elisa ferrero
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Piazza Tahrir è tornata a riempirsi di gente, attratta da due grandi motivazioni: riaffermare l'unità nazionale dopo gli scontri religiosi di Imbaba e manifestare la propria solidarietà alla Palestina, in occasione dell'anniversario della nakba. Il venerdì di oggi, come da tradizione, ha ricevuto un nome: il giorno dell'unità nazionale. Cristiani e musulmani egiziani hanno voluto ribadire ancora una volta il loro essere una nazione sola e il rifiuto del settarismo religioso. Parte dei manifestanti, tuttavia, soprattutto cristiani, sono rimasti al Maspero, il palazzo della tv, dove sono assembrati dal giorno dell'incidente di Imbaba. In piazza Tahrir, la giornata è iniziata con la messa, alle ore 11, seguita dalla preghiera islamica di mezzogiorno. Hanno quindi fatto seguito numerosi interventi dall'ormai celebre palco.
Gli slogan a favore dell'unità nazionale si sono fusi con quelli in sostegno della Palestina. Secondo alcuni le due cose non sono distinte, perché la democratizzazione dell'Egitto, e del Medio Oriente in generale, non può prescindere dalla questione palestinese. L'Egitto è Gaza e Gaza è l'Egitto, questo si sentiva dire oggi. Alcuni ragazzi egiziani hanno persino tentato di entrare nella Striscia (ci sono già stati tentativi simili in altre occasioni), ma sono stati respinti dalle forze militari egiziane. Una carovana di aiuti umanitari è stata fermata dall'esercito, che ha poi lasciato passare soltanto un convoglio che trasportava materiale medico. Nessuno, tuttavia, ha potuto attraversare il confine.C'è invece attesa per la marcia su Gaza, progettata dal Movimento 6 aprile, in occasione della nakba (la cui data esatta cade il 15 maggio). Sia l'esercito egiziano che Hamas hanno chiesto di cancellarla. Hamas, in particolare, ha affermato che non c'è alcun bisogno che gli egiziani facciano questo gesto dimostrativo, che potrebbe attirare su di loro le ire israeliane (già in stato di allerta, tra l'altro). In questo momento, infatti, pare più utile - anche per Gaza - che l'Egitto si rafforzi internamente, dal punto di vista politico ed economico, e quindi anche da quello diplomatico. Ritengo che le parole di Hamas siano sagge. Il forte desiderio dei giovani rivoluzionari di "fare qualcosa" per i palestinesi è comprensibile, ma forzare la mano quando l'Egitto è ancora debole potrebbe essere molto controproducente. Il Movimento 6 aprile ha parzialmente accettato il consiglio, dichiarando che si limiteranno a marciare sul confine, senza tentare di forzarlo. La situazione di allerta, in ogni caso, resta immutata.
Comunque sia, piazza Tahrir oggi aspirava più che mai all'unità di tutti gli arabi (e di tutte le rivoluzioni arabe), come testimonia la foto che vi allego. Le bandiere dei vari paesi arabi, che in passato erano sventolate singolarmente, sono state cucite insieme a formare una superbandiera araba. Ma durante quest'ultimo venerdì arabo sono anche giunte alcune importanti notizie. La prima è stata quella dell'arresto di Suzanne Mubarak (meglio tardi che mai) che presto sarà trasferita in una prigione del Cairo. L'accusa è di corruzione. Pare che l'ex first lady, nota per le opere di beneficenza sbandierate con orgoglio in tutto il mondo, abbia tra l'altro "dirottato" dei soldi destinati alla Mezzaluna Rossa della Striscia di Gaza. Ma ora che la signora Mubarak andrà in prigione, chi si occuperà del marito malato?
La seconda notizia importante è giunta con il comunicato numero 50 del Consiglio Militare. L'esercito ha annunciato che riprocesserà tutti i giovani della rivoluzione che sono stati arrestati nei mesi di marzo e aprile (ad esempio dopo lo sgombero violento di piazza Tahrir del 9 marzo). Il comunicato parlava anche di liberazione immediata. Staremo a vedere... Secondo i maligni queste notizie non sono casuali. In parte servirebbero da compensazione per aver impedito ai giovani l'accesso a Rafah, in parte sarebbero utili alle forze armate per risalire la china della popolarità, dopo i fatti di Imbaba e le polemiche dei giorni scorsi, polemiche che non hanno riguardato soltanto la blanda risposta dell'esercito nei confronti dei responsabili delle violenze passate contro i cristiani. L'altro ieri, infatti, è circolata voce che la futura legge sui diritti politici, in procinto di essere annunciata, non consentirebbe il voto all'estero, e questo per impedire una probabile compravendita di voti. Gli egiziani residenti all'estero, circa 4 milioni in 139 paesi diversi, si sono subito infuriati, e ieri il Consiglio Militare, nel suo comunicato su Facebook numero 49, ha smentito la notizia. Allora era solo un tentativo per tastare il terreno e gli umori della gente?
C'è stata un'altra notizia che non è piaciuta affatto, di cui tuttavia non ho ancora trovato sicura conferma: l'estensione delle leggi di emergenza fin dopo le elezioni parlamentari e presidenziali. Gli arresti ingiustificati, dunque, potranno continuare ancora a lungo...
Intanto, l'economia egiziana è in crisi, come c'era da aspettarsi. Tra altre cose, le indagini hanno indicato Mubarak come il principale responsabile dell'enorme debito pubblico, che ha raggiunto i 155 miliardi di dollari ed è, per la maggior parte, di origine interna. Quando Mubarak ha preso il potere, cioè circa trent'anni fa, il debito interno era meno di un miliardo, mentre quello estero era di 25 miliardi. L'ex rais, naturalmente, nega anche questa responsabilità.
Ultima notizia degna di interesse è stata la candidatura alla Presidenza del dottor Abdel Moneim Abul Futuh, il leader riformista dei Fratelli Musulmani, al quale molti giovani del movimento fanno riferimento. Ha deciso di sfidare la proibizione della Fratellanza e candidarsi indipendentemente. Il target elettorale al quale mira è formato dai conservatori moderati ed è verosimile che sottrarrà molti voti al partito ufficiale della Fratellanza, Libertà e Giustizia. Se vincerà, Abul Futuh ha promesso di scegliere un vice copto, oppure una donna. Perché non tutte e due le cose insieme, mentre ci siamo?
{ Pubblicato il: 13.05.2011 }