[48] L’autore del Profilo si riflette in Francesco Nitti, ma non è un gioco di specchi. Piuttosto, è l’amplificazione di metodo e prassi di un liberalismo che nel tempo non smette di essere pensiero della modernità e azione modernizzatrice.
L’aggettivazione è superflua e fuorviante (ma forse utile a fare i distinguo nel Paese dei liberaloidi) quando si dice liberalismo per modernizzazione.
Intanto, perché la libertà è intrinsecamente modernità intesa come sviluppo (e riconoscimento) del Soggetto nel suo tempo storico, non come nuovismo svuotato dal giudizio di valore sulla traiettoria inarrestabile del “progresso”, che è la pretesa del postmoderno. E dei totalitarismi, nel loro essere post umani. Qualità primaria del liberalismo, questa, che non è esclusiva rispetto ad altre tradizioni di pensiero sul piano dell’elaborazione teorica come su quello delle battaglie, piano che insieme al liberalismo ha visto anche il socialismo democratico in prima linea nel Novecento nel conseguimento forse dei maggiori risultati della democrazia europea. Piero Gobetti e Carlo Rosselli sono in Italia le sintesi migliori del tempo tra culture differenti capaci di riconoscersi nella necessità di edificare nuove classi dirigenti capaci di rinnovare il Paese.
Il Profilo che ha scritto Vetritto restituisce con ricchezza e nitidezza questa urgenza modernizzatrice che attraversa il pensiero e la politica concreta di Francesco Saverio Nitti di fronte ai temi che la questione sociale italiana poneva ad una difficile sintesi liberale e democratica. E che Nitti intraprende giovanissimo da una precisa concezione ideale con fondamento positivo, contro le generalizzazioni e le astrazioni degli “economisti intellettuali” e di altre scuole che criticherà brillantemente dalle pagine della sua Riforma sociale. Come quando, con grande abilità, smonta il dogma del libero scambio:
"Una sola soluzione: il libero scambio, soluzione émise pour la première fois par des économistes… Ahimè! Da Aristotele in qua la scienza sociale non sarebbe che un vaneggiamento, poiché tutto, in conclusione delle conclusioni, si riduce a un rimedio negativo: non fare nulla. Anche di recente l'ingegnere Pareto (o delizie della ofelimità!), con quella violenza di linguaggio che gli è abituale, discutendo il progetto Crispi sulla Sicilia, affermava nel Giornale degli economisti (settembre 1894, p. 303) che basterebbe dare il libero cambio alla Sicilia per farla prosperare e far sparire i mali presenti.
Come il libero cambio possa agire sulla divisione delle classi sociali e influenzare profondamente i fenomeni della distribuzione, come possa soprattutto agire nel senso di una più equa distribuzione dei prodotti del suolo e dare ai contratti agrari una base diversa, è cosa che difficilmente si riesce a penetrare persino da chi è sostenitore convinto della libertà doganale… A tutti questi empirici che vivono, come i santoni maomettani, di poche formule, a tutti questi empirici, i quali battezzano per utopia ogni tentativo audace e non sanno e non intendono e non sentono che una sola cosa, bisogna ripetere ciò che Amleto diceva a Horatio: Vi sono, o Horatio, sopra la terra e sotto il cielo tante cose che la tua filosofia non può sognare" (Cf. F. S. Nitti, Recensione del libro di Combes De Lestrade, "La Sicilie sous la monarchie de Savoie", 1894).
Critiche lucidissime che gli varranno a sua volta altrettante accuse, sulla linea di quanto scriveva Turati su Critica sociale (10 aprile 1894) a proposito del Programma della Riforma sociale: "Una specie di albergo. L'eclettismo! La babele delle idee e delle lingue! Un colpo al cerchio e l'altro alla botte! Un'idea che elide la precedente e che smussa quella che segue! Un assieme che non urta nessuno e che fa buon sangue a tutti! Ma questo è l'ideale del carattere, della tradizione, del bon ton italiano!".
E se di carattere nazionale vogliamo parlare, una continuità forte di problemi e di atteggiamenti esiste da Nitti a noi. Quando si ripercorrono vita e pensiero di figure storiche che hanno ripensato radicalmente il loro tempo, è il presente a dettare su quale linea di senso ripercorrerne i contorni. Ed è qui, appunto, che c’è tutto l’autore dell’impresa, Giovanni Vetritto. Qui troviamo anche l’attualità del pensiero di Nitti, posto che tutto il pensiero è attuale in quanto farsi della Storia di fronte all’economia ristretta della vita.
E a mio parere, quel significato è contenuto in queste righe di Vetritto sul liberalismo di Nitti:
“… Aver condotto, da una simile difficile posizione, una battaglia coerente, seppure non sempre tempestiva, è un merito che a Nitti va riconosciuto senza ombre, tanto più oggi, in un tempo in cui la tradizione liberale torna d’attualità, ma in una versione troppo semplificata e ideologica. Le sue posizioni, proprio per questo, possono indurci a riflettere anche sul presente. Due sono i punti dell’impostazione politica di Nitti, rispetto ai quali egli riuscì ad assumere posizioni che rivestono ancora un grande interesse: il rapporto tra Stato e mercato e l’apertura delle istituzioni liberali verso le masse.” (p. 37)
Anche qui, volendo tentare una sintesi dei due punti - che necessariamente semplifica ma orienta la comprensione di un pensiero eclettico e instancabile nell’individuare questioni e imprese cui applicarsi, come si scopre leggendo questo Profilo - propongo una definizione nittiana nel suo essere rigorosamente individuata e pragmaticamente esemplificata ed applicata (la cifra di Nitti, in un certo senso):
"… essere liberali in ciò che riguarda la circolazione della ricchezza non vuol dire punto che si deve esserlo in quel che riguarda la distribuzione. Sono due cose perfettamente diverse che non vanno confuse". (F. S. Nitti, L'Associazione per la libertà economica e i suoi preconcetti, 1894, p. 460).
Nitti intendeva la modernizzazione come perenne creazione di nuove realtà sociali, e la modernità come perpetua lotta di minoranze – élites, classi dirigenti, la borghesia insomma - che emergono dalle masse e attraverso la propria azione illuminata realizzano l’emancipazione collettiva. Nel suo quadro delle leggi di sviluppo della società moderna rivestono un ruolo primario le politiche e la legislazione per il miglioramento delle condizioni di vita delle classi popolari, che attribuiscono allo Stato un ruolo di primo piano sul versante della distribuzione, e però in armonia con le leggi liberali della produzione. Anche guardando ad esperienze già realizzate, quale la legislazione industriale dell’Inghilterra del 1849.
Oggi soprattutto è illuminante la critica veemente che Nitti muoveva agli epigoni, ascoltati e influenti anche allora, dell’economia pura, della Scienza che tutto vede e sa, tranne i propri limiti e confini, interni della scienza ed esterni delle condizioni materiali di vita: “Il prevedere i fenomeni economici che accadranno in qualsiasi società potrebbe invero sembrare il compito del filosofo Barbanera da Foligno o del non meno celebre Pescatore di Chiaravalle” – scriveva sferzante Nitti, pensando a chi, come Pareto, offriva la propria Scienza alla conoscenza del decisore pubblico, a prescindere dal contesto, ovvero dall’osservazione della società: “i cultori della metafisica economica”, li chiamava. Coloro che, dai coefficienti di utilità, erano passati senza colpo ferire alle ofelimità, alle eugenesie, alla semiotica economica (La Riforma Sociale, 10 luglio 1894, a. I, n. 11-12).
Nitti, invece, doveva apparire un intellettuale modesto a costoro, per come era ossessionato dalla condizione sociale dell’Italia post unitaria nei suoi molti aspetti: il lavoro, il Sud, le élites intellettuali, la legislazione previdenziale ed assicurativa, i diritti dei lavoratori minori e delle donne lavoratrici. Tra marginalisti, scuola storica e socialisti della cattedra, il programma scientifico di Nitti si collocava autonomo ma vicino a questi ultimi, sul terreno della scienza utilizzata a fini pratici, per “fornire attraverso essa la necessaria preparazione a chi intraprendeva l’attività pubblica” (Programma de La Riforma sociale, 1894).
Quindi, una concezione pragmatica rigorosa della politica condotta attraverso il lavoro scientifico come attraverso l’attività politica. Un rigore tradotto in metodo: ricorso ai dati statistici, interdisciplinarità, misurazione e comparazione (su tutti il suo lavoro da responsabile della Sottocommissione per la Basilicata e la Calabria insieme ad Antonio Cefaly nel triennio 1907-09, quando i due visitarono le campagne di Potenza, Cosenza, Catanzaro, Reggio per interrogare migliaia di amministratori, funzionari, contadini); e un rigore teorico che significa conoscenza approfondita del piano analitico e delle sue implicazioni ed antidogmatismo nelle preferenze per le soluzioni ai problemi cui si applica.
È questa ancora oggi una lezione utilissima e mai appresa dai consiglieri del Principe come dallo stesso Principe, puntualmente mal consigliato. È, in fondo, la domanda della Regina Elisabetta agli economisti nel 2008. Che non ha tuttavia indotto alcun ripensamento di paradigma.
Ho prima citato Gobetti perché, per certi aspetti, il liberalismo di Nitti lo ricorda, per quanto differenti siano stati i percorsi di ciascuno nel proprio tempo. Lo ricorda quando affronta la questione delle disuguaglianze territoriali quali nodi strutturali rispetto al tema, anzi all’imperativo, dello sviluppo inteso come crescita e modernizzazione dell’Italia intera, anche passando per il conflitto sociale, del quale anche Nitti esalta il valore positivo per l’avanzamento della società stessa, citando Sombart.
E qui torniamo alla democrazia liberale prima dell’annacquamento dell’ultimo trentennio almeno che ne ha spacciata una versione di comodo per le carriere confortevoli dei consiglieri del Principe di cui sopra, in rottura con il socialismo e le sue radicalità. E posso bene immaginare la diffidenza che, ad un lettore poco informato delle vicende di cortile ma assuefatto al moderatismo dei giornali e dei manifesti politici, possano ispirare le pagine che Vetritto sapientemente sceglie di pubblicare in appendice, pagine di Nitti rivoluzionario liberale dedicate al Sud, all’intervento pubblico, all’Europa, alla politica del disimpegno. Una breve antologia che contiene le risposte a tutte le contraddizioni attuali nella comprensione della forza modernizzatrice del liberalismo generate dal rimosso, da ciò che è via via rimasto escluso - ai più - del pensiero e della prassi liberali rispetto al conflitto sociale, all’emancipazione collettiva, alla libertà, ma soprattutto al ruolo dell’azione pubblica democratica per rompere l’indifferenza e il quietismo dei cittadini smobilitando le risorse interne dinamiche del sistema, ovvero le classi dirigenti. Soprattutto a Sud. Quelle stesse borghesie che delusero tanto Nitti dimostrandosi incapaci di guardare oltre le paure che il cambiamento sociale generava in loro, di fare i conti con il carattere conflittuale della modernità e quindi di guidare il rinnovamento della società italiana e comprenderne i problemi.
La delusione di Nitti la si trova nelle parole sferzanti e ben scritte sul ministro medio, il tipo medio del ministro italiano, “colui che ha sempre grande fede nel’avvenire d’Italia, ha sempre molto soluzioni. Evita di concretare mai le sue idee in forma definitiva; in compenso è sempre affaccendato e preoccupato… L’ombra è più della luce nella politica italiana; il silenzio prudente giova più che la nobile sincerità; essere astemi di idee è assai meglio che averne. Sono saliti in alto i più degni? I migliori? I nuovi uomini che la folla parlamentare esalta hanno scritto qualche libro profondo? Hanno sostenuto qualche idea? Hanno dato la vita a qualche apostolato? No: sono le persone che non si compromettono, giovani vecchi, adulatori di basse passioni, uomini più di anticamera che di Camera, abili, astuti. Ecco le loro virtù”. (Cf. La confusione parlamentare di un Paese senza politica, 1906. Appendice antologica in G. Vetritto, Francesco Saverio Nitti. Un profilo. Cit.)
Per queste ragioni, metterei in guardia dal chiamare Nitti “uomo del Sud” quale egli in effetti era, certamente, perché si tratta di un apprezzamento - tale è nelle intenzioni di Vetritto - che finisce per essere una condanna alla marginalità dell'autobiografismo di un pensiero invece amplissimo e generale, contro la pretesa universalità degli altri, quelli nati a Torino, a Roma, a Milano, senza per questo essere uomini e donne ad una sola dimensione, geografica.
È certamente uomo del Sud rispetto all’osservazione precoce delle condizioni materiali di un territorio che però non resta il suo orizzonte di pensiero ed azione, in quanto egli lo trasferisce proficuamente agli altri territori, al metodo, alla scienze economica, alla politica sociale, all’Europa, alla critica delle burocrazie e delle classi dirigenti. Stilando un programma, in parte realizzato, fatto di leggi speciali, rottura dell’uniformità legislativa ed amministrativa territoriale, uso della finanza pubblica per lo sviluppo industriale e l’infrastrutturazione, e via dicendo.
Un programma da statista e studioso moderno, liberale di oggi, ancora valido. Purtroppo per l’Italia (e per il Sud).
E Vetritto lo sa.
Giovanni Vetritto, Francesco Saverio Nitti. Un profilo, Rubettino, 2013
[per i lettori: Giovanni Vetritto è un collaboratore del "Lunedì della critica"]
{ Pubblicato il: 23.02.2014 }