salvatore biasco
Nessun commento[9] Caro Paolo, le sferzanti opinioni che ti ho sentito esprimere sull’omissione che i dirigenti del centro sinistra (con l’acquiescenza di tutti i parlamentari) hanno operato nella scorsa legislatura circa l'ineleggibilità di Berlusconi in Parlamento (quale titolare di concessione governativa), mi hanno indotto alcune (ulteriori) riflessioni sull'esperienza passata, da testimone.
Mi sembra di ricordare che la faccenda dell'ineleggibilità non sia mai venuta in Aula, ma sia rimasta confinata nella Commissione specifica e lì sia stata risolta per il bene o per il male. Per lo meno, non ne ho ricordo. Ma anche se non ha investito tutti i parlamentari, non mi sfugge che ciò sia un fatto politico e non tecnico. Se fosse venuta in Aula avrei votato a favore o contro? Non rispondo (a me stesso) con un sì o con un no ed è comunque difficile dirlo col senno di poi. Temo, però, che, per come tu lo poni, il problema sia molto semplificato. Tu parli come se la dichiarazione di ineleggibilità fosse alla portata di una semplice votazione: bastava volerla e non essere inclini a un malgiocato machiavellismo, o, peggio, all’appeasement.
Il periodo in cui tecnicamente avrebbe dovuto essere risolta riguarda i primi mesi della XIII legislatura. Lasciameli inquadrare. Ricordo quel periodo come un incubo. Avevamo sei voti di maggioranza, con sottosegretari, ministri, presidenti di Commissione che trovavano difficile venire in aula. Più le assenze fisiologiche. In qualsiasi momento l'opposizione di allora lo volesse poteva far mancare il numero legale o presentare un’infinità di emendamenti (il Regolamento dell'epoca non poneva restrizioni ed era ultragarantista per le opposizioni, accreditandole di senso delle istituzioni). Non ci si poteva muovere dal posto per ore, perché si rischiava di far venir meno il margine di voto o il numero legale. Anche andare in bagno era un problema, o dover fare una telefonata, e un deputato troppe ne deve fare (all'epoca il telefono era solo esterno all'aula e i cellulari disattivati d’ufficio). Sul suo cammino il primo governo di centro sinistra ereditava 95 decreti legge, varati in altre legislature, già in vigore, ma ancora non approvati definitivamente. Per tutti: eccezione di costituzionalità (anche su quelli varati dal governo Berlusconi del ’94!), fiumi di emendamenti, interminabili discussioni generali e interminabili dichiarazioni di voto, senza sapere quando tutto ciò si sarebbe improvvisamente interrotto se l’opposizione avesse intravisto il momento favorevole per il voto. Per non parlare di continue interruzioni dell'esame di qualsiasi provvedimento per mancanza del numero legale, oppure per richieste fatue, per escamotage regolamentari o politici. Dove non arrivava il Polo arrivava la Lega, che di fatto faceva da apripista per il lavoro sporco con la sua rivendicazione di separatismo e rifiuto totale dell'istituzione Parlamento italiano. Di fatto, la strategia iniziale dell'opposizione era di bloccare il governo e farlo annegare nella paralisi, nel nulla, dimostrare l’insipienza e possibilmente provocare nuove elezioni. Non vi era spazio per alcun provvedimento caratterizzante. Ricordo che all'epoca il popolo dell'Ulivo, ignaro della situazione, era molto deluso per quella che appariva un’insipienza del governo di centro-sinistra, su cui aveva riposto speranze. Passavano i mesi e non si vedeva un segno di niente: difficile spiegare che il Parlamento era inagibile. La prima vera nostra legge che riuscimmo a far passare fu la Finanziaria per il ‘97 (non una di quelle leggi che caratterizzano un'azione riformatrice – a parte qualche delega - o creano consenso: puro risanamento per 100.000 miliardi di lire, con incremento delle tasse). Erano già passati otto mesi dall'insediamento. Ma sulla finanziaria l’opposizione di allora giocò l'asso di coppe nel tentativo di bloccarla e non farla approvare. Se ti ricordi fu approvata in un'aula semideserta, abbandonata dall'inizio dall'opposizione, in un occasione in cui occorreva la maggioranza degli aventi diritto. .
L'approvazione della finanziaria fu una prima svolta nei rapporti parlamentari. Probabilmente il Polo si rendeva conto che la strategia aveva fallito il primo obbiettivo e richiedeva in ogni caso una mobilitazione parlamentare difficile da tenere continuativamente. La seconda svolta fu la Bicamerale. Si può pensare quello che si vuole della Bicamerale. Allora mi lasciava freddo. Mi sembrava lontana dalle priorità del paese. Non si riformano le Costituzioni in quel modo. Personalmente ero semmai a favore della Costituente. Ma vi era terrorismo ideologico: nel nostro versante non la si poteva neppure nominare (la voleva il Polo). La motivazione ufficiale era che si sarebbe perso molto tempo ed era di fatto un mezzo per non fare le riforme istituzionali; quella vera, secondo me, che per istituirla occorreva un voto popolare: sarebbe risultato evidente che l'Ulivo era minoritario e il suo governo ne sarebbe uscito delegittimato. In fin dei conti avevamo vinto le elezioni per sbaglio, la Lega si era presentata divisa e aveva avuto un'ottima performance. Insomma: si può pensare ciò che si vuole della Bicamerale, ma é indubbio che abbia protetto per due anni il Governo Prodi. I rapporti parlamentari si fecero più istituzionali; i deputati della Commissione bicamerale assenti erano automaticamente giustificati, e questo di per sé già abbassava il numero legale. Il profilo tenuto da Forza Italia fu basso, e questo provocò più tardi la reazione violenta dei suoi aderenti, che, di fatto, al congresso forzista di due anni dopo (classificato da Prodi "il nulla") impose la radicalizzazione e portò alla fine del processo di riforma istituzionale. Fu possibile nel frattempo varare anche una modifica del regolamento della Camera. Non era esattamente ciò che ci voleva, ma consentiva al Presidente di intervenire su certi eccessi e contingentava i tempi a disposizione dei singoli gruppi per provvedimento. Senza la Bicamerale - è il senno di poi - il governo Prodi non avrebbe resistito a lungo. La strategia di rendere inagibile il Parlamento prima o poi avrebbe avuto successo.
Vengo all'ineleggibilità di Berlusconi. Se l'avessimo perseguita nelle circostanze che ti ho esposto, soprattutto iniziali, avremmo commesso un suicidio. Avremmo provocato una sollevazione, che il Cavaliere avrebbe facilmente giocato a suo favore: sinistra vendicativa, sinistra illiberale, sinistra antidemocratica. Ci sarebbe stata in Parlamento non la guerra di trincea che già ci immobilizzava, ma la guerra atomica. Il Parlamento sarebbe stato bloccato dal Polo da lì in poi; la paralisi governativa sarebbe stata totale. Ci saremmo dissanguati su ogni minuscolo provvedimento. Il governo Prodi avrebbe avuto ancora minore possibilità di affermarsi. E avremmo perso la guerra specifica; innanzitutto nel Paese, dove i messaggi del Cavaliere sarebbero passati anche tra l'opinione liberale e di sinistra ("l'ineleggibilità del capo dell'opposizione! Riconosciuto come leader da una sezione larghissima della società italiana: in che cosa vi siete imbarcati? Non avete null’altro a cui pensare?”) e poi in Parlamento, dove non sarebbe stato difficile avere qualche obbiettore di coscienza nelle file liberali e progressiste (ne bastavano cinque o sei). In fin dei conti abbiamo avuto obbiettori di coscienza anche sull'arresto di Previti (e sono persone rette e stimabili, che semplicemente sono per principio contrarie all’arresto di parlamentari). All'epoca e nelle circostanze descritte, un gruppo dirigente che ci avesse portato verso questa strategia l'avrei giudicato folle, avventurista, nichilista; gli avrei attribuito intenti occulti contro il Governo Prodi. Poi, da buon soldato avrei sicuramente votato per l’ineleggibilità. Ma gli effetti pratici a tutt’oggi sarebbero stati modesti anche nel caso fosse passata. Berlusconi escluso dal Parlamento non avrebbe cambiato molto rispetto al fatto che non si sia quasi mai fatto vedere. Sarebbe rimasto il leader dell'opposizione (con aureola di martire dell'oscurantismo) e, se non ricordo male, comunque eleggibile come primo ministro: la Turchia mi dice che l'ineleggibilità è un fatto secondario di fronte alla volontà popolare.
Mi si può obbiettare che una mobilitazione straordinaria come quella che ci fu (con successo) per la finanziaria per il ‘97 avrebbe, se replicata, comunque fatto passare l'ineleggibilità (non è detto, anzi temo di no). Ma quella mobilitazione avvenne per far passare una linea (di finanza, di riforma, di ingresso in Europa, di sopravvivenza); questa avrebbe dovuto avvenire per commettere un suicidio. Se l’obbiettivo era affermare un principio e prendersi una soddisfazione, va bene; se era di tenere Berlusconi lontano dall’esercizio pubblico, quella via portava diritto in direzione opposta.
Diverso è il rimprovero che si può fare alla sinistra per non aver proposto una legge sul conflitto di interessi e fatto passare le rogatorie, una volta fallita la Bicamerale. Anche allora bisognava essere consci che si sarebbe andati a una paralisi legislativa e dell'azione di governo e a uno scontro durissimo nel paese, che non avrebbe consentito ulteriori azioni legislative di respiro (l'agibilità parlamentare, anche se meno di prima, è sempre rimasta in balia dell'opposizione). La legislatura poteva anche continuare, ma lì si chiudeva sostanzialmente con i progetti di legge. Ma ormai il governo dell'Ulivo si era legittimato. Vi erano stati due o tre anni di buon governo, avevamo un profilo, si poteva rischiare qualsiasi cosa.
Prendi la mia come una testimonianza. L'intento è di portare più elementi alle tue conclusioni tratte troppo affrettatamente. Mi ritengo un privilegiato per aver avuto quell'osservatorio, cosa che mi ha impedito di parlare in astratto, personificare gli errori e mi ha consentito di contestualizzare i processi. Se non fossi stato lì mi chiedo cosa avrei capito delle dinamiche che ci furono. Purtroppo non sono affatto note. Un caro e affettuoso saluto
[Pubblicato nella rivista on line La Lettera www.lalettera.org giugno 2003]
{ Pubblicato il: 26.03.2013 }