giovanni vetritto
1 commentoLa risposta è stata alquanto limitativa: i temi “eticamente sensibili” non devono essere oggetto dell’agenda di governo ma delle iniziative del parlamento, dove le sensibilità individuali devono essere libere di scegliere secondo coscienza.
Si tratta di una risposta che non convince per due profili ben precisi.
In primo luogo, perché i temi “eticamente sensibili” hanno grande importanza nella vita degli individui, i quali devono poter dare una precisa delega politica nel momento in cui si sa che il parlamento è in procinto di deliberare su argomenti che qualificano la civiltà di un paese, dalla contraccezione al fine vita, dall’interruzione volontaria di gravidanza alla procreazione assistita.
Nel momento in cui ci si candida alla guida di un Paese, per di più con una legge elettorale che dà pieno mandato di “nominare” parlamentari chi si vuole (con le rispettive personalissime convinzioni etiche), occorre assumersi la responsabilità di dire con chiarezza ai potenziali elettori come voterà la propria deputazione parlamentare su temi di questa rilevanza nella quotidianità dei cittadini.
Ma vi è una seconda ragione ben più rilevante che rende la risposta discutibile.
I laici, in politica, sono tali su tutti i temi, non solo su quelli “eticamente sensibili”. Vi è uno specifico della cultura del riformismo laico, che va ben oltre questi temi e che caratterizza tutto uno strumentario politico, istituzionale e di cultura politica ben altrimenti ricco e rilevante.
Chi scrive lo ricordava pochi giorni addietro su questo stesso sito (“Per un riscossa del riformismo borghese”).
Il laico non è solo un uomo che ha precise convinzioni etiche (che peraltro rifiuta di imporre a chicchessia, sostenendo un sistema di regole che consentono la libera scelta individuale); è, su tutti i temi del vivere civile, un pragmatico, un positivista che non sogna paradisi in terra, ma persegue, per tentativi ed errori, un miglioramento costante delle politiche attraverso cambiamenti incrementali. In un Paese, come l’Italia, segnato dal prevalere delle retoriche astratte, così ben delineate da Bobbio come nostra vera “ideologia del ‘900”, essere laici vuol dire avere una cultura delle riforme e non delle rivoluzioni, dei contenuti e non degli slogan, delle regole e non dei dogmi.
Il laico ha della democrazia un’idea magari prosaica ma realistica; un’aspirazione a farla funzionare nel concreto delle sue dinamiche senza mitizzare il principio di maggioranza, ma piuttosto valorizzando il principio del dibattito pubblico, del “governo del potere pubblico in pubblico” (ancora con Bobbio). Per questo prende sul serio le regole e lavora per farle rispettare o cambiarle, mai per aggirarle o accomodarle ai propri interessi; e rifugge qualunque demagogia.
In economia, il laico persegue pragmaticamente compromessi sempre diversi tra dinamismo produttivo e sicurezza sociale, tra valorizzazione del talento ed eguaglianza delle chance di vita, lavora per costruire un sistema che offra a tutti e a ciascuno la possibilità di liberarsi dal bisogno, senza illudersi che esista una “mano invisibile” capace di sostituire la fatica di “coltivare il proprio giardino”, secondo l’antico ammonimento del Candido di Voltaire.
Nei rapporti tra potere politico e società civile il laico non ha chiese, né corporazioni, né logge, né gruppi da assecondare; sta con le regole, con il valore del dinamismo collettivo, con l’affermazione dei nuovi attori sociali; sostiene dinamiche concorrenziali, laddove altre culture politiche portano avanti più o meno confessati organicismi predatori; valorizza il conflitto “ragionevole”, nei termini di Sen, come modo di giungere a innovazioni sociali più avanzate, laddove altre culture praticano il compromesso al ribasso come modo per creare una fittizia pace sociale che incancrenisce i problemi.
Nei confronti delle istituzioni, il laico ha meditato e fatto proprio il Machiavelli migliore, quello dei “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio”, e per questo sa che “è necessario a chi dispone una republica, ed ordina leggi in quella, presupporre tutti gli uomini rei”; e quindi intende porre limiti al potere, fosse anche il proprio; sa e vuole costruire istituzioni tanto costituzionali che amministrative rispettose del principio di autonomia della società e degli individui dallo Stato e di quello di tutela delle minoranze.
Insomma, su tutti i piani, i laici servono in politica, proprio in quanto tali e su tutti i temi. Quei laici i cui “maggiori”, dall’Unità a Tangentopoli, hanno costituito il sale della politica italiana, magari da posizioni di minoranza, in tutte le diverse stagioni, fino agli anni ’80, per poi sparire, inghiottiti dalla demagogia montante (ma fors’anche asfissiati dall’inadeguatezza delle priorie organizzazioni politiche rimaste in campo).
I laici servono potenzialmente come ala sinistra dinamica a una coalizione centrista, che rischia altrimenti di impantanarsi nel conservatorismo; lo sapeva bene Giovanni Giolitti, che volle sempre alla sua sinistra un Nitti; lo sapeva altrettanto bene Alcide De Gasperi, tanto spesso citato dagli attuali moderati italiani, che non ne ricordano però la ferrea alleanza con uomini del positivismo laico come Luigi Einaudi e Ugo La Malfa, e, tutto al contrario, si affannano ad emarginare e zittire qualsiasi politica laica.
Ma servono anche potenzialmente come ala destra a una coalizione progressista, che rischia altrimenti di perdersi in un massimalismo generoso quanto antistorico e inconcludente. Può offrirle un appiglio razionale e pragmatico alle riforme, che può costituire il vincolo di razionalità per riportare l’aspirazione al progresso sui binari del possibile.
Non è, dunque, solo sui temi “eticamente sensibili” che si è laici; e non è solo per dare ai cittadini rappresentanza su questi stessi temi che è urgente ridare voce alle tradizioni del riformismo laico, ormai soppresse da due decenni nel dibattito pubblico del nostro Paese.
Nel già menzionato precedente intervento su questo tema, chi scrive ha parlato di un riformismo “borghese” da portare alla riscossa, dopo la lunga rimozione della cultura laica negli anni nefasti della cosiddetta Seconda Repubblica. Ed ha ricevuto qualche garbata critica per aver usato questa connotazione sociale; critica forse fondata, poiché l’aggettivo è stato a volte usato come sinonimo di “moderato” o “perbenista”, a volte perfino di odiosamente “classista”.
Chi scrive si ostina a usare invece l’aggettivo come puramente descrittivo dell’uomo del borgo, intraprendente, fattivo, autonomo, che è stato protagonista dell’affrancamento della società dai poteri assoluti del Medioevo ed è poi stato, nella storia, dalla parte dell’innovazione e del dinamismo sociale, ma anche della progressiva emancipazione degli ultimi; e ritiene quello stesso aggettivo descrittivo, oggi, di quelle ampie fasce della società che si riconoscono nei valori laici.
Si usi, dunque, il vocabolario meno equivoco: borghese o laico, se si preferisce, il riformismo democratico, critico, positivista, individualista ma non egoistico, welfarista ma non assistenzialista, keynesiano e problemista, costituzionale e per lo Stato di diritto, innovatore e anticorporativo, umanista e colto deve tornare a rappresentarsi autonomamente in politica.
Le rappresentazioni distorte dei laici nel dibattito pubblico, come quelle sopra descritte, ne rendono sempre più urgente un rinnovato protagonismo, a partire dalle molte associazioni, fondazioni, istituzioni culturali, riviste, liste civiche che hanno tenuto il testimone durante questa lunghissima traversata nel deserto di una ventennale malapolitica.
Chi scrive, e la Fondazione Critica liberale, propongono che questo avvenga, come nel precedente intervento si sosteneva, con la convocazione di veri e propri “Stati generali della cultura laica”. Alcune prime reazioni positive lasciano intendere che un simile evento, pur nella ristrettezza dei tempi, sia possibile già prima dell’imminente appuntamento elettorale, per proporre le urgenze di un’agenda del riformismo laico alla politica nella prossima legislatura.
Nella confusione delle lingue di un dibattito pubblico avvelenato, occorre assumersi la responsabilità di un simile appuntamento senza più alcun indugio.
{ Pubblicato il: 04.01.2013 }