[53] Questa la decisione del Comitato europeo dei diritti sociali: l'obiezione di coscienza del personale medico in Italia in casi di interruzione volontaria di gravidanza, non garantendo alle donne l'accesso ai relativi trattamenti, si pone in violazione delle norme riguardanti il diritto alla non discriminazione e alla salute delle donne.
Con decisione emessa in data 10 marzo 2014 (reclamo n. 87/2012 proposto da International Planned Parenthood Federation - European Network (IPPF EN) c. Italy) il Comitato europeo dei diritti sociali (ECSR) del Consiglio d'Europa ha dichiarato che l'art. 9 della l. 194/1978 - relativo al diritto di obiezione di coscienza del personale medico nei casi di interruzione volontaria di gravidanza - si pone in violazione degli articoli riguardanti il diritto alla protezione della salute (art.11) e alla non-discriminazione (parte V - articolo E) della Carta sociale europea riveduta.
Il reclamo, presentato dall'ONG internazionale International Planned Parenthood Federation European Network (IPPF EN) contro l'Italia, chiamava il Comitato a pronunciarsi sulla compatibilità con la Carta sociale europea del quadro normativo italiano in materia di servizi di assistenza alla salute riproduttiva e sessuale, ed in particolare a valutarne la conformità sotto il profilo del rispetto del diritto alla tutela della salute.
Secondo le doglianze dei ricorrenti infatti, l'articolo 9 della l. 194/1978, sebbene preveda l'obbligo per strutture ospedaliere e Regioni di assicurare l'accesso alla pratica dell'interruzione di gravidanza, non indica quali misure specifiche devono essere adottate al fine di garantire una adeguata presenza di personale medico non obiettore in tutti gli ospedali pubblici.
Il Comitato ha quindi concluso che il quadro giuridico di riferimento, combinato con l'elevato numero di medici obiettori presenti nelle strutture sanitarie del Paese, risulta in contrasto con gli standard europei.
Sulla medesima questione, pur sollevando profili di incompatibilità parzialmente diversi, è attualmente al vaglio del Comitato un altro reclamo collettivo contro l'Italia presentato dalla CGIL (n. 91/2013).
Le istituzioni europee interessate: Il Consiglio di Europa - il Comitato dei ministri- il Comitato europeo dei diritti sociali (CEDS)
Il Consiglio d'Europa fu fondato il 5 maggio 1949 con il Trattato di Londra ed é la principale organizzazione di difesa dei diritti umani del continente.
Include 47 Stati membri, 28 dei quali fanno anche parte dell'Unione europea, tutti firmatari della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, un Trattato concepito per proteggere i diritti umani, la democrazia e lo stato di diritto.
Organi principali del Consiglio d'Europa sono: il Comitato dei Ministri, il Segretario generale, l'Assemblea parlamentare, il Congresso dei poteri locali e regionali, la Conferenza delle Organizzazioni Internazionali non Governative e la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.
Il Comitato dei ministri elegge per un mandato di sei anni il Comitato dei diritti sociali , organo para-giurisdizionale composto da quindici membri indipendenti e imparziali- attualmente il Presidenti e del Comitato è Luis Jimena Quesada (Spagna)- allo scopo determinare se la normativa e la pratica degli Stati parte sia conforme alle norme della Carta sociale europea, dei suoi Protocolli e della Carta sociale europea (riveduta) del 1996.
Ogni anno gli Stati parte inviano un rapporto che indica il modo in cui essi hanno implementato le disposizioni della Carta e il Comitato esamina i rapporti e decide se la situazione nel Paese in questione sia o meno in conformità con ciascuna delle disposizioni contenute nella Carta: le decisioni del Comitato sono chiamate "conclusioni" e vengono pubblicate alla fine di ogni anno.
Se uno Stato non intraprende alcuna azione a seguito di una conclusione del Comitato europeo dei diritti sociali in cui viene indicata non conformità con la Carta, il Comitato del Ministri del Consiglio d'Europa adotta una risoluzione con la quale chiede allo Stato coinvolto di modificare la situazione a livello del quadro normativo o adottando specifiche politiche pubbliche.
Inoltre, ai sensi del Protocollo addizionale alla Carta sociale europea su un sistema di reclamo collettivo, adottato il 9 novembre 1995 ed entrato in vigore l'1 luglio 1998, possono essere presentati al Comitato dei reclami sulla violazione delle disposizioni contenute nella Carta sociale europea.
I reclami possono provenire, come nel caso di specie, nel caso degli Stati che hanno adottato la procedura, da parte delle seguenti organizzazioni: la Confederazione dei sindacati europei (ETUC), Business Europe (e UNICE) e l'Organizzazione internazionale dei datori di lavoro (IOE); di organizzazioni non governative con status consultivo presso il Consiglio d'Europa che fanno parte di una lista preparata a questo fine da un comitato intergovernativo ad hoc; da organizzazioni di datori di lavoro e da sindacati nel Paese interessato e, da organizzazioni non governative nazionali, nel caso gli Stati abbiano esplicitamente accettato la relativa disposizione: l'Italia purtroppo non ha ancora presentato una dichiarazione che consenta alle organizzazioni non governative nazionali di presentare reclami al Comitato.
Il Comitato prende quindi una decisione sul merito del reclamo, che invia alle parti interessate e al Comitato dei Ministri in un rapporto, reso successivamente pubblico entro quattro mesi dall'invio.
Il Comitato dei Ministri adotta, a maggioranza dei votanti, una risoluzione e in caso di constata carente attuazione della Carta sociale europea, a maggioranza dei due terzi dei votanti, una raccomandazione rivolta allo Stato parte contenente l'indicazione di specifiche misure per portare la situazione in linea con la Carta sociale europea.
Cosa succederà dopo la decisione del Comitato dei diritti sociali?
In linea di principio, ai sensi dell'art. 9 del Protocollo addizionale del 1995, a seguito della constatata mancata attuazione dei diritti sociali, il Comitato dei ministri adotterà una risoluzione o una raccomandazione che indirizzerà all'Italia e che potrà quindi contenere (la raccomandazione) misure specifiche da adottare per superare le criticità.
Lo Stato, ai sensi dell'art. 10 del Protocollo addizionale del 1995, darà indicazioni sulle misure adottate per dare effetto alla raccomandazione del Comitato dei ministri nel successivo rapporto da inviare al Segretariato generale del Consiglio d'Europa.
Al riguardo, il Ministero della Salute con un comunicato stampa dell' 8 marzo 2014ha reso noto che il documento del Comitato europeo dei Diritti Sociali del Consiglio d'Europa "non ha tenuto conto del quadro complessivo emerso dalle diverse relazioni sulla stessa legge, presentate ogni anno al parlamento" , anche se come si legge nella decisione del Comitato dei diritti sociali il Governo italiano non ha prodotto elementi e dati che potessero contraddire le informazioni fornite dall'organizzazione reclamante e che le mozioni approvate dal Senato e dalla Camera dei deputati nel giugno 2013 hanno confermato che le donne incinte sono obbligate a spostarsi da un ospedale all'altro del paese o recarsi all'estero e che é presente un incremento degli aborti clandestini, in particolare tra le donne immigrate; tale situazione comportando un rischio per la salute della donna e una discriminazione nell'accesso alle cure mediche.
Al riguardo, il Ministero della salute ha con il suddetto comunicato replicato che "dai dati puntualmente raccolti regione per regione dall'istituto superiore di Sanità, emerge con chiarezza che il carico di lavoro per i ginecologi non obiettori negli ultimi trent'anni si é dimezzato, passando da 3.3. aborti a settimana nel 1983 agli attuali 1.7 considerando 44 settimane lavorative in un anno " e che "il Ministero ha già avviato, insieme alle regioni, un monitoraggio che coinvolge ogni struttura sanitaria in cui potenzialmente potrebbe essere presente un accesso ivg e anche ogni singolo consultorio"; senza che vi siano dati riferiti alla condizione in cui si trovano le donne obbligate come scrive il Comitato europeo dei diritti sociali a spostarsi da un lato all'altro del Paese o all'estero e circa aborti clandestini in particolare tra le donne immigrate e anche se vi sia stato un monitoraggio sui tempi di attesa previsti dalla legge.
Tali misure possono apparire insufficienti a risolvere il problema delle donne interessate spesso costrette secondo le cronache a praticare "interventi di fortuna" con esiti anche nocivi in assenza di alternative ovvero a spostarsi in altri luoghi.
La vicenda dimostra la necessità di adeguati interventi nel rispetto della decisione del Comitato europeo dei diritti sociali, sia pure tenendo conto di un meccanismo procedurale non snello che comporta l'intervento del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa e successivi provvedimenti di adeguamento a possibili risoluzioni e raccomandazioni senza che consti la coercibilità di tali eventuali determinazioni.
Tutto ciò induce a riflettere più in generale sull'urgenza di dotare i cittadini europei di pari diritti civili e sociali, garantendone l'effettività degli strumenti attuativi e, ulteriormente, la loro conoscenza da parte dei cittadini: affinché non invalga una visione in termini puramente monetaristici della cittadinanza in Europa.
I dati dell'obiezione di coscienza nella decisione del Comitato europeo dei diritti sociali (rapporto percentuale tra ginecologi, anestesisti e personale paramedico e numero di obiettori- Dati 2009)
Il Comitato europeo dei Diritti sociali ha pubblicato nella decisione la tabella che segue:
GINECOLOGI ANESTESISTI PARAMEDICI
ITALIASETTENTRIONALE 1652 / 65,2 % 1684 / 43,1% 3498 / 31,5%
Piemonte 284 / 63,8% 227 / 40,9 % 367 / 20,8 %
Valle d'Aosta 18,2% 5 / 26,3 % 0 / 0,0 %
Lombardia 560 / 66,9% 607 / 47,1% 1000/ 40,3 %
Bolzano 26 / 81,3% 26 / 38,8 % 166/ 68,9 %
Trento 19 / 55,9% 21 / 31,8 % 367/ 22,4 %
Veneto 391 / 78,0% 430 / 49,0 % 1011/ 59,8 %
Friuli VeneziaGiulia 67 / 60,4% 39 / 36,1 % 174/ 30,5 %
Liguria (2008) 98 / 57,3 % 128 / 38,1 % 98 / 6,8 %
Emilia Romagna 205 / 52,4 % 201/ 33,9 % 315 / 25,3 %
ITALIA CENTRALE 681 / 69,5 % 700 / 52,3 % 2813 / 48,6 %
Toscana 219 / 62,2% 122 / 27,7 % 347 / 30,8 %
Umbria 62 / 63,3% 95 / 63,3 % 1038 / 62,5 %
Marche 85 / 62,0% 97 / 50,3 % 774 / 43,3 %
Lazio 315 / 80,2% 386 / 69,5 % 654 / 53,6 %
ITALIA MERIDIONALE 972 / 80,4 % 808 / 66,2 % 2415 / 56,5 %
Abruzzo (dati 2008)84 / 78,5 % 94 / 57,3 % 189 / 66,3 %
Molise (dati 2007) 24 / 82,8 % 28 / 77,8 % 73 / 82,0 %
Campania (dati 2007) 329 / 83,9 % 262/77,1 % 515/ 72,4 %
Puglia 340 / 79,4 % 274/ 61,3 % 953 / 73,5 %
Basilicata 69 / 85,2% 59 / 63,4 % 421 / 27,1%
Calabria 126 / 73,3% 91 / 64,5 % 264 / 78,1%
ISOLE 680 / 74,1 % 607 / 68,7 % 1747 / 72,5 %
Sicilia 541 / 81,7% 526 / 75,7 % 1426 / 87,0%
Sardegna 139 / 54,3% / 42,9 % 321 / 41,8%
L'intervento del difensore civico.
Sulla base dei dati del Comitato e tenutosi conto della decisione, avuto riguardo alle competenze in ambito e organizzativo e di gestione del servizio sanitario, il Difensore civico ha ritenuto di notiziarne di quanto sopra la Direzione regionale , nonché il Ministro affinché possano essere verificati i modi per garantire nelle strutture pubbliche ove si eseguono interventi in ambito di interruzione volontaria di gravidanza, l'accesso agli stessi trattamenti così come previsto dalla normativa per le donne che si trovino nella condizione di accedere al percorso in questione, ponendosi la corretta organizzazione dei servizi quale pre-condizione necessaria e a un tempo doverosa per l'Amministrazione.
{ Pubblicato il: 30.03.2014 }