'ira dell'ammiraglio José Toribio Merino Castro si scaglia verso l'obiettivo massimo: il papa, infallibile nelle cose divine, fallibile in quelle umane. È una mancanza di cortesia, è la prudente replica di Sodano che sulla sostanza però tiene duro e chiede per la prima volta aiuto legale agli avvocati della Vicaria, istituzione che ha sempre percepito pericolosamente estranea alla sua linea diplomatica. Snobbava spesso le sue ricorrenze, alle quali interveniva l'intero corpo diplomatico. E secondo i racconti che circolavano nelle comunità ecclesiali, avrebbe dissuaso un cattolico torturato dal sollecitare l'intervento della Vicaria. Nel braccio di ferro stavolta è Pinochet a cedere. Dopo circa tre mesi di battaglie legali, i quattro guerriglieri del Mir ottengono il salvacondotto e salgono su un aereo diretto in Ecuador. Ma per Sodano le insidie non sono finite. Il sacerdote francese Pierre Dubois, parroco de La Victoria (quartiere proletario della capitale), e Carlos Camus, vescovo di Linares, creano nuovi attriti col regime, lanciando anatemi dai pulpiti.
Nel 1985 Sodano lancia appelli (ascoltati) per la liberazione dell'attivista dell'opposizione Carmen Hales, sequestrata e picchiata da gruppi di estrema destra. Ed entra in rotta di collisione col governo per gli editoriali anti-Pinochet della rivista cattolica "Mensaje". Ma dopo il fallito attentato a Pinochet nell'86, Sodano elabora una strategia della distensione che culmina con la visita del Papa a Santiago. Ai fedeli che esprimono indignazione, il nunzio assicura che si tratta di una missione esclusivamente pastorale. Ma anche se Wojtyla incontra esponenti dell'opposizione, il clou del viaggio è l'apparizione sul balcone presidenziale del pontefice al fianco del dittatore. La Vicaria viene invece appena sfiorata. Il Papa saluta i suoi dirigenti nel cortile antistante, senza mettere piede nei locali. Sodano lascia Santiago nel giugno '88. E nell'accomiatarsi si dice preoccupato per «l'attuale situazione del paese, perché vedo che non vi è un profondo rispetto degli uni per gli altri.» Cinque anni dopo, a freddo, il segno del suo rispetto lo riserverà al dittatore.
Il 19 febbraio 1999, in attesa della sentenza della Camera dei Lords sul "caso Pinochet", la Segreteria di Stato vaticana, tramite il Card. Sodano, interviene presso il Governo di Londra, invocando ragioni umanitarie per sostenere che l'ex-dittatore cileno non debba essere estradato in Spagna ma rinviato in Cile. Qualche giorno dopo le Madres de Plaza de Mayo scrivono indignate al papa. Riportiamo sotto l'originale e la sua traduzione del loro comunicato. RnS
Buenos Aires, 23 de febrero de 1999
Buenos Aires 23 febbraio 1999
Señor Juan Pablo II°
Varios días nos costó asimilar el pedido de perdón que Usted Señor Juan Pablo reclamó para el genocida Pinochet.
Nos dirigimos a Usted como a un ciudadano común porque nos parece aberrante que desde su sillón de Papa en el vaticano, sin conocer ni haber sufrido en su cuerpo la Picana, las mutilaciones, la violación, se anime en nombre de Jesucristo a pedir clemencia para el asesino.
Jesus fué crucificado y sus carnes fueron laceradas por los judas que como Usted hoy defiende asesinos.
Molti giorni abbiamo impiegato per assimilare la richiesta di perdono che Lei, Giovanni Paolo II, ha reclamato per il genocida Pinochet.Ci rivolgiamo a lei come ad un cittadino comune perché ci sembra aberrante che dalla sua poltrona di papa nel Vaticano, senza conoscere né aver sofferto in carne propria il pungolo elettrico (picana), le mutilazioni, lo stupro, si animi in nome di Gesù Cristo a chiedere clemenza per l'assassino.
Gesù fu crocifisso e le sue carni furono straziate dai giuda che come lei oggi difende un assassino.
Señor Juan Pablo, ninguna madre del tercer mundo que dio a luz un hijo que amó, amantó y cuidó con amor y que después fué mutilado por la dictadura de Pinochet, Videla, Banzer, Stroesner van a aceptar resignadamente su pedido de clemencia.Nosotras lo entrevistamos a Usted en tres oportunidades, pero Usted no impidió la masacre, no alzó su voz por nuestros miles de hijos en aquellos años de horror.Ahora no nos queda dudas de que lado está Usted, pero sepa que aunque su poder sea inmenso no va a llegar hasta Dios, hasta Jesús.Nuestros hijos, muchos de ellos se inspiraron en Jesucristo, en la entrega al pueblo.
Signor Giovanni Paolo, nessuna madre del terzo mondo che ha dato alla luce un figlio che ha amato, coperto e curato con amore e che poi è stato mutilato e ucciso dalla dittatura di Pinochet, di Videla, di Banzer o di Stroessner accetterà rassegnatamente la sua richiesta di clemenza.Noi la incontrammo in tre occasioni, però lei non ha impedito il massacro, non ha alzato la sua voce per le nostre migliaia di figli in quegli anni di orrore.Adesso non ci rimangono dubbi da che parte lei stia, però sappia che sebbene il suo potere sia immenso non arriva fino a Dio, fino a Gesù.Molti dei nostri figli si ispirarono a Gesù Cristo, nel donarsi al popolo.
Nosotras, la Asociación Madres de Plaza de Mayo le rogamos, le pedimos a Dios en un rezo inmenso que se extendrá por el mundo, que no lo perdone a Usted Señor Juan Pablo, que denigra a la Iglesia del pueblo que sufre, y en nombre de millones de seres humanos que mueren y siguen muriendo hoy en el mundo en manos de los genocidas que Usted defiende y sostiene.
Decimos: NO LO PERDONE SEÑOR A JUAN PABLO II°
Noi, la Associazione "Madres de Plaza de Mayo" supplichiamo, chiediamo a Dio in una immensa preghiera che si estenderà per il mondo, che non perdoni lei signor Giovanni Paolo II, che denigra la Chiesa del popolo che soffre, ed in nome dei milioni di esseri umani che muoiono e continuano a morire oggi nel mondo nelle mani dei responsabili di genocidio che lei difende e sostiene.
Diciamo: NO LO PERDONE SEÑOR A JUAN PABLO II°.
Asociación Madres de Plaza de Mayo Associazione Madri di Plaza de Mayo
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Wojtyla e Castro:
il papa e il vecchio comunista
di MARCO POLITI
Il gesto che sancisce la stretta di mano fra Karol e Fidel è l'annuncio della visita papale a Cuba nel 1997. L'aver già deciso il periodo è segno speciale. "Spero di vederla presto all'Avana", ha esclamato Castro al termine dell'incontro. "La mia benedizione al popolo cubano", ha risposto fiducioso Giovanni Paolo II.
L'udienza è stata corposa. Per più di mezz'ora Karol e Fidel si sono parlati a quattr'occhi. "Buenos dias", ha esordito
il leader cubano. Seduti alla piccola scrivania papale, guarnita di un servizio da scrittoio in cuoio un po' demodé, senza interpreti ed assistenti, i due hanno discusso un po' di tutto. Di embargo e di pluralismo, di evoluzione del sistema e di pace, del ruolo dei cattolici e della posizione di Cuba nel mondo. Sin dal primo momento, quando i vecchi leader - quello nella veste bianca e quello nell'abito blu con cui camuffa appena la leggendaria divisa oliva - si sono stretti la mano, i monsignori vaticani e i diplomatici cubani hanno avvertito una corrente di simpatia fra i due.
Fidel, che era arrivato in Vaticano in un corteo imponente di quindici macchine fra cui spiccavano una Mercedes zeppa di armati e un gippone con un uomo dei Nocs che spuntava dal tetto con il fucile mitragliatore, era francamente emozionato. Dall'attimo in cui era stato accolto nel cortile di san Damaso dalle guardie svizzere con i pennacchi rossi, gli era sembrato di vivere in un libro di storia. Ha attraversato meravigliato le splendide logge raffaellesche, con il viso grave ma gli occhi che curiosavano vivaci. Respirando l'atmosfera carica di storia. Nella Saletta del Trono - in un gesto di cortesia - lo aspettava il pontefice prima di introdurlo nella sua biblioteca privata. "E' per me un grande onore, Santità", ha esclamato il presidente cubano. "Benvenuto, grazie della sua visita", ha replicato Giovanni Paolo II.
Stralcio da "la Repubblica"
(20 novembre 1996)
{ Pubblicato il: 29.04.2011 }