[37]Il servizio che Vanity Fair ha dedicato a Matteo Renzi, più che a giustificare ironie potrebbe servire a svelare un aspetto in realtà serio della vicenda, e istituzionale e sociale, contemporanea.
All’aspirante leader non sembra oggi più sufficiente essere (o, meglio ancora, rappresentarsi quale) bravo, capace, evocativo, carismatico, forte; occorre dunque dimostrare qualcosa in più, qualcosa che tuttavia appartiene ad una dimensione altra da quella politica.
O che, se la riguarda, la riguarda per gli effetti di quelli che Cacciari correttamente ha definito “vent’anni di diseducazione di massa”. Nei quali, ad esempio, la soubrette ha avuto accesso tanto al programma in prima serata quanto alla titolarità di (almeno) uno scranno parlamentare, puntando – in prima quando non esclusiva battuta - sui propri mezzi fisici.
Un orrore più che un errore, questo, ascrivibile al berlusconesimo, rispetto al quale, tuttavia, nessuno ha alzato barricate abbastanza alte e solide, o realmente convinte; forse per il timore di incorrere in una (anche probabile, in verità, vista la diffusa idiozia di stagione) accusa di sessismo.
In questo ingarbugliato reticolo di paradossi ed opportunismi, per cui una pavida dietrologia solitamente inibisce l’uso schietto della ragione, così spianando la strada all’impudenza, maturano le condizioni per un decisivo salto di qualità del problema.
Che però, al netto del saccheggio istituzionale da parte delle amiche dell’ex premier et similia, merita una riflessione più articolata. Anche perché articolatamente deve a rigore svolgersi un ragionamento intorno alla bellezza; in ossequio a quel che osserva Baumgarten, il quale partendo dalla considerazione per cui “la confusione è la condizione nella quale trovare la verità” conclude affermando come la bellezza “deve essere confusa, e quindi esclude(re) la possibilità di distinzione” (B. Croce, Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale). Da ciò arguendosi come la verità estetica sia luce ed ombra al contempo; che essa infetti “definisce e nasconde, rivela ed occulta”.
Ma torniamo al punto iniziale, ed ammettiamo pure la tesi per cui essere belli diventi, da opportunità impropria di carriera (anche politica), un requisito indefettibile.
Anche per chi bello non è. E che bello, pertanto, ci si deve inventare.
Di Renzi infatti tutto si può dire, meno che sia fisicamente aggraziato e prestante.
Eppure in quelle foto dove ammicca atteggiandosi a consumato modello, esperendo un tentativo di avvenenza che fallisce, la goffaggine lo rende insolitamente simpatico.
Al punto da domandarsi se stia forse in questo, il limite di un superomista (più che di un superuomo) il quale – qualunque cosa se ne pensi – rappresenta in ogni caso una personalità politica di centrale rilevanza e autorevolezza, sullo scenario.
E’ cioè dunque nella paura del limite fisico, del tradire in esso e con esso una fragilità che in politica si stima essere - ma chissà perché, poi? - un difetto, che Renzi svela una parte insospettabile di umanità?
Facciamo solo un’ipotesi, smentibile – s’intende – nella misura in cui gli esperti comunicatori cui egli si affida abbiano invece calcolato nel dettaglio l’operazione, quale ennesimo strumento per fare in modo che se ne parli. “Bene o male purchè”, insomma, un vecchio refrain.
Ma l’uomo, qual è anche il politico, è fatto di pensieri, pulsioni, azioni che sono anche e soprattutto le paure e le angosce personali. Che non si devono vedere, che in linea di massima vanno edulcorate, quando non addirittura occultate. Salvo poi ostenderle quasi come bandiera quando la negazione non risulti più possibile. E che tuttavia permeano di sé ogni manifestazione dell’Io, quando essa ne tocchi e ne investa le parti profonde.
Renzi sembra un predestinato, uno di quelli che devono piacere, per un disegno complesso, e progressivo; quasi ci fosse, ad un certo punto, nel loro destino, l’inevitabile destino di piacere.
Nella complessità di quel disegno cadono molti elementi, tra loro anche diversissimi, generatori di una capacità di attrazione e seduzione, ma è evidente come tra essi non possa mancare – in ultima battuta – l’elemento corporeo. Perché il corpo parla, trasmette, rivela, abbaglia, tradisce. E infine attrae. O respinge.
Regola generale, questa, che non soffre eccezioni.
Sicchè il politico può anche fregarsene del corpo, come del resto testimonia la storia di tanti uomini e donne in politica (ultima delle quali la Merkel, verso la cui assenza di sex appeal Silvio Berlusconi ha usato discutibile quanto formidabile sintesi pop), e però solo nella misura in cui sappia fregarsene anche la persona, privata, che sta dietro alla personalità pubblica.
Capita ed è capitato, allo stesso modo, che alcuni non abbiano capitalizzato – in politica – la propria forza estetica. Per una Camila Vallejo che vince in Cile nel 2013, il bellissimo Lucio Magri non ha invece avuto una carriera pari alla propria avvenenza.
Forse è stata anche una questione di tempi, ragion per cui Renzi fa bene – almeno teoricamente – a porsi il problema.
Ben sapendo, in ogni caso, che l’avvenenza da sola non basta. E che talora risulta addirittura più complicata da gestire.
Vi sono infatti persone che piacciono per un caso totalmente estetico, il cui piacere non è quindi risultato di un destino complesso e progressivo, quanto piuttosto un dato di fatto, un elemento indipendente da ogni altro fattore eventuale.
Per loro piacere è naturale, semplice e pura bellezza. Ma nel diventare, talora, simboli ed icone, spesso la loro favola non ha lieto fine, perché le semplici bellezze finiscono infatti spesso in un modo altrettanto semplice, potremmo dire netto. O traumatico.
Ognuno, insomma, ha in sorte una sfida che si annida pure - sebbene in modo variabile, a seconda dell’indole del soggetto - nella propria personale dimensione estetica.
Nel sopravvivere all’imperfezione o, alternativamente, alla perfezione (o alla cosa ad essa più prossima).
La cosa curiosa è che uno come Renzi, all’apparenza graniticamente sicuro di tutto, fino alla noia, si sia confrontato con il tema in oggetto. Navigando nel quale non si può mai essere graniticamente sicuri di nulla. E in cui, soprattutto, non ci si annoia mai.
Ma questo è un bene, in quanto – sia la sua, ripetiamo, operazione commerciale o debolezza dettata dalla vanità – finalmente si mostra un profilo umano. E questo è positivo, è sano.
Lo è anche perché discuterne – sia pure in modo leggero – ci consente di affrontare in modo più accessibile un tema che già fu dibattuto dall’estetica filosofica del tardo Settecento, allorquando trattando del Sublime andava introducendosi nel pensiero occidentale un concetto fondamentale: ovvero quello per cui la bellezza non fosse soltanto mera avvenenza ed espressione di godimento ma comprendesse invece “il terrore, il timore reverenziale, la vastità, la confusione, la devastante intensità e l’indeterminata, incomprensibile oscurità senza forma che Plotino avrebbe visto come la bruttezza in sé. Il sublime integra l’idea di bellezza con la profondità psichica”.
Così scriveva Hillman ne La giustizia di Afrodite, facendo emergere la necessità di individuare nel bello – e nel suo essere perituro – una possibilità di stortura e di fragilità.
E, ripetiamo, di complessità.
Le varie figure mitiche che circondano Afrodite – le Ore, le Fate, le Grazie, Nemesi, e Temi – introducono infatti la necessità di non semplificare né spiegare l’identità con una singola emozione (il desiderio), una singola idea (la bellezza), o con una forza (la natura).
La costellazione del bello racchiude in sé la possibilità di confrontarsi con la giustizia, il desiderio, l’eleganza, il piacere, l’approfondimento psichico, la mancanza, la morte.
Confrontarsi con il bello esige quindi coraggio, disciplina, umiltà, stupore.
Ammesso che fosse quella la sua intenzione, nel farsi modello per un giorno Renzi ha reso un servizio utile.
{ Pubblicato il: 24.11.2013 }