paolo ercolani
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L’immagine semplificata che all’estero hanno di noi italiani viene spesso riassunta con il trinomio «pizza, spaghetti e mafia». Da un ventennio, ahinoi, si sarebbe potuto aggiungere anche “Berlusconi”, se non fosse che, ne siamo certi, almeno fuori dell’Italia non si fa fatica a ritenerlo compreso nel terzo elemento del trinomio.
In realtà, non bisogna essere dei raffinati storiografi del nostro Paese per comprendere che c’è comunque un quarto elemento, che ha inciso nella storia patria come pochissimi altri. Potremmo chiamarlo fattore C, ma precisando che purtroppo non ha niente a che vedere con la buona sorte. Tutt’altro!
E’ il fattore Chiesa, o Vaticano che dir si voglia. Una recentissima inchiesta del quotidiano inglese «The Guardian», ovviamente ripresa da pochissimi organi di presunta informazione nostrani, e comunque sottaciuta dalla stragrande maggioranza, ha riportato alla luce alcuni fatti a dir poco inquietanti.
Secondo la ricostruzione dell’autorevole giornale inglese, il Vaticano possiede un capitale immobiliare di dimensioni eccezionali tra l’Inghilterra e la Francia (senza contare quello sterminato in Italia). Ufficialmente intestato a una società off-shore (con tutti i benefici fiscali del caso, quindi), questo patrimonio immenso suscita più di un’inquietudine. Innanzitutto verrebbe da chiedersi cosa se ne fa, di questi palazzi spesso affittati ad attività commerciali e finanziarie di altissimo livello (quindi con fatturati economici ragguardevoli), lo Stato di quella Chiesa che dice di fare della povertà e della carità la sua stessa ragione esistenziale.
Ma per una volta evitiamo di fare le anime belle e sorvoliamo su queste considerazioni eccessivamente spirituali. Allora arriviamo al secondo dato che emerge dall’inchiesta. I soldi con cui il Vaticano ha costituito questo capitale immobiliare immenso, circa 650 milioni di euro dell’epoca (seicentocinquantamilioni!!!), è il frutto di soldi versati dallo Stato italiano, nella persona di Benito Mussolini, nel 1929 (per inciso, l’anno della funesta e drammatica crisi economica mondiale, con famiglie intere ridotte alla fame), per risarcire, attenzione alla motivazione, «risarcire la Chiesa della perdita del potere temporale».
Uno Stato, quello del Vaticano, che quando ha avuto il potere temporale, governando praticamente su tutta l’Italia centrale, applicava in maniera assai anacronistica la servitù della gleba, la pena di morte, l’esercizio dittatoriale del potere (per inciso: ancora oggi il Vaticano è forse l’unico stato occidentale a tutti gli effetti non democratico, che fino a qualche anno fa prevedeva la pena di morte formale, che non ha mai riconosciuto, insieme alla Cina comunista, i diritti universali dell’uomo stipulati nel 1948, e che ancora ai giorni nostri si è opposto alla mozione dell’Onu per far togliere la pena di morte nei confronti degli omosessuali in quegli stati che ancora la contemplano).
Senza contare tutto il grande impegno profuso dalla Chiesa per ritardare l’unificazione dell’Italia, fino ad arrivare al punto di chiamare in aiuto potenze straniere per reprimere con la violenza i moti rivoluzionari italiani. Per queste caratteristiche edificanti e per molto molto altro, quel primo esponente disonesto, infingardo e opportunista che fu il Duce decise di elargire alla Chiesa, in occasione dei Patti Lateranensi del 1929, quella cifra spropositata per «risarcirla» della perdita del potere temporale. Naturalmente con i soldi degli italiani, per di più in un momento di crisi economica drammatica.
Con tutte le dovute differenze del caso, dovrebbe essere quasi impossibile, per un Paese fornito di cultura e memoria storica, non inorridire di fronte alla non risposta dietro a cui si è nascosto Mario Monti, intervistato a Ballarò da Floris, riguardo all’esenzione dell’Imu per le attività commerciali della Chiesa. Siamo sempre in un’epoca di terribile crisi, in cui le famiglie impoverite non arrivano più alla fine del mese, in cui la pressione fiscale (anche grazie all’Imu) è salita a livelli inauditi e insostenibili, mentre noi facciamo finta che il Medioevo non sia finito e consentiamo dei privilegi (clerico-fascisti, si sarebbe detto un tempo) a un’istituzione potentissima, ricchissima e francamente non sappiamo quanto dedita effettivamente alla carità e alla povertà.
E dire che solo un paio di anni fa abbiamo ritenuto di celebrare, naturalmente in pompa magna, il 150° anniversario dell’unificazione italiana, della creazione di uno Stato unito ma non unitario, che non si è mai saputo riconoscere come nazione anche a causa dell’influenza contraria che ha voluto e saputo esercitare la Chiesa, con la compiacenza di una classe politica per lo più genuflessa, opportunista e ipocrita.
Si fa presto, in questa epoca triste e sciagurata, a rimarcare la nostra presunta superiorità culturale sull’Islam, innanzitutto perché quest’ultimo sarebbe fondamentalista, non avendo ancora compiuto la separazione tra sfera politica e sfera religiosa all’interno della società civile e del governo degli stati. Meno presto si fa a ricordare che, soprattutto in Italia, questa separazione (mai compiuta davvero), è stata ottenuta grazie al sacrificio di tante vite umane, che hanno combattuto contro uno Stato, quello del Vaticano, alleato e protetto di volta in volta da potenze straniere che uccidevano i nostri soldati, nonché da regimi disumani e assassini come quello fascista e nazista.
Ecco il panorama triste, lugubre, con cui l’Italia si presenta alle prossime elezioni. Con un passo indietro, culturale, strategico, politico, di tutte le coalizioni in campo. Una sinistra che è tornata a dividersi in mille rivoli che innanzitutto si combattono fra di loro. Un Pd che ospita al proprio interno, e si allea con, cattolici tutt’altro che «adulti», chiamati a salvare la patria come è il caso di Monti, ma in realtà pronti a genuflettersi a un potere che quella patria unita e laica ha fatto di tutto perché neanche si costituisse.
Il tutto, in nome di un senso comune diffuso a livello popolare, che per esempio ci differenzia dall’America in modo sostanziale: lì buona parte della gente è persino invasata a livello religioso, mentre da noi sembra essersi affermata una maggiore secolarizzazione e distanza dalle credenze più ingenue. Ma all’atto pratico le cose non stanno così, perché mentre negli States vige il principio del «ci credo ma non mi piego» (lo Stato riconosce la massima dignità a tutte le religioni, di fatto per non innalzarne nessuna al di sopra delle altre, quindi subordinandole tutte alla Nazione); da noi vige il principio, tipico dell’ipocrisia pelosa dell’Italietta, del «non ci credo ma mi piego» (lo Stato si professa laico, aconfessionale etc., ma di fatto garantisce a Chiesa e clero privilegi degni di uno stato nello stato. E questo è vero anche a livello di sentire comune individuale: quasi tutti siamo laici nella pratica quotidiana, ben restii a seguire i precetti religiosi: ma quando serve ci inginocchiamo, eccome!).
Ed ecco come è possibile quell’apparente paradosso per cui è un giornale straniero a venirci a spiegare uno dei motivi sostanziali del fallimento dello Stato italiano, ancor di più in un’epoca globalizzata. Per opportunismo, mancanza di coraggio, indecenza della classe politica, troppo tempo abbiamo trascorso a baloccarci con la «città di Dio», che ci siamo dimenticati quel piccolo particolare di fondare una vera, dignitosa, giusta e libera «città dell’uomo»!
{ Pubblicato il: 25.01.2013 }