Fondazione Critica Liberale   'Passans, cette terre est libre' - Abbiamo scelto come logo la fotografia d'un autentico 'Albero della Libertà ancora vivente. È un olmo che fu piantato nel 1799 dai rivoluzionari della Repubblica Partenopea, Luigi Rossi e Gregorio Mattei, a Montepaone Superiore, paese dello Jonio catanzarese. La scritta &lequo;passans ecc.» era qualche volta posta sotto gli 'Alberi della Libertà' in Francia.
 
Direttore: Enzo Marzo

Dal 1969 la voce del pensiero laico e liberale italiano e della tradizione politica che difende e afferma le libertà, l'equità, i diritti, il conflitto.

"Critica liberale" segue il filo rosso che tiene assieme protagonisti come Giovanni Amendola e Benedetto Croce, Gobetti e i fratelli Rosselli, Salvemini ed Ernesto Rossi, Einaudi e il "Mondo" di Pannunzio, gli "azionisti" e Bobbio.

volume XXIV, n.232 estate 2017

territorio senza governo - l'agenda urbana che non c'è

INDICE

taccuino
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67. paolo bagnoli, la nostra preoccupazione
68. coordinamento democrazia costituzionale, appello alla mobilitazione per una legge elettorale conforme alla Costituzione
106. comitati unitari per il NO al “rosatellum”, l’imbroglio degli imbrogli
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territorio senza governo
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69. giovanni vetritto, l’italia del “non governo” locale
73. pierfranco pellizzetti, alla ricerca del civismo perduto
79. antonio calafati, le periferie delle metropoli italiane
84. paolo pileri, molta retorica, pochi fatti
86. giovanni vetritto, post-marxisti inutili
88. valerio pocar, primo comandamento: cementificare
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astrolabio
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89. riccardo mastrorillo, finanziare sì, ma come?
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GLI STATI UNITI D'EUROPA
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93. sarah lenderes-valenti, la risorsa più grande
94. luigi somma, le democrazie invisibili
97. claudio maretto, la discontinuità paga
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castigat ridendo mores
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100. elio rindone, basta con l’onestà!
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l'osservatore laico
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103. carla corsetti, il principio di laicità
107. gaetano salvemini, abolire il concordato
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terrorismo e religione
109. pierfranco pellizzetti, jihad combattuta alla john wayne
114. alessandro cavalli,quattro cerchi
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lo spaccio delle idee
117. gianmarco pondrano altavilla, cari liberisti, chi conosce un buon medium?
118. luca tedesco, savoia o borbone? lo storico è un apolide
119. gaetano pecora, ernesto rossi, “pazzo malinconico”
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78.92.102. spilli de la lepre marzolina
116. la lepre marzolina, di maio ’o statista
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Critica liberale può essere acquistata anche on line attraverso il sito delle Edizioni Dedalo con transazione crittografata e protetta.
.A ROMA IL FASCICOLO PUO' ESSERE ACQUISTATO ANCHE PRESSO L'EDICOLA DEI GIORNALI IN PIAZZA DEL PARLAMENTO.
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Mauro Barberis, Piero Bellini, Daniele Garrone, Sergio Lariccia, Pietro Rescigno, Gennaro Sasso, Carlo Augusto Viano, Gustavo Zagrebelsky.

* Hanno fatto parte del Comitato di Presidenza Onoraria: Norberto Bobbio (Presidente), Vittorio Foa, Alessandro Galante Garrone, Giancarlo Lunati, Italo Mereu, Federico Orlando, Claudio Pavone, Alessandro Pizzorusso, Stefano Rodotà, Paolo Sylos Labini. Ne ha fatto parte anche Alessandro Roncaglia, dal 9/2014 al 12/2016.
 
05.02.2018

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rousseau, il m5s, la costituzione: la pluralità di voci dei soggetti contro la maggioranza di voti dei sudditi

giovanni incorvati

3 commenti
rousseau
[29] Perché il costante richiamo del M5S a Rousseau agita tanti commenti? Se ci pensiamo, dopo l’esperienza giacobina è la prima volta in assoluto che non dei singoli, ma un movimento organizzato cerca di prendere sul serio Rousseau, mettendo su e pubblicizzando persino seminari di studio sul suo pensiero politico. Un nuovo spettro si aggira dunque per l’Europa? La mia ipotesi è che in ogni caso la posta politico-culturale sia piuttosto alta. In gioco potrebbero esserci non solo le attuali possibilità di successo del M5S, ma addirittura la portata storica delle tesi di Rousseau.
In sintonia con i vari tentativi che provengono dalle parti più disparate di prevenire possibili sinergie, su questo sito Antonio Cecere segue una pista meno battuta del solito, quella del reale contrasto che esisterebbe tra il M5S e l’autore che esso prende a modello (http://www.criticaliberale.it/settimanale/156339). A differenza di tanti altri critici, gli va riconosciuto il merito di attingere di prima mano dagli scritti politici del Ginevrino. Tuttavia neanche la sua interpretazione si discosta molto da quelle consolidate. Probabilmente è questa la ragione di fondo per cui i nodi più problematici e interessanti del rapporto Rousseau-M5S non solo non emergono, ma sono resi ancora più invisibili e in qualche modo impossibili da sciogliere.
Come spesso avviene per Rousseau e per il M5S, tutto ha origine dai molti equivoci che circondano la cosiddetta democrazia diretta. Cecere cita opportunamente la basilare distinzione russoiana tra sovranità e governo, e il fatto che mentre la prima non può essere rappresentata, può e deve esserlo il secondo. Ma sembra subito dimenticarsene e fare confusione. In tali passaggi Rousseau limitava il suo discorso alla democrazia come forma di governo non transitoria. Cecere invece generalizza indebitamente e prende questa forma democratica di governo a cui si riferiva Rousseau per una “forma di Stato”.
Teniamo ben ferme le distinzioni russoiane. Gli atti di sovranità sono eventi molto meno frequenti rispetto alla quotidianità degli atti di governo. Per quanto riguarda la prima forma di governo presa in considerazione nel "Contratto sociale", quella democratica (CS, III, 5), con il popolo costantemente riunito a amministrare gli affari, è certamente vero che Rousseau non ne auspica la permanenza, anzi la rigetta come irrealizzabile. Tuttavia per lui c'è un momento inaugurale in cui il governo democratico è sempre necessario e irrinunciabile: ossia quando, durante i comizi, il popolo sovrano, dopo aver fatto la legge elettorale, si fa governo democratico esso stesso e propone le singole candidature, le discute pubblicamente, le sottopone al suffragio universale per poter poi farsi rappresentare da un nuovo governo (CS, III, 17). Questo è un primo punto di forte aderenza con la nostra costituzione e con quello che comunemente consideriamo un obiettivo basilare per le democrazie contemporanee.
Quanto alle diverse forme di governo che il popolo può stabilire per legge, la preferita di Rousseau è quella che egli chiama "aristocrazia elettiva" (dove però il termine “aristocrazia” ben esprime la possibile degenerazione in casta). Qui il popolo elegge delle "commissioni" di numero variabile le quali a loro volta scelgono i membri del governo (CS, III, 6 e IV, 3). Anche qui c'è corrispondenza con la forma di governo stabilita dalla nostra costituzione attuale, se per "commissioni" intendiamo le nostre camere, ma con una differenza non trascurabile. Nel "Contratto sociale" i membri delle "commissioni" e del governo sono revocabili in ogni momento, in conseguenza di una legittima discussione sul loro operato e di una votazione popolare. L’art. 67 della nostra costituzione invece prevede che i parlamentari siano eletti “senza vincolo di mandato”, anche se poi di fatto i partiti hanno rinunciato a qualsiasi limite e si sono riservati tutto il potere di marcare da vicino i loro eletti. È contro questa vigenza ipocrita e strumentale dell’art. 67 che si scaglia giustamente il M5S. Quanto alla terza e ultima forma di governo contemplata da Rousseau, ossia la "monarchia elettiva", essa non viene apprezzata né da lui (CS, III, 7), né dal M5S, che vi vedono pericolose implicazioni plebiscitarie e autoritarie. Inoltre essa rimane completamente estranea allo spirito della nostra costituzione (negli stessi termini in cui lo sarebbe una "repubblica presidenziale").
Ma il modello adottato dalla nostra costituzione si avvicina a quello delineato nel "Contratto sociale" anche per un altro particolare carattere. I provvedimenti di governo, denominati qui come lì "decreti" (CS, II, 6, art. 77 cost.), non possono andare oltre la stretta contingenza politica e gli affari urgenti o straordinari. In tali casi, in via del tutto provvisoria, si può fare a meno di una discussione approfondita, né è necessario un ampio consenso, e si decide a maggioranza (CS, IV, 2). Salvo poi a trasformare quel che era provvisorio in permanente attraverso una deliberazione qualitativamente diversa.
Proviamo allora a uscire dal campo angusto del "qui e ora", della contingenza e dell'urgenza governative, e andiamo sul terreno delle grandi questioni della sovranità, affrontate con norme generali e astratte, quelle che guardano lontano e in profondità, sia nel tempo che nello spazio, e che nella nostra costituzione come in Rousseau sono denominate "leggi" (artt. 71 e 72 cost., CS, II, 6) - una specie di norme giuridiche che oggi da noi è in rapida estinzione. Questo campo Rousseau lo sottrae non solo al governo, ma anche alle "commissioni", per riservarlo esclusivamente alla discussione e all'approvazione popolare, in modo che le leggi si inseriscano con coerenza nel sistema di norme architettato dal "legislatore" (figura che noi oggi designeremmo col nome di "costituente"). È l'aspetto del "Contratto sociale" che più attrae il M5S e che più sembra allontanare entrambi dalla nostra costituzione.
Ma proprio all’interno di quest’ultima ci sono parti fondamentali (artt. 71 c. 2, 75 e 50) che sono state indebolite dalla prassi parlamentare o completamente neglette da chi doveva darne compiuta attuazione, e che invece il M5S punta a rimettere al centro e a rafforzare, nel segno di Rousseau e in direzione diametralmente opposta a quella del governo attuale. Basti pensare alla recentissima relazione finale sulle riforme costituzionali (in pejus) varata dall’apposita commissione governativa
(http://riformecostituzionali.gov.it/public/audio/SEDUTECOMMISSIONE/16SETTEMBRE/relazione_Testo_17_settembre.pdf),
che propone di portare il numero delle firme necessarie per sottoporre i disegni di legge di iniziativa popolare all’esame del parlamento dalle attuali 50.000 (art. 71 c. 2 cost.) a 150.000, e di introdurre sì la possibilità di referendum propositivi, ma con un quorum per l’approvazione dei referendum di tutti i tipi ben più alto di quello attuale (p. 32-33).
Con questo non voglio dire che esista una perfetta coerenza tra i programmi del M5S e le idee di Rousseau. Anzi, c’è un punto chiave in cui questo movimento appare ancora in parte prigioniero delle interpretazioni che negli ultimi due secoli hanno immobilizzato il modello del “Contratto sociale” entro cornici ferree, ma ormai irrimediabilmente usurate. Interpretazioni che inducono oggi a considerare il web come un docile strumento di voto, finalizzato alla costituzione di maggioranze su tutti i temi all'ordine del giorno. Una tradizione implacabile ha voluto far dimenticare che Rousseau distingue il semplice diritto di votare, che nulla può togliere ai cittadini, in quanto sarebbe una plateale rottura del contratto sociale, dal “diritto di esprimere pareri, di proporre, di dividere (il governo), di discutere”, i quali, in quanto diritti politici, non sono nella disponibilità del governo, ma che il governo tende illegalmente a riservare per decreto ai propri membri (CS, IV, 1). Da qui vengono i maggiori pericoli, dato che il consolidarsi di tali abusi porterà ineluttabilmente alla morte del corpo politico (CS, III, 10 e 11).
Rousseau precisa che nelle deliberazioni sui temi generali e programmatici, che non rivestono carattere di urgenza, non è più il principio di maggioranza che ha la priorità (CS, IV, 2). Al contrario, in tali casi è necessario un approfondito confronto e la ricerca del massimo consenso sulla base dell'interesse comune e del principio di uguaglianza: occorre che il popolo sia “sufficientemente informato”, che la volontà generale sia sempre interrogata e che la “voce” di ognuno risponda: “a rendere generale la volontà non è tanto il numero delle voci, quanto l'interesse comune che le unisce” (CS, II, 3 e 4 e III, 18).
Rousseau raccomanda più volte al lettore (e evidentemente con più forza al traduttore) di fare bene attenzione al fatto che egli (anche per aggirare la minaccia mortale di un’incriminazione per lesa maestà) usa lo stesso termine con significati diversi. Il “calcul des voix” vuol dire “calcolo dei voti” quando si riferisce alle deliberazioni urgenti del governo, che escludono immediatamente ogni minoranza. Ma quell’espressione allude invece al “confronto delle voci” quando sulle grandi questioni si tratta di ricercare la volontà generale in modo da includere le minoranze (CS, II, 3 e IV, 2). Nel primo caso “pluralité des voix” va tradotto con “maggioranza dei voti”, nel secondo con “pluralità delle voci”. Allo stesso modo, con esatta corrispondenza, il termine “sujets” riceve un doppio regime. Se i cittadini vengono ridotti a subire passivamente i decreti del governo, allora si trovano nella condizione di “sudditi”. Ma se godono di quei diritti politici di cui si può disporre solo per legge, e hanno la possibilità di esprimere il proprio parere, di proporre, di dividere, di discutere su oggetti concreti, e se quindi hanno, ma solo alla fine, il diritto di scegliere per nome i propri candidati, allora essi possono pretendere legittimamente il titolo non solo di “cittadini”, ma anche di “soggetti” di quei diritti. Finalmente i “principes du droit politique” di cui parla il sottotitolo del “Contratto sociale”, se considerati dal punto di vista del governo, sono semplici “principi di diritto politico” ricavabili dai decreti emanati dallo stesso governo di quel certo paese (e in effetti tale è l’espressione utilizzata per la prima volta in Italia da una serie di traduzioni del “Contratto sociale” uscite come reazione alla Costituzione del 1948). Se invece vengono visti nell'ottica della sovranità del popolo, allora si tratta dei principi che impongono per legge il riconoscimento “del diritto politico” a ogni cittadino e a ogni soggetto.
A dispetto del suo carattere denso e compatto, che richiede attenta analisi e riflessione in tutte le sue parti (come Rousseau non cessa di ammonirci), il “Contratto sociale” è stato, ora più ora meno, un'opera con notevole diffusione a livello popolare. In italiano ha avuto un numero di traduzioni (30) superiore a quello di ogni altra lingua. Per limitarci a un semplice confronto, l’inglese, con tutta la sua influenza e pervasività, ne ha avute 22. Ma il modello che, almeno a partire dall'unità politica del paese, si è voluto imporre in Italia attraverso le traduzioni stesse e grazie alla loro popolarità, è, senza eccezione alcuna, quello che Foucault ha chiamato “il modello della governa-mentalità (gouvernementalité)”, modello che data proprio da una certa interpretazione di Rousseau. Esso è lo stesso che si è imposto nei paesi anglofoni e in molte altre lingue europee: ci sono dei sudditi, non dei soggetti, che hanno come strumento unicamente il voto, non la propria voce, e alla fine ciò che conta per il potere è la loro maggioranza, non la loro pluralità.




{ Pubblicato il: 29.09.2013 }




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Commento inserito da Giorgio Lovisolo il 01.10.2013:
Data la proposta riflessione sulle basi filosofiche e sulla migliore attuazione possibile della democrazia e dello stato, mi soffermo su tre dettagli con riferimento alla realtà applicata dei 5stelle. Il popolo sovrano che si fa governo democratico: 40mila persone, frequentatori del web in buona parte specializzati in insulto, hanno scelto i candidati dei seguaci di Rousseau. I grillini che ultimamente si sono spesi per la difesa della Costituzione così com’è, hanno visto il loro guru scagliarsi contro la possibilità dei parlamentari di esprimersi senza vincolo di mandato perché la “gente”, evocata a comodo, non lo vuole, cioè Grillo non ama la costituzione quando non è comoda per sé. In compenso lui, attraverso la poca “gente” del suo blog, manda via tutti quelli che non sono d’accordo con lui. È questa la democrazia di Rousseau? In conclusione una drammatica pantomina. Ma la discussione filosofica può essere interessante per discutere come far vivere la democrazia oggi e come si potrebbe organizzare. Recenti e meno recenti sono i casi dall’altra parte del Mediterraneo in cui movimenti religiosi razzisti e totalitari stavano per o hanno vinto le elezioni. Forse la “gente” che si esprime di per se non è democrazia senza un contesto di principi.
Commento inserito da Antonio Cecere il 02.10.2013:
Carissimo Incorvati,ho letto il suo articolo con grande interesse e le esprimo la mia adesione di fondo alla sua tesi. Probabilmente la sua critica al mio articolo nasce da una incomprensione circa il mio obiettivo di fondo. Il mio articolo non voleva essere un'analisi del Contratto sociale rispetto alle possibilità di un progresso della nostra Democrazia. Io cercavo di sottolineare il linguaggio superficiale e tendenzioso di chi, ancora una volta, cerca di sfruttare un classico della filosofia politica per nobilitare la propria battaglia politica. Non sono io a fare confusione sulle tesi di Rousseau, è Casaleggio che cita a sproposito un testo che certamente non ha compreso. Nel suo discorso dice testualmente: "I cittadini attraverso la democrazia diretta partecipano direttamente alle iniziative politiche invece di votare dei rappresentanti che prendono le decisioni al loro posto". Io contestavo il passaggio a uno "Stato democratico" che secondo Casaleggio dovrebbe negare la nostra Costituzione. Secondo questo passaggio i cittadini dovrebbero ratificare sempre le delibere dei politici. Addirittura lui sogna l'epoca di "gaia" uno Stato senza più rappresentanza. In tanti anni di studi roussoiani ho imparato ad apprezzare il filosofo di Ginevra nel suo sforzo di costruire un modello che potesse affrancare gli uomini dalla dipendenza personale attraverso la creazione di un Ordine politico di leggi giuste ed eque. Una rilettura di Rousseau nel senso dell'Agorà di Pericle ci potrebbe ricacciare ai tempi in cui esistevano le classi dei liberi e degli schiavi. Sono curioso di leggere il suo testo su "Rousseau e il diritto civile della rivoluzione francese", certamente più interessante dei discorsi di Casaleggio.
Commento inserito da Giovanni Incorvati il 04.10.2013:
Posso rassicurare i miei interlocutori. Ho ben presente il fatto che l’oggetto principale di discussione è la linea politica del M5S piuttosto che l’interpretazione di Rousseau. Però il collegamento esiste e, visto che loro stessi vi ritornano su, ha bisogno di ulteriori chiarimenti. ______________________ @Giorgio Ma è proprio vero che il M5S da una parte dice di essere a favore della costituzione attuale e dall'altra rema contro l'art. 67? Il vincolo di mandato esiste di fatto in Italia a causa della configurazione non democratica che hanno preso i partiti, non i movimenti organizzati. Quando i costituenti stabilirono all'art. 67 che i parlamentari non dovessero avere tale vincolo, presupposero contemporaneamente all'art. 49 che “tutti” i cittadini, associandosi “liberamente” in partiti, avessero “il diritto”, la possibilità concreta di “concorrere”, anche con coloro che non si erano associati, a scegliere i candidati alle elezioni e eventualmente a non ricandidarli alla tornata successiva. Poi con un colpo di mano i vertici dei partiti dominanti, con la complicità, purtroppo, delle opposizioni, misero subito fuori uso il secondo di questi articoli e, attraverso di esso, anche il primo. Al loro posto stabilirono di fatto un sistema di governo, una “governa-mentalità” dicevo, che metteva nelle loro mani un potentissimo e inespugnabile vincolo di mandato. Il vincolo, ben occultato sotto le precedenti forme elettorali e ormai prepotentemente allo scoperto con l'attuale porcellum, lascia ai cittadini il mero diritto di vergare una croce, mentre lo trasforma giuridicamente nel diritto del più forte e nel rafforzamento del privilegio. A questo penoso stato di cose ora reagisce finalmente il M5S, attuando e richiedendo l'incompatibilità delle cariche, la loro rotazione, l'eliminazione dei privilegi economici connessi, le primarie per tutti i tipi di candidature. È solo una farsesca mascheratura? Una drammatica pantomima, volta all'affermazione, tanto per cambiare, di "una nuova classe politica"? Rousseau credeva, e moltissimi del M5S con lui, che ciò non dovesse avvenire e che proprio per questo occorreva battersi per la massima chiarezza sui principi e per la loro attenta messa in opera nella realtà. ______________________ @Antonio Dopo il governo, la sovranità. Anche qui, è proprio vero che uno "Stato democratico" come lo vorrebbe Casaleggio porterebbe a negare la nostra Costituzione? Non mi pare che il famoso testo di Rousseau contro la rappresentanza nella funzione legislativa sia richiamato a sproposito, né che sia stato capito male. Il passaggio, che di solito il M5S cita per esteso e con la data esatta di pubblicazione del "Contratto sociale", il 1762 (p. es., una delle ultime volte, nell'editoriale del blog di Beppe Grillo del 28 aprile scorso: http://www.beppegrillo.it/magazine/archivio/lasettimana2013-04-28.pdf), mi sembra invece sintetizzato abbastanza correttamente. Casaleggio non dice che i cittadini dovrebbero ratificare "sempre" le delibere dei politici e fare a meno di ogni tipo di rappresentanza. Egli parla, come viene chiarito di continuo, esplicitamente di "iniziative" legislative, in riferimento ai celebri attacchi degli artt. 1 c. 2. e 71 c. 2. della Costituzione: "La sovranità appartiene al popolo, che la esercita... Il popolo esercita l'iniziativa delle leggi..." (si veda p. es. il post del 6 ottobre scorso: http://www.beppegrillo.it/2012/10/quelle_350mila_firme.html). L'accordo con Rousseau anche qui si presenta perfetto. Si tratta di leggere correttamente il “Contratto sociale” proprio per non negare la nostra costituzione e non rimpiangere l'agorà di Pericle. ______________________ Per concludere, la distinzione tra momenti di iniziativa legislativa diretta e controllo sulla rappresentanza di governo è ben radicata nel M5S. Casaleggio e Grillo si limitano solo a fare leva su di essa: credo di poterlo confermare tranquillamente. Sono invece i critici con i loro pregiudizi (a parte i rari casi di convinta buona fede, come quelli che ho qui davanti) che non cessano di alzare polveroni sui semplici principi di “una repubblica democratica”.