Pubblichiamo in anteprima un editoriale del fascicolo speciale di "Critica liberale" dedicato ai dossier laici. Ricordiamo che il fascicolo può essere acquistato presso le edizioni dedalo - www.edizionidedalo.it - e sarà inviato gratuitamente a coloro che si abboneranno a Critica liberale 2014. Intendiamo anche aprire qui sopra un dibattito sui temi affrontati.
[51] Cinque giorni dopo l’annuncio delle dimissioni di papa Ratzinger, partecipai a una tavola rotonda organizzata da protestanti e da cattolici laici. Affidandomi all’abusatissimo incipit di Luther King, scherzosamente dissi che anch’io avevo avuto un “dream”: il prossimo papa si sarebbe chiamato Francesco. Rassicuro i nostri lettori: non sono un profeta. Ma era evidente che il conclave si sarebbe trovato di fronte a una scelta secca: o la chiesa cattolica trovava la forza di ribaltare se stessa così come si era andata configurando nei due ultimi papati o si sarebbe avviata a un
sempre più precipitoso declino. Dobbiamo riconoscere che la
chiesa è riuscita ad affermare la prima opzione. Che era obbligata, ma non per questo meno difficile. Sul conclave pesavano come macigni le ultime parole di Carlo Maria Martini: Roma era in ritardo di duecento anni. In effetti, i secoli sono molti di più, perché si dovrebbe arrivare almeno ai tempi della Riforma. O, per essere rigorosi, secondome, al Concilio di Nicea e a Teodora, quando l’idolatria della chiesa-istituzione ebbe la meglio sulla fede.
L’uomo prescelto è abilissimo. Conosce tutte le retoriche del populismo e della demagogia. Probabilmente crede profondamente alle cose che dice e le sa dire bene. Così è riuscito in questi mesi a lenire la disperazione diffusa nelle genti cattoliche disonorate da troppi suoi preti, e a dare
mostra di consapevolezza dell’immane tragedia in cui si trova
una chiesa che sta pagando il caro prezzo d’essere incapace di
conciliare le sue immobili Verità ispirate da un Dio unico, che
da millenni continua a ripetere lo sbaglio di sospingere i suoi
rappresentanti ufficiali verso gli errori più marchiani e i
comportamenti più feroci, con il dubbio e il relativismo che
sono condizioni originarie e consustanziali della Modernità.
Così la religione cattolica si è andata identificando per secoli con tutti quei poteri che hanno cercato di resistere all’affermazione dei valori liberali. Primo fra tutti quello della libertà di coscienza. Non a caso, fino ai nostri giorni la chiesa di Roma ha sostenuto ed è stata sostenuta dalle forze più
reazionarie e tiranniche della storia.
La melma in cui è sprofondata negli ultimi anni è solo
un corollario ignobile quanto inevitabile. Una coda infetta di
una storia troppo spesso immersa nel crimine. Rimediare a
tutto questo è un “vaste programme”. Direbbe de Gaulle.
Abbiamo apprezzato i dotti dialoghi intrecciati dal papa con
laici illustri. Però non ci hanno appassionato. Anzi, se
occupano tutta la scena, diventano persino armi di distrazione
di massa. Il bravissimo Melloni è stato molto chiaro quando
hamesso a fuoco la questione degli “scandali dellemalebolge”
e del “pandemonio romano”. Da cattolico ha ragione.Ma non
ci si può limitare a questo. Francesco potrà contrastare le
malebolge, più difficilmente riuscirà a decentrare e limare le
unghie agguerrite del pandemonio. Impossibile gli sarà, poi,
fuoriuscire dai rigidi binari della teologia tradizionale. Non
illudiamoci, non dico sulla Riforma, ma anche su riforme
consistenti. Comunque, auguri sinceri. Tuttavia ai laici
interessa soprattutto altro.
I laici, se sono tali, nel discorso pubblico è sconsigliabile
che si improvvisino “teologi della domenica”, anziché
mirare alla sostanza. Con la chiesa-gerarchia dovrebbero
aprire un confronto esclusivamente politico sulla libertà
religiosa, con tutti i suoi corollari. Sottolineando i vantaggi
reciproci provenienti da una politica separatista. È noto che
la chiesa cattolica nella dottrina e nella pratica (malgrado la
retorica ipocrita) ha sempre rifiutato il principio della libertà
religiosa. Libertà religiosa significa rinunciare ai privilegi, non
esigere trattamenti diversi dalle altre confessioni, astenersi
dall’assurdità di voler imporre con legge statale taluni
comportamenti anche ai cittadini che non riconoscono la sua
autorità.
La chiesa ha avuto un’occasione storica con la perdita
forzosa del potere temporale. Paolo VI l’aveva capito, ma non
ne ha approfittato a fondo.Da qui il ritardo epocale denunciato
da Martini. D’altronde conosciamo il fascino del Dio-Potere
sulle coscienze talari.Quindi, a parte le eventuali nuove forme
organizzative che rientrano nelle questioni interne, il papa, se
non vuole limitarsi alle chiacchiere, pur interessanti, non può
permettere che le singole chiese nazionali continuino ad
abbandonarsi a pratiche politiche opposte a quanto egli va
predicando. Altrimenti rapidamente perde credibilità su tutto
il resto. Persino “povertà” può essere parola ambigua. Anzi
grottesca, se si accompagna al rifiuto di pagare le tasse sui
propri commerci. O alla presenza quasi obbligatoria di un alto
prelato in ogni caso di malaffare e di corruzione che viene alla
luce. O all’ossessione di mettere bocca su tutte le questioni
politiche, anche su quelle che non hanno nulla a che vedere con
la fede.
Se la fede è affare di coscienza, che senso ha rimanere
aggrappati alla politica dei concordati? Questo è il punto
ineludibile. Sulla questione il papa non può far finta di nulla
e non agire.
La rinuncia al potere e ai privilegi ha un valore davvero rivoluzionario. Essere i primi a chiedere orgogliosamente un separatismo che sarebbe salutare sia per la chiesa sia per lo stato avrebbe il significato di sconfessione storica di ogni clericalismo. Di questamalattia infettiva congenita alle chieseistituzioni e agli stati illiberali.
Francesco ne ha la volontà e le forze?
Francesco di Assisi si avviò su questo sentiero, senza troppe chiacchiere.
{ Pubblicato il: 16.03.2014 }