Fondazione Critica Liberale   'Passans, cette terre est libre' - Abbiamo scelto come logo la fotografia d'un autentico 'Albero della Libertà ancora vivente. È un olmo che fu piantato nel 1799 dai rivoluzionari della Repubblica Partenopea, Luigi Rossi e Gregorio Mattei, a Montepaone Superiore, paese dello Jonio catanzarese. La scritta &lequo;passans ecc.» era qualche volta posta sotto gli 'Alberi della Libertà' in Francia.
 
Direttore: Enzo Marzo

Dal 1969 la voce del pensiero laico e liberale italiano e della tradizione politica che difende e afferma le libertà, l'equità, i diritti, il conflitto.

"Critica liberale" segue il filo rosso che tiene assieme protagonisti come Giovanni Amendola e Benedetto Croce, Gobetti e i fratelli Rosselli, Salvemini ed Ernesto Rossi, Einaudi e il "Mondo" di Pannunzio, gli "azionisti" e Bobbio.

volume XXIV, n.232 estate 2017

territorio senza governo - l'agenda urbana che non c'è

INDICE

taccuino
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67. paolo bagnoli, la nostra preoccupazione
68. coordinamento democrazia costituzionale, appello alla mobilitazione per una legge elettorale conforme alla Costituzione
106. comitati unitari per il NO al “rosatellum”, l’imbroglio degli imbrogli
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territorio senza governo
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69. giovanni vetritto, l’italia del “non governo” locale
73. pierfranco pellizzetti, alla ricerca del civismo perduto
79. antonio calafati, le periferie delle metropoli italiane
84. paolo pileri, molta retorica, pochi fatti
86. giovanni vetritto, post-marxisti inutili
88. valerio pocar, primo comandamento: cementificare
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astrolabio
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89. riccardo mastrorillo, finanziare sì, ma come?
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GLI STATI UNITI D'EUROPA
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93. sarah lenderes-valenti, la risorsa più grande
94. luigi somma, le democrazie invisibili
97. claudio maretto, la discontinuità paga
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castigat ridendo mores
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100. elio rindone, basta con l’onestà!
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l'osservatore laico
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103. carla corsetti, il principio di laicità
107. gaetano salvemini, abolire il concordato
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terrorismo e religione
109. pierfranco pellizzetti, jihad combattuta alla john wayne
114. alessandro cavalli,quattro cerchi
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lo spaccio delle idee
117. gianmarco pondrano altavilla, cari liberisti, chi conosce un buon medium?
118. luca tedesco, savoia o borbone? lo storico è un apolide
119. gaetano pecora, ernesto rossi, “pazzo malinconico”
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78.92.102. spilli de la lepre marzolina
116. la lepre marzolina, di maio ’o statista
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Critica liberale può essere acquistata anche on line attraverso il sito delle Edizioni Dedalo con transazione crittografata e protetta.
.A ROMA IL FASCICOLO PUO' ESSERE ACQUISTATO ANCHE PRESSO L'EDICOLA DEI GIORNALI IN PIAZZA DEL PARLAMENTO.
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Mauro Barberis, Piero Bellini, Daniele Garrone, Sergio Lariccia, Pietro Rescigno, Gennaro Sasso, Carlo Augusto Viano, Gustavo Zagrebelsky.

* Hanno fatto parte del Comitato di Presidenza Onoraria: Norberto Bobbio (Presidente), Vittorio Foa, Alessandro Galante Garrone, Giancarlo Lunati, Italo Mereu, Federico Orlando, Claudio Pavone, Alessandro Pizzorusso, Stefano Rodotà, Paolo Sylos Labini. Ne ha fatto parte anche Alessandro Roncaglia, dal 9/2014 al 12/2016.
 
05.02.2018

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La sindrome del buon pastore e le tentazioni autoritarie del potere politico ( appunti sulla Democrazia)

antonio cecere

4 commenti
[14] Da alcuni giorni circolava una notizia inquietante che rimbalzava dai social-networks ai giornali di grande tiratura nazionale. Secondo questi rumor la Presidente della Camera, Laura Boldrini, avrebbe istituito una Task Force  per controllare ogni notizia circa la propria persona sulla stampa e sul Web. La nuova Presidente avrebbe istituito un ufficio di controllo dell’opinione pubblica, ad uso privato, all’interno di una Istituzione politica di una Repubblica occidentale. Questa ipotesi potrebbe sembrare una novità, ma solo ad un osservatore ingenuo. Infatti la connessione fra controllo e potere politico è così stretta da essere stata approfondita ampliamente da molti studiosi. In particolar modo ricordo le lezioni di Michel Foucault al Collège de France nel 1978 su Sicurezza, Territorio e popolazione (in Italia edite da Feltrinelli).  Secondo il filosofo francese il nodo politico più stringente della relazione fra religione e politica è l’eredità culturale  che la seconda ha ricevuto dalla prima: la sindrome del pastore.
In via di premessa mi dichiaro tutto sommato d’accordo con tutti quei pensatori che vedono nei concetti politici una secolarizzazione dei concetti teologici, ma questo non serve ad altro che a farmi preoccupare maggiromente. Tornando alle analisi di Foucault verifichiamo che il termine Ministro viene usato sia in politica, per indicare un componente del governo, sia nel linguaggio della religione cristiana per indicare “servo di Dio” o Pastore.  Secondo il filosofo francese qui si situa l’equivocità in politica circa la natura del ruolo di chi assume una carica pubblica fra l’ essere “un servitore della Repubblica” o” Pastore del popolo”.
Il pastorato cristiano denota il significato di governo delle anime. Con esso il pastore si configura come  come colui che conduce e dirige e, soprattutto, manipola i fedeli per istradarli alla retta via della salvezza. Questi concetti trasposti nel linguaggio politico offrono un substrato culturale adeguato ad una classe politica avvezza a ritagliare per sé un ruolo di guida del popolo.
Una volta che abbiamo accettato di analizzare l’uomo politico secondo i concetti di derivazione teologica ,dobbiamo soffermarci su quelle terminologie interpretative che si rifanno al paradigma della politica in quanto “governo degli uomini”. Secondo questo paradigma il politico-pastore agirà secondo tre tipologie di modelli: il Pastore che guida il popolo verso la salvezza; il Pastore che insegna la Verità; il Pastore che prescrive la legge.  Con una certa dose di fortuna  il popolo italiano possiede tutti e tre questi pastori presenti oggi nell’Agorà.
Il Pastore che conduce verso la salvezza è senza dubbio il nostro amato Silvio Berlusconi. L’uomo della Provvidenza, ha come destino lo stesso destino del suo popolo. La reciprocità morale, così la descrive Foucault, è il nesso che lega, nel bene e nel male, il condottiero al suo popolo. Berlusconi è un Santo o il capro espiatorio di tutti i mali del Paese.  Ma il “popolo delle Libertà” vede nel proprio pastore colui che sa fronteggiare tutti i mali. Se un cittadino si sente vessato da Equitalia, dalle tasse, dalla burocrazia, ecco che si rivolge al buon pastore, in grado di fonteggiare da anni i magistrati cattivi e il Leviatano crudele per condurre i suoi nella terra promessa dello Stato minimo. Cioè lo Stato ridotto al minimo dei termini civili.
Il Pastore che insegna la Verità è certamente Beppe Grillo. Il comico genovese, sin dalle sue prime performances teatrali, si è sempre posto come il fustigatore delle ipocrisie del sistema globale. Famose le sue invettive comiche contro le falsità del sistema della ricerca farmaceutica,  dello sfruttamento energetico e del potere occulto delle lobbies economiche e del signoraggio. Non ultimo tutto il linguaggio contro le manipolazioni delle informazioni da parte dei cattivi amerikani contro i poveri paesi orientali veri capisaldi dei diritti civili.  Questo Pastore è così ossessionato dalla verità vera che espelle dal proprio gregge-movimento ogni pecorella ribelle che osi parlare liberamente al di fuori del recinto del Blog divino.  Esiste una sola verità e lui ne è il solo pastore in grado di governare un popolo poco incline alla conoscenza e sembre in balia di falsi dèi.
Ma il pastore che prescrive la Legge è il più pericoloso. Secondo l’analisi di Foucault questo profilo non ha una discendenza diretta con la religione cristiana che, al contrario, prescrivendo un’obbedienza alla “volontà” di Dio sottrarrebbe gli uomini dall’obbedienza a qualcuno in particolare.  Questa figura risulta invece derivante dalla pratica dei ministri del culto i quali, dovendo interpretare la Volontà divina e adeguarla alla complessità della natura umana, hanno generato la figura di colui che è in grado di interpretare al meglio la regola in virtù della propia adesione totale alla vita di fede. Allo stesso modo il ministro della Repubblica diviene il migliore interprete della Legge in virtù della propria figura istituzionale. Grazie a questa griglia interpretativa, che è costume culturale consolidato nei paesi latini, coloro che rivestono un’autorità politica si sentono immediatamente in grado di interpretare ciò che è giusto, meglio di ogni altro cittadino. Questa sindrome deve aver colto la neo presidente Boldrini nel momento in cui si è espressa con vigore contro l’anarchia sul Web.
La nostra Presidente si è accorta che sul Web esiste tutta una parte di popolo che la insulta, la ritrae come protagonista di scene di violenza e di soprusi osceni e diffamatori. La nostra pastora della legge però, in virtù della propria superiorità di interprete istituzionale, non si accontenta di denunciare ove tutto ciò si configuri come reato. La nostra pastora pretende di mettere ordine all’anarchia del web partendo dalla propria personale interpretazione della volontà divina del popolo sovrano che lei naturalmente conosce meglio di tutti. Lei ha un pedigree di chi ha guidato il popolo dei rifugiati e degli oppressi e lei e solo lei sa di cosa hanno bisogno le povere donne minacciate dai propri uomini stolker. C’è bisogno di meno libertà sul web. Infatti ricordiamo che tutti gli strupratori e i mariti violenti hanno sempre postato immagini cruente su facebook  prima di consumare un delitto.
Il pastore della Legge è come un monaco convertitore di anime, una suora che insegna le buone maniere allo scolaro monello. Il pastore della legge è il fustigatore dei costumi con la frusta in mano.
La mia particolare preoccupazione  è che ognuno di noi sia potenzialmente un pastore della legge. Io non amo coloro i quali si esercitano nel mestiere di sentinelle della Democrazia. Personaggi che a furia di gridare 'attenti al fascismo','attenti al comunismo', generano un’apatia e una sordità morale nei propri concittadini. Quello che a me spaventa è la tendenza all’autoritarismo che è evidente nelle nuove generazioni di politici. Uomini e donne animate da grandi idealità ma incapaci di vedere dentro di sé quanto la cultura illiberale sia bagaglio o fardello del proprio agire politico. L’autoritarismo è subdolo, al contrario del totalitarismo che si dichiara, perché cresce nell’indifferenza dei cittadini che lasciano indisturbato il burocrate e il rappresentante a lavorare alla propria conservazione in quanto guida del popolo. Come si può giudicare altrimenti una Presidente della Camera impegnata a monitorare incessantemente le notizie che la riguardano?
Lo spirito autoritario si evince da queste azioni, agire per contrastare le voci che potrebbero mettere in cattiva luce la propia immagine di politico. Se il pastore diventa autoritario la colpa è sempre della pecora che non segue il cammino tracciato.

{ Pubblicato il: 05.05.2013 }




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Commento inserito da federico sollazzo il 10.05.2013:
Apprezzo molto l'ossatura foucaultiana dell'articolo. Mi lascia però perplesso la critica al riferimento di cronaca citato, sia per quanto riguarda la cronaca in sé sia per un motivo concettuale. Sul riferimento di cronaca, infatti, mi sembra che la Boldrini abbia solamente detto che offese, minacce, calunnie e diffamazioni vadano perseguite anche sul web (probabilmente ha sviluppato una sensibilità particolare a questo problema perché ci sta passando con la sua pelle), cosa peraltro confermata il giorno dopo anche da Rodotà, con il distinguo di aver sottolineato che le norme in materia già ci sono e bisogna semplicemente applicarle, mentre la Boldrini richiamava l'attenzione sul divario che si è venuto a creare tra le norme e gli strumenti esistenti e la manifestazione sul web dei reati che dovrebbero sanzionare, questo divario produce un fenomeno del tutto nuovo (con il quale quindi anche il Legislatore è chiamato a misurarsi) - nel mio piccolo, mi sembra che entrambi dicano qualcosa di importante, nel senso che da un lato le norme vengono applicate poco e male e dall'altro servono però anche norme e strumenti al passo coi tempi, calibrati anche sul web. In questi giorni si è anche fatto riferimento al fatto che anche la Kyenge è stata oggetto di sgradevoli speculazioni (stupidissime, che certamente qualificano non chi ne è oggetto ma chi le pronuncia) di fronte alle quali ha reagito con tolleranza. A mio avviso però questo caso è sensibilmente diverso da altri: le speculazioni razziali sono infatti, da un lato, talmente rozze e obsolete da non meritare attenzione – ma certamente non per questo bisogna metterle in condizione di poter proliferare –, e dall'altro, e soprattutto, proprio per la loro obsolescenza rispetto al corrente spirito dei tempi sono inservibili per la corrente (ri)produzione del potere e del dominio, mentre al contrario altre speculazioni sono funzionali a tale (ri)produzione, che determina un certo tipo, nuovo, di controllo sociale; a questo si collega la mia ulteriore perplessità, quella concettuale. Concettualmente infatti – e qui abbandono l'iniziale riferimento alla cronaca o a nomi specifici – ritengo che l'attuale forma di censura non sia più quella del silenziamento diretto dei discorsi che potrebbero mettere in crisi il sistema, ma del loro silenziamento indiretto tramite la proliferazione indiscriminata di discorsi insignificanti che coprono quelli significativi generando un confuso mare magnum (popolato da molte banalità da bar) nel quale non si riescono più a riconoscere i discorsi di valore; è tutto semplicemente rumore. E il tutto, paradossalmente, spacciando questa operazione come il massimo della libertà (l'attuale articolazione politica di questo fenomeno è la cosiddetta web-democrazia diretta), al punto tale che chi ipotizza una regola(menta)zione della stessa è subito etichettato come censore. Sono consapevole che questo discorso si presta ad essere strumentalizzato da chi volesse veramente censurare ma (a parte il fatto che l'altra estremità del discorso è già stata abbondantemente strumentalizzata), questo è un rischio la cui consapevolezza deve portare a tenere più alta possibile la soglia della critica, e non ad abbandonare il discorso in sé. Mi sembra infatti che sia giunto il tempo di ragionare senza paura attorno alla costituzione di dispositivi selettivi, direi addirittura elitari, che possano filtrare dalla quantità la qualità. Ma attenzione, senza per questo cadere nella trappola oggettivante popperiana del solito "chi custodisce i custodi?", e senza rinunciare al progetto illuministico del sapere aude, ma proprio perché il sapere, foucaultianamente, giova nel prendere posizione, è necessario contrastare la formazione di aggregazioni non di qualità e incoraggiare la formazione e l'espansione (nel senso della loro apertura al mondo) di quelle di qualità, che dovrebbero differenziarsi in tutto, nei tempi, nei luoghi, nel linguaggio... dal "rumore", da ridursi al minimo indispensabile; solo così il sapere aude nel senso che, mantenendosi essenzialmente e radicalmente distinto dal "rumore", contribuisce a prendere posizioni di qualità. Se non altro, si inizierebbe a mettere in crisi un sistema che si basa sulla strumentalizzazione del mito – autoritario come tutti i miti – del potere dal basso, del popolo, del suffragio universale... tutte istanze che, quando sono state tematizzate e messe in pratica originariamente, hanno costituito un indubbio progresso e miglioramento delle condizioni di vita, ma che ora sono state assorbite da un nuovo sistema di controllo che ne fa suoi strumenti. Per concludere, una Rivista come quella che ora ci ospita e un articolo come quello qui sopra, penso che siano ottimi esempi in tal senso.
Commento inserito da Alessandro Bertirotti il 11.05.2013:
Interessante articolo di Antonio Cecere, anche se in alcune parte non mi trovo in accordo. Per esempio, una di queste è quando Antonio parla di "manipolazione". E' anche vero, però, che dal punto di vista antropologico le prime forme di regolamentazione sociale e civile della comunità umana, di tutte quelle studiate, procede sempre provenendo dalla dimensione religiosa, come ebbi occasione di dire nel caso di norme comportamentali che possano durare nel tempo. La dimensione legiferante del testo biblico, per esempio, è chiaramente verificabile nel Vecchio Testamento, mentre quella evangelica dive proattiva, come direbbero gli psicologi e gli antropologi, ossia rivolta a favorire la formazione di atteggiamenti concreti, veri e proprie azioni. Rimango d’accordo con Antonio, quando afferma che la questione su cui focalizzare l’attenzione critica, come fa appunto nell’articolo, è l’analisi del linguaggio (che meglio io definirei lessico, in questo caso lessico religioso), che si trasduce nel lessico politico, senza però l’introduzione di una vera e nuova connotazione laica dei concetti. La dimensione fideistico-piramidale dell’istruzione religiosa, definita anche catechesi, è oltremodo inadatta a quella scientifico-dialogica dell’istruzione alla democrazia, della quale, peraltro, noi italiani abbiamo ancora necessità. Per quello che concerne l’impostazione foucaltiana dell'articolo, secondo cui la filosofia svolge il ruolo importante nel fornire un supporto diagnostico alla realtà sociale, non ho nulla da dire ulteriormente, perché non solo la condivido ma la trovo oltremodo attuale in questo periodo storico mondiale. Ecco, in più, forse, avrei desiderato leggere la presenza di una sorta di “terapia”, qualche cosa che avesse indicato come poter ottenere un cambiamento nel linguaggio della politica, senza la presenza di una derivazione religiosa. In effetti, è proprio questo ciò che temo, e cioè che non sia antropologicamente possibile che questo avvenga, vista la concreta presenza dell’esperienza religiosa nell’evoluzione umana. Forse, si potrebbe ipotizzare una riduzioni dei campi semantici religiosi, attribuendo ad essa la possibilità di spiegare e fare accettare convinzioni altre, non prettamente scientifiche”. Alessandro Bertirotti
Commento inserito da Manuel Cappello il 12.05.2013:
In risposta a Federico Sollazzo Come sai la mia preparazione su queste tematiche è notevolmente inferiore alla tua; prendi quindi quanto scrivo qui di seguito come un modesto contributo alla riflessione. IL FILTRO DEI DISCORSI ESISTENTI Mi pare di aver capito che quando parli di "dispositivo selettivo" non ti riferisci alla preferenza nei confronti di certi specifici argomenti, ma ad un filtro che lasci passare solo le argomentazioni sufficientemente strutturate, qualsiasi sia la "direzione" che esse prendano. Se ci immaginiamo però di separare i discorsi più sostanziosi dalle chiacchiere da bar, ho l'impressione che poi ci potremmmo trovare nella necessità di scartare anche i testi argomentativamene sostanziosi ma comunque non desiderabili dal punto di vista del progresso del discorso. Tanto per dire, le argomentazioni usate dagli avvocati di Silvio B. sono probabilmente molto elaborate, così come pure le controargomentazioni dell'accusa, eppure non penso che siano questi i discorsi da salvare. Il rumore non è presente soltanto nei bar, ma anche negli ambienti intellettualmente più elevati, dove forse è anche più difficile distinguerlo dal suono. Dunque, se il criterio selettivo non è tematico ma inerente ad una sorta di qualità neutra del discorso, non la vedo così semplice. La natura di tale qualità mi pare molto sfuggente e difficile da incasellare in una formula. Forse sarebbe necessario istituire una struttura sociale apposita, una comunità preposta alla valutazione della qualità dei discorsi. Mi vengono in mente il sistema della revisione paritaria piuttosto che la comunità scientifica Kuhnianamente intesa come generatrice del discorso scientifico. Temo che l'attività di discriminazione dei discorsi validi sia concepibile solo ad un livello di complessità paragonabile a quello di un'intera classe sociale, e si pone quindi in modo ingombrante il problema del costo di tale operazione. E soprattutto della volontà politica di metterla in atto. I DISCORSI ALTERNATIVI Un'alternativa consisterebbe non nel filtrare "tutti" i discorsi, quanto nel produrre un discorso di qualità elevata che fosse altro dal rumore. Ma a questo punto non stiamo più parlando del rumore caratteristico di tutto un contesto, bensì dei singoli discorsi che molte organizzazioni specifiche portano già avanti per conto loro per i motivi più disparati (anche molto meritevoli, ovviamente). L'ANTOLOGIA DELLA TRADIZIONE, PER FORMARE IL CITTADINO Oggi gran parte della storia culturale del mondo è disponibile praticamente gratis. Dunque non è inaccessibile, però la parte più interessante si perde nella grande massa di informazione mediocre. Si potrebbe applicare l'idea di selezione al patrimonio culturale esistente al fine di produrre un insieme limitato di opere scelte (classici) che costituiscano il riferimento indispensabile per la formazione del cittadino, ispirandosi inevitabilmente (?) alla tradizione del pensiero occidentale. Si tratta in sè di un'idea piuttosto semplice (una sorta di antologia), il punto delicato è comprenderne la funzione in questo momento storico e implementarla in modo soddisfacente. UN DISCORSO SUL RUMORE Forse serve un discorso esplicito sul rumore, inteso a dare al cittadino gli strumenti per relazionarsi con esso. Provo a immaginarne gli ingredienti: Consapevolezza dei meccanismi che producono rumore nel libero mercato. Consapevolezza della falsità del potere. Dannosità del rumore e importanza dell'idea per l'individuo. Capacità di opporre una chiusura psicologica al rumore. Mantenimento di finestre di apertura selezionata al mondo (con la cui intrinseca alterità bisogna rimanere in contatto). Visione sociale alternativa (scetticismo profondo sull'esperimento politico-sociale degli ultimi 10.000 anni, possibilità di realizzazione di un progetto di vita dignitoso in un tale contesto). Manuel Cappello
Commento inserito da Federico Sollazzo il 14.05.2013:
Caro Manuel, in effetti cogli quello che è l'intento di un progetto ancora tutto da definire, e con le tue sollecitazioni mi dai l'opportunità di chiarire un paio di punti. Concordo in pieno col fatto che il rumore non sia solo quello da bar (quella era un'immagine metaforica per spiegare la cosa con semplicità) ma che ce ne sia anche uno che appare come intellettualmente raffinato (basta guardare il modus operandi degli avvocati, tra cui quelli che te giustamente ricordi, la stragrande maggioranza dei politici, o i tanti para-intellettuali in circolazione). Platone li chiamava sofisti e retori, e li criticava in quanto interessati a prevalere nel discorso anziché al perseguimento della Verità. Io invece li vorrei criticare perché la loro non è un'argomentazione, è una para-argomentazione. Quando infatti mi riferisco a un filtro che non entri nel merito dei discorsi trattandoli quindi con neutralità intendo il prendere i discorsi come, appunto, neutrali ma non neutri. Senza parteggiare per qualcuno di essi in virtù della sua (presunta) Verità, e tuttavia riconoscendone la (eventuale) qualità argomentativa. Come? Innanzi tutto dalla capacità di dar conto (per accettazione o per rifiuto, totale o parziale) del discorso dell'altro, altrimenti si cade nell'autismo (diciamo così per semplificare). Ma soprattutto dal fatto che l'argomentazione non abbia nessun altro fine che non sia argomentare, che non miri a un fine utilitaristico che le è esterno, che sia la trasposizione argomentativa del cosiddetto l'art pour l'art, provocando così come correlato l'espansione dei margini del logos - parola, pensiero. Tutto ruota insomma attorno alla capacità di riconoscimento di un'argomentazione autentica (indipendentemente dal prendere posizione - questo è già un importante passo ulteriore -, sempre criticamente, su quelle che ci attraggono e convincono di più). Tutto questo si scontra con, almeno, due ordini di problemi, uno pratico e uno concettuale. Quello pratico. Fermo restando che qualsiasi istituzione avverserebbe questa operazione (la accetterebbe solo se la potesse controllare, così, disinnescandola) perché in questa società il potere di qualsiasi struttura di potere si fonda sulla (ri)produzione e amministrazione del rumore, il fatto di ipotizzare dei dispositivi-filtro è contraddittorio, perché essi possono operare solo oggettivando, in una certa misura, i discorsi, e l'oggettivazione è sempre strumento di dominio. Tuttavia, se mai una simile operazione prendesse avvio, il segnale della sua conclusione sarebbe quello dell'abbandono, perché non più necessari, degli stessi dispositivi che l'hanno avviata. Quello concettuale. In un mondo che, nel suo profilo pratico, è amministrato attraverso il rumore (dal basso e dall'alto) e, nel suo profilo morale, è dominato da una sempre più spinta dialettica di reificazione (quella che Horkheimer e Adorno delineano nella "Dialettica dell'illuminismo", che Marcuse descrive ne "L'uomo a una dimensione", che a Pasolini fa parlare di mutazione antropologica) c'è ancora margine, c'è ancora la possibilità, c'è ancora semplicemente tempo per tentare una simile operazione? Eppure, per me è indispensabile provarci perché, anche di fronte al probabilissimo fallimento, è un modo per stare intensamente nel mondo, e quindi per averne una certa profonda e articolata comprensione. (Al prossimo caffè al bar dell'università ne riparliamo finalmente di persona)