intervista con munib younan* a cura di gian mario gillio
Nessun commento*Munib Younan è presidente della Federazione luterana mondiale
Il 26 Il 26 aprile scorso una delegazione interreligiosa organizzata dalla rivista Confronti si è recata in Israele e nei Territori palestinesi per consolidare le relazioni esistenti con gruppi, associazioni e chiese che, da una parte e dall’altra, lavorano per la pace e il dialogo. Un cammino di ascolto e intercessione che si è concluso il primo maggio. Ha aderito anche la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) con la sua vicepresidente, la pastora Letizia Tomassone. In tale occasione abbiamo incontrato Munib Younan, presidente della Federazione luterana mondiale (FLM) e della Chiesa evangelica luterana in Giordania e Terra Santa, al quale abbiamo rivolto alcune domande.
Presidente Younan, come vede la situazione politica e religiosa attuale nel mondo arabo alla luce degli ultimi fatti avvenuti nel Maghreb?
Quello che vive oggi il mondo arabo è un momento davvero particolare e a mio avviso nasce da un conflitto di carattere generazionale. Molti giovani stanno lottando per la propria libertà e per i propri diritti. L’unico modo che hanno per ottenerli è quello di contrapporsi alle generazioni precedenti e scendere in piazza per destabilizzare quel monopolio politico che si riteneva fino ad oggi l’unico possibile. Come Federazione luterana mondiale vediamo con favore le mobilitazioni per le libertà e i diritti di questi paesi. Tuttavia auspichiamo che queste riforme, se saranno conquistate, possano essere davvero garanti per diritti di tutti gli esseri umani, a tutela dei diritti di genere dando al ruolo della donna nella società araba la giusta rilevanza, e infine, ma non ultimo, a tutela delle libertà di culto e di espressione per tutte le religioni che convivono e condividono quelle terre da secoli. Se non si riuscirà ad ottenere questo, intravedo un serio rischio: quello che la rivoluzione in atto possa innescare nuove tensioni e rafforzare estremismi e integralismi già visibili in alcune zone.
Ci può informare anche sulla situazione che vive da vicino, ossia quella religiosa e politica in Israele e nei Territori palestinesi alla luce anche dell'accordo in tra Hamas e Al Fatah?
Posso dirle che ho appreso con estremo piacere la notizia giunta in questi giorni relativa all’accordo siglato tra il partito di Hamas e quello di Al Fatah. Non possiamo tuttavia parlare di una vera e propria riconciliazione ma di un incontro tra le parti. Tuttavia è un avvicinamento significativo e lo sarà ancora di più quando verranno formulate richieste al governo israeliano. Un avvicinamento che può finalmente indebolire le solite voci che ritengono impossibile un dialogo con i palestinesi a causa della frammentazione della leadership politica. L’autorità palestinese molto probabilmente dichiarerà la propria indipendenza il prossimo settembre. Anche nel caso in cui l’Unione europea dovesse riconoscere tale indipendenza, prevedo l’arrivo di nuovi problemi. Potrebbero crearsi nuovi interrogativi e divisioni a livello internazionale. Dal 1987 ad oggi abbiamo assistito al susseguirsi, in tempi diversi, di tredici iniziative come quella prevista per settembre, ma nulla è mai cambiato. Ci conforta, malgrado la dovuta cautela, vedere che c’è anche una parte della società civile israeliana che guarda positivamente alla nuova situazione che si potrebbe delineare. Inoltre un gruppo di ex politici e capi della sicurezza hanno congiuntamente firmato un documento che riconosce le iniziative arabe. Si è inoltre parlato di ritornare ai confini definiti nel 1967, come ha fatto il partito laburista del ministro Herzog.
Una questione spinosa certamente riguarda la città di Gerusalemme. Quanti sono i cristiani presenti oggi all’interno e fuori le mura della Città Vecchia?
A Gerusalemme le condizioni sono spesso molto difficili per i cristiani. Per fare un esempio la scorsa settimana, la Settimana Santa, a molti leader cristiani non è stato consentito di passare attraverso la porta di Jaffa per entrare nelle loro chiese, ed io ero uno di loro. Mentre percorrevamo la città con le nostre processioni siamo stati intercettati da alcuni coloni che, alla vista delle nostre croci, hanno iniziato a rivolgerci alcune provocazioni, alle quali ovviamente non abbiamo voluto rispondere. Gerusalemme, ne sono convinto, non può essere la casa per una sola religione e una sola nazione. Gerusalemme dev’essere la casa per le tre religioni che ne rivendicano l'appartenenza: l’islam, l’ebraismo e il cristianesimo. E ritengo debba essere la casa anche per due Stati: la Palestina e Israele. Senza anche uno solo di questi cinque elementi non potrà mai esservi pace in questo luogo. Inoltre i diritti dei cristiani devono essere assicurati. Anche se noi contiamo solamente il 2% dell'intera popolazione, i nostri diritti devono essere comunque garantiti.
A livello mondiale il Consiglio ecumenico delle chiese sta organizzando una convocazione ecumenica sulla pace a Kingston proprio questo mese. Come sono coinvolte le chiese nei Territori palestinesi e in Israele. Invierete una vostra delegazione per tale occasione?
Ho scritto proprio su questo tema un documento che sarà letto in tale occasione e la nostra comunità ha già individuato un delegato. Noi dobbiamo dire chiaramente quali sono i problemi reali e concreti e ribadire con forza che non può esservi pace senza giustizia! Siamo consapevoli che non ci può essere una giustizia assoluta ma siamo convinti che si può pretendere una giustizia razionale. La giustizia è tale se permette ad ogni singolo individuo di vivere naturalmente la propria dignità. Allo stesso modo ogni individuo deve rispettare e non prevaricare il suo prossimo.
{ Pubblicato il: 05.05.2011 }