paolo bonetti
Nessun commento[23] Conto di occuparmi dell’ultima enciclica papale, Lumen fidei, firmata Bergoglio e scritta in gran parte da Ratzinger, quando l’avrò letta nel suo testo integrale e non conosciuta attraverso i resoconti giornalistici, ma fin d’ora mi pare di capire che non ci sono novità sostanziali sul piano dogmatico. Non ci sono perché non ci possono essere. I dogmi fondamentali del cattolicesimo (quello trinitario e quello cristologico) sono stati definiti nei primi concili ecumenici e la loro interpretazione ortodossa è stata demandata all’autorità del vescovo di Roma ed eventualmente alle deliberazioni di nuovi concili. Ma anche i più innovativi fra questi non hanno fatto che confermare, in campo teologico, una dottrina ormai bimellenaria. La Chiesa di Roma, pena il suo dissolvimento, non potrà mai accettare che i fondamenti della fede siano sottoposti al libero esame dei suoi fedeli. Tutte le volte che qualcuno ha tentato di farlo, è stato inesorabilmente escluso dalla comunità ecclesiale. D’altra parte non c’è riflessione filosofica, non c’è progresso nella conoscenza scientifica, che possano scalfire ciò che appartiene al dominio della fede e che per fede viene accolto. I tentativi di conciliare l’inconciliabile si sono rivelati fallimentari tutte le volte che simili operazioni sono state tentate, nella vana speranza di rispondere, sul piano scientifico e in consonanza con quello della fede, a domande per le quali la scienza non ha risposte e giustamente, se è scienza autentica e non un indigeribile pasticcio intellettuale, non intende darne.
E’ altrettanto certo che la Chiesa cattolica, baluardo del dogma, e il suo capo, unico interprete autorizzato in materia di fede e di costumi, quando parla ex cathedra, non potranno mai derogare, in materia etica e bioetica, da quei principi morali, dichiarati sacri e non negoziabili, sui quali la Chiesa fonda quel che le rimane della sua antica e un tempo totalitaria autorità sociale. Non lo potranno per la semplice ragione che se la Chiesa cominciasse a ritenere negoziabili e modificabili storicamente certi suoi principi, essa non solo aprirebbe la strada al cosiddetto relativismo, ma finirebbe per trasformarsi in una delle tante agenzie morali che si contendono le coscienze degli uomini. Ma la Chiesa di Roma fa coincidere se stessa con la Verità, quella con la maiuscola, quella che è sacra e immutabile, perché posta da Dio nella natura stessa dell’uomo e di cui, ancora una volta, la Chiesa è l’interprete esclusiva. Nel cattolicesimo tout se tient, se la compattezza dottrinale s’incrina in un solo punto del sistema, anche tutti gli altri rischiano di franare. Quando la Chiesa cattolica, come è destino di ogni istituzione umana, si dissolverà, sarà l’intero impianto teologico ed etico a crollare dalle fondamenta. Ma prima che si arrivi a questo passeranno secoli o, più probabilmente, millenni.
Quello che invece la Chiesa può riformare, ed ha effettivamente più volte riformato nel corso di duemila anni, è il costume del clero e il suo rapporto con le autorità civili. Nei tempi di corruzione e di decadimento morale, quando Mammona troppo si è insinuato e troppo è diventato dominante nel suo clero scandalizzando i fedeli, la Chiesa di Roma, anche sotto la spinta dei movimenti ereticali e di quelli che, senza mettere in discussione i dogmi, continuavano, al suo interno, a battersi per una purificazione dei costumi, ha spesso cercato, e con buoni risultati, di diventare, almeno per un certo tempo, moralmente più credibile e meglio in sintonia con il messaggio evangelico. Si pensi, nell’XI secolo, al movimento cluniacense e alla riforma di Gregorio VII, si pensi, ancora, all’opera disciplinare del Concilio di Trento dopo gli eccessi mondani dei papi umanisti e rinascimentali e alla nascita di nuovi ordini religiosi e alle loro opere di carità, si pensi, infine, alle riforme liturgiche (nella liturgia c’è anche molta sostanza morale), stimolate da Giovanni XXIII e realizzate dal Concilio Vaticano II. Adesso papa Bergoglio è tornato all’assalto di una Chiesa troppo legata a forme di vita che contrastano radicalmente con la povertà evangelica, troppo schiava del culto diabolico della ricchezza, del potere e del prestigio mondano. Francesco, senza nulla modificare, rispetto al suo predecessore, nel campo del dogma e dei principi morali confermati anche nella Lumen fidei, sta tentando l’impresa quanto mai difficile e persino pericolosa di scuotere il potere politico della Curia romana, di separare insomma Dio da Cesare, di ricondurre la Chiesa entro i confini della semplice testimonianza religiosa e conseguente azione pastorale. Impresa, a dire il vero, titanica, se compiuta non per demagogia populista, come taluni atteggiamenti possono anche far sospettare, ma con la sincera intenzione di ricondurre la Chiesa al compimento della sua vera missione, quella di evangelizzare senza la pretesa di governare l’intera società per interposta persona, subordinando a sé la classe politica e le sue scelte. Da laici non credenti restiamo scettici sull’esito finale di questa battaglia, ma va dato atto al nuovo papa di averla coraggiosamente iniziata, senza la paura di esporsi alle critiche di coloro che, spesso senza alcuna fede, vorrebbero fare della Chiesa la trincea dalla quale difendere i loro privilegi.
{ Pubblicato il: 07.07.2013 }