stefano pietrosanti
Nessun commentoentiamo che ci dice Massimiliano Lanzidei, candidato alle amministrative nella città di Latina nella lista di Futuro e Libertà, che dà una sua personale testimonianza dell’esperimento che li vede protagonisti.
Cominciamo dal concetto di “fasciocomunismo”, come ha preso corpo?
-Ovviamente parte dalla metafora poetica di Antonio Pennacchi, ma a livello politico prende corpo nell’ambito dell’Anonima Scrittori, quando abbiamo cominciato a lavorare al premio [R]esistenze, che organizziamo ogni anno per celebrare il 25 Aprile dando visibilità a brevi racconti che trattino il concetto di resistenza raccontato nella vita quotidiana; alla seconda edizione, decidemmo di invitare Luciano Lanna a far parte della giuria e lui accettò, con sconcerto di molti, quello forse è stato il primo passo della nostra provocazione. Diciamo che, fuori dalla metafora, si è trattato di far reagire le componenti estreme, spesso a margine dell’ordinamento, con un concetto che per l’ordinamento è fondamentale, vedendo cosa ne scaturiva.
Dopo qualche anno è nato Fli, non che ci sia una relazione, ma adesso tutto questo sembra essere divenuto più concreto: molti di noi hanno deciso di supportare questa candidatura alle comunali, sia che si venisse da un retroterra di destra che di estrema sinistra come il mio –la mia vita politica è iniziata fondamentalmente nella facoltà di sociologia di Roma degli anni novanta, per continuare in Rifondazione -, e in genere abbiamo voluto calarci nella realtà civile, così non abbiamo potuto fare a meno di trovarci davanti Berlusconi e tutto ciò che rappresenta, se non come causa del male italiano, sicuramente come incarnazione da contrastare.
La città di Latina, il luogo, che ruolo ha?
-Per noi, comunque vada il risultato delle consultazioni, è la storia del recupero di una patria. Un po’ tutti coloro che frequentano e hanno frequentato il gruppo dell’Anonima – e, mi piace pensare, non solo loro – leggendo “Palude” di Pennacchi si sono accorti che anche questa città poteva essere luogo di romanzo, che c’era un qualcosa da raccontare se si era disposti a confrontarsi con serietà intellettuale con la sua nascita: abbiamo dovuto guardare in faccia la fondazione per opera del regime, con tutto ciò che di violento era sottointeso, capendo però anche il dovere di recuperare la purezza e la bellezza di un fatto che rimane per nulla comune in Europa, ossia la recente fondazione di una città.
Ci puoi raccontare come è nata precisamente la lista?
-In genere a livello nazionale l’idea è stata spinta molto dalla componente più “eretica” di Fli, che ha chiesto esplicitamente la candidatura di Pennacchi, ma dietro questo l’intenzione da parte nostra c’era almeno dal commissariamento del comune; quando Pennacchi ha detto di non volersi candidare personalmente e ha comunicato l’intenzione di appoggiare direttamene il candidato del centro-sinistra, sembrava che non si sarebbe fatto più nulla, all’ultimo momento si è trovato però l’accordo sul presentare una nostra candidatura al primo turno, per poi appoggiare, in caso di ballottaggio, il candidato del PD.
Una lista che raccoglie uno scrittore e un medievista affermati, parte da un collettivo di scrittori e si raccoglie attorno a una strana crasi politica. Sembra una versione distorta del Partito d’Azione…
-Effettivamente c’è un che di buffo, ma il parallelo non mi pare inconsistente. Non so pesarlo sul momento, posso dire che sicuramente il nostro è un partito dell’azione, nel senso però dell’azione ragionata, quella che parte da una visione della realtà e dal tentativo di agire di conseguenza in modo coerente; sono convinto che la realtà sia abbastanza cambiata da costringerci a nuove letture.
Con la metafora con cui a volte vi indicate sembrate tenere a marcare una distanza dal liberalismo, perché?
-Personalmente non amo il determinismo naturalista con cui spesso un certo liberalismo pare presentare il sistema dei rapporti sociali; io credo che ogni sistema sociale sia un gioco di identità, una scelta, passarlo per risultato naturale lascia sempre un non detto che è a favore del gruppo già favorito in quel determinato sistema sociale. Almeno, quando il liberalismo vuol dire questo, io mi sento distante.
Spesso scrivete e parlate contro la distinzione destra/sinistra, ma ti propongo una mia riflessione: ma non ti pare che il discrimine – per leggere la questione con Bobbio – tra chi vede alla radice gli uomini uguali o disuguali rimanga fondamentale?
-Sono freddo davanti ai binomi destra/sinistra per come vengono usati nella politica attuale: siamo in un momento di crisi così grave che diviene autolesionistico erigere degli steccati rigidi, oltretutto in una realtà che subisce modificazioni velocissime; in ogni caso mi pare però che la distinzione di Bobbio rimanga assolutamente fondante e utile a leggere la realtà. Anzi, sono convinto che servano assieme a questa nuove distinzioni, un aumento delle distinzioni e non una riduzione ulteriore, per ricostruire un quadro ideologico di comprensione della realtà; penso però che questa ricostruzione possa essere fatta solo tramite l’attività politica, tramite i problemi che nascono con l’azione.
{ Pubblicato il: 13.05.2011 }