di enzo marzo
Nessun commentoChi di populismo colpisce, di populismo perisce. Ormai siamo a un susseguirsi di svolte “storiche” ed “epocali”, come gli stessi modesti protagonisti si vantano. La prima la decide sul predellino di un auto Berlusconi in una domenica di novembre e la comunica al popolo italiano, come se fossimo nell’Argentina dei bei tempi peronisti. Il centrosinistra, che appena qualche ora prima al Senato strombazza la grande vittoria di non aver subito la sconfitta, si affretta a proclamare che la destra è a pezzi e che Berlusconi sta imitando il Partito democratico. A dir la verità, in questi ultimi mesi un’imitazione (patetica) c’è stata, ma non è stata quella della faccia rinfrescata del solito berlusconismo, bensì quella della nuova formazione Pd (definirla partito è ancora azzardato), che ha fatto passare per conquista democratica una pallida scopiazzatura (sotto i dettami di Giuliano Ferrara) del partito di plastica del satrapo Berlusconi. Se si rileggessero i meravigliosi articoli del 1994 di Norberto Bobbio contro la ridicola forma partito di Forza Italia allora nascente e mentalmente li si riferissero al Partito democratico, si vedrebbe purtroppo che quelle vecchie critiche si adattano perfettamente al nuovo populismo veltroniano. Le primarie con liste bloccate, tutte le decisioni prese dal Capo senza consultare nessuno, la nomina degli organismi dirigenti rigorosamente per cooptazione, un rapporto con l’elettore che esclude ogni mediazione del partito, le riunioni (quelle vere) cui partecipano solo i capibastone, e infine la definizione improvvisata di una politica che ribalta come un guanto la linea precedente e viene presentata soltanto dopo le primarie: sono queste tutte caratteristiche-novità che – siamo giusti – sono state inventate da tempo dal Padrone di Arcore e sono stabilmente nel suo repertorio. Persino per il sistema proporzionale, che è la rivoluzione che chiude la Seconda repubblica, il vassallum di Veltroni è destinato ad essere estremizzato nella Porcata n. 2 di stampo berlusconiano. Spesso il cinismo non paga. Le mosse di Veltroni sono soltanto molto arrischiate e ingenue. Tutti si interrogano sulla sua condotta autocratica a zigzag. Prevalgono i dubbi. Ma, a ben vedere, alcuni punti sono già chiari.
1) Il Pd di Veltroni, “a vocazione maggioritaria”, ha imboccato la via del populismo soft. Si spaccia per imitazione del partito democratico statunitense, ma ne è solo una caricatura. In Usa i partiti hanno forti radicamenti e articolazioni. La democrazia americana ha pesi e contrappesi. E primarie vere. Non le primarie barzelletta all’italiana, con liste bloccate, corpo elettorale incontrollato. I più “entusiasti” hanno potuto votare più volte. (A proposito, si può sapere in Campania i brogli come sono andati?) Gli unici vantaggi visibili sono nel rafforzamento del potere di vertice, già ampiamente assicurato negli anni precedenti dalla predeterminazione degli eletti in tutte le cariche pubbliche e dalla polverizzazione di ogni forma di democrazia interna. La faccia tosta non manca: la nuova leadership del Pd non si accontenta neppure dell’adesione plebiscitaria ex post, ma ha preteso la carta bianca ex ante. Berlusconi risponderà da par suo. Sono andati tutti a lezione da Putin. Assistiamo stupefatti alla competizione tra gli Stati Uniti (beninteso, non quelli autentici, ma come Veltroni li ha visti nei film) e il Sud America.
2) Veltroni ha formalizzato la legittimazione di Berlusconi. Ha così sconfitto definitivamente la linea della “demonizzazione”. Che era anche nostra. A ruota, gli sono venuti appresso i vari Bertinotti e tutti gli altri specialisti in terzismo. Dopo mesi che davano per spacciato il Cavaliere e giudicavano passatisti coloro che non smettevano di sottolineare la forza del vecchio Padrone, adesso diessini e tutti gli altri si accorgono della sua vitalità e scendono a patti. La svolta veltroniana ha però il piccolo difetto che la legittimazione del Cavaliere comporta logicamente la vanificazione dell’unica ragione storica dell’esistenza dell’Unione, e quindi del governo Prodi. Dissolta la “ragione sociale” ogni la ditta chiude i battenti. Se Veltroni avesse un minimo di coerenza dovrebbe proclamare il “rompete le righe”, il nemico non c’è più, anzi non è mai esistito, e dovrebbe assumersi la responsabilità di fronte agli italiani della caduta del governo e del ritorno di Berlusconi, in varie forme. Non ne avrà il coraggio e farà compiere il lavoro sporco al solito killer del centrosinistra, Bertinotti, già sperimentato braccio armato dell’inciucismo filoberlusconiano. Con gli applausi di Storace.
Tra le formule più ridicole che vanno per la maggiore sulle bocche dei politici e sui giornali c’è quella che definisce l’attuale sistema politico “bipolarismo forzoso”, là dove per “forzoso” s’intende che le intese di governo del centrosinistra non sono state strette per più che valide ragioni politiche, bensì da un sistema elettorale che obbligava “tecnicamente” ad alleanze “innaturali”. È una vera e propria falsificazione storica di cui si fa portavoce Veltroni.
L’Unione, ed anche coalizioni precedenti in sede nazionale e locale, sono state rese necessarie
da una scelta squisitamente politica: il nostro paese era stato “invaso” da un demagogo di destra, dal passato più che “chiaro”, che – col suo monopolio – portava nella politica la forza illegittima di un conflitto d’interessi che stravolgeva la democrazia italiana. Le forze democratiche (anche quelle di una “destra” normale) sono state costrette a unirsi per debellare questo pericolo. Non c’è nulla di più “naturale” (altro che “innaturale”) che forze democratiche, anche di sentire molto differente, facciano quadrato contro un pericolo comune. Nella coalizione di stampo ciellenistico non c’era e non ci poteva essere (nonostante la retorica falsificatrice) nulla di durevolmente programmatico se non una legislazione che riportasse la democrazia italiana alla normale competizione politica. Si è voluto fare l’opposto: costringere i “diversissimi” in un contenitore di programma generale unico. I risultati sono di fronte agli occhi di tutti. L’operazione ciellenista – secondo noi, che abbiamo sempre speranza nella saggezza del popolo italiano – non sarebbe stata neppure così difficile se a vantaggio di Berlusconi non avessero giocato sia il cinismo degli ex-comunisti sia l’ambiguità opportunistica della sinistra antidiluviana, sempre così estremista a parole ma sempre così corriva col potere e poco interessata a quella sovrastruttura che è la democrazia. Veltroni, che si affretta a voce a dichiarare di non essere stato mai comunista, di fatto può trovare solo nel Dna del suo partito d’origine le motivazione d’una linea cinica che altrimenti non avrebbe altra giustificazione. Non mi riferisco al compromesso storico (la Dc dei tempi di Berlinguer era “rose e fiori” in confronto al berlusconismo), ma alla linea togliattiana quando si dovette decidere il tipo di opposizione contro il fascismo. Si arrivò persino all’esaltazione del Diciannovismo fascista, all’abbraccio ai “fratelli in camicia nera”, al clericalismo più ipocrita e strumentale. Il fascismo non andava demonizzato, però ci si poteva scagliare violentemente con qualunque ingiuria contro i veri antifascisti intransigenti come quelli di “Giustizia e Libertà”. Anche in quell’occasione il Pci voleva battere l’avversario mostrando di accettarne e di legittimarne i valori. Errore storico grossolano, che nei decenni successivi i comunisti hanno fatto di tutto per occultare. Pure oggi siamo alla “Riconciliazione del popolo italiano”. Spaventa ritrovare quasi un secolo dopo le stesse parole, gli stessi vizi, gli stessi abbagli. Forse è un caso, forse no, ma proprio da quel ’35-’36 della nuova opposizione morbida comunista cominciò il periodo del grande consenso verso il Duce. Non vorremmo che la storia si ripetesse anche nelle conseguenze. Ancora oggi, gli ex-Pci non capiscono, o fanno mostra di non capire, la vera essenza del clerico-berlusconismo.
Né la sua pericolosità sul tessuto istituzionale, culturale e sociale. E quindi si dimostrerà essenziale il loro contributo alla consegna duratura del paese al Cavaliere
3) Il sistema proporzionale su cui vanno convergendo gli interessi “particulari” di Berlusconi e di Veltroni riporterebbero il paese alla peggiore Prima repubblica. È ovvio che se sono d’accordo per assicurarsi il predominio nelle rispettive aeree e per distruggere, senza alcuna vera discussione, la quindicennale “retorica” a favore dell’uninominale e del maggioritario, Peron il Grande e Peron il Piccolo approvano una legge elettorale ad hoc in un battibaleno. Tuttavia gli italiani sicuramente non capirebbero questo “contrordine compagni” e sentirebbero solo di subirla.
Dopo che è stata sottratta loro (grazie alle liste bloccate della Porcata1) la possibilità di eleggersi i propri rappresentanti, gli elettori perderebbero con la Porcata2 anche la scelta della futura coalizione di governo. Un bel regalo al totalitarismo strisciante. Un bel regalo alla rabbia grillesca. I partiti, ora già così detestati (non senza validissime ragioni), con le “mani libere” sui futuri governi sarebbero odiati, e il voto (l’ultimo residuo della nostra democrazia manomessa) sarebbe del tutto svuotato. Rimarrebbe il rapporto carismatico tra il Capo-padrone e il popolo-suddito (e forse anche plaudente sotto qualche balcone o in qualche gazebo). In mano ai cittadini non rimarrebbe nulla. È il populismo plebiscitario, bellezza…
4) Se questa linea porta solo vantaggi a Berlusconi, è disastrosa per il centrosinistra. Spieghiamo il perché. Prima di tutto, Veltroni non può pretendere di imporre maggioranze “variabili” in sede di riforma elettorale, o addirittura costituzionale, e in sede di governo.
Non può stare con Berlusconi nelle cose importanti e con i Verdi o i Socialisti nella travagliata vita dell’Esecutivo. E quindi pagherebbe immediatamente un prezzo carissimo sulla permanenza del governo Prodi. Ma c’è dell’altro, persino più grave. Veltroni sta trascurando un corollario. La forza di un partito non si misura solo compitando il numero dei voti, ma necessariamente valutando la sua possibilità di organizzare una qualche coalizione con probabilità di successo. Bene. Nonostante la grave crisi di rapporti tra i vertici delle forze di destra, la capacità di coalizione di Berlusconi è intatta e altissima. Sia perché col nuovo movimento populista è in grado di intaccare i partiti limitrofi e quindi di riportare i loro leader alla tradizionale sudditanza, sia perché l’impotenza del governo e l’esposizione d’una classe politica davvero troppo mediocre assicurano al centrosinistra una sconfitta pressoché sicura. E la previsione di una catastrofe elettorale certamente non è il migliore incentivo per le forze di destra e di “centro” a tradire i propri potenziali elettori e cambiare campo. Ma c’è soprattutto una ragione strutturale. La destra è composta dal partitone acchiappatutto di Berlusconi, il quale con la sua disinvoltura e irresponsabilità non ci pensa due volte prima di imbarcare anche i fascisti dichiarati di Storace e persino i nazisti dichiarati di Forza Nuova. Non parliamo dei razzisti e xenofobi della Lega. Il centrosinistra (ma il Pd si può dichiarare ancora di centrosinistra?) non ha alcuna attrazione coalizionale.
Anche se – nella migliore delle ipotesi – riuscisse a raccogliere lo stesso numero di voti della somma dei suffragi della Margherita e dei Ds, si fermerebbe lì. Prima di tutto, perché la (improbabile) Cosa rossa non sarebbe né disponibile né sufficiente. E, secondo, perché il masochismo veltroniano, così determinato a far fuori i piccoli partiti, non si rende conto che le attuali minuscole formazioni sono soprattutto nel centrosinistra. Il delirio di onnipotenza di certi veltroniani che vedono come primo obiettivo lo sterminio dei partners minori sarà pagato caro da tutti noi, perché si fonda sulla vana speranza di raccogliere, come Pd, tutti i voti delle forze massacrate. La storia elettorale, piena di dispersione di suffragi, insegna altro. Insomma, Veltroni, nonostante le apparenze, sta costruendo pervicacemente la sconfitta e il suo isolamento politico. Oggi avrebbe difficoltà a dire chi gli è più prossimo, e su quale politica. A meno che…
Però, ovviamente, tutto questo ragionamento cade miseramente se nella testa del capo del Pd c’è non la costruzione di un’alleanza di governo vincente e alternativa a Berlusconi, bensì una partecipazione numericamente e politicamente subalterna a un’alleanza col nuovo Peron. Questa ipotesi per ora non la prendiamo in considerazione. Non perché non se ne vedano tracce qua e là, ma perché avremo tempo…
5) Il proporzionale, per sua natura, spinge alla conflittualità e alla sottolineatura delle identità particolari. Anche solo parlarne non è una vera manna per tenere in piedi la maggioranza più scassata degli ultimi decenni… Già stiamo osservando come solo l’ipotesi di un nuovo scontro elettorale abbia acceso lo spirito identitario della Cosa Rossa. Invece di sottolineare ciò che unisce la maggioranza di governo, i vari spezzoni della Cosa Rossa si dilettano a coltivare la preistoria. Diliberto è il più bravo in questa macabra operazione che paradossalmente sembra concertata dal più grezzo ufficio stampa di Arcore. I comunisti amano indossare la maschera totalitaria come se l’immagina la più fervida fantasia propagandistica del Cavaliere. La mummia morta di Lenin, le mummie viventi del dittatore cubano o del dittatore futuro Chavez o della burocrazia incartapecorita della Cina, le ancora più antidiluviane falci & martello, la riproposizione in italiano di quell’essenziale contributo alla modernità europea che viene dato dal “Granma” cubano: non manca nulla nella recuperata idolatria di quella ideologia che compete con quella nazista nella gara di chi sia stata la più mortifera nel secolo scorso. Tutto bene. Anzi male. La Cosa Rossa in questo precipitoso ritorno alla pre-Bolognina si isola, diventa sempre più bigotta e opportunista: continuando così avrà molto tempo in futuro per dedicarsi alle reliquie pre-’89. Solo che non si capisce che ci stiano a fare in questa accozzaglia decrepita gli Occhetto, i Mussi e i Verdi. E, diciamo la verità, anche alcuni altri personaggi intelligenti dell’Estrema. Tutto questo indebolisce maledettamente sia il Governo sia le possibilità di accordi futuri.
Il proporzionale danneggerà direttamente anche il Pd, che di identità o non ne ha affatto o ne ha troppe. Non basteranno le carezze sulle capocce dei bambini o le lacrime facili o un ecumenismo dove c’è tutto e il contrario di tutto, né la certezza che dopo le elezioni europee gli eletti pd porteranno ovunque il sale del riformismo dividendosi fra tutti gli schieramenti in campo. Quando bisognerà presentare una politica di alleanze con chances di vittoria e con scelte programmatiche, sarà sufficiente lasciar intravede la possibilità di allearsi con l’Udc di Cuffaro e di Mele? Per ora si vede soltanto ciò che unisce il Pd al berlusconismo. Sia Berlusconi all’indomani della “sparata” populista, sia Veltroni dopo la “sparata“ proporzionalista si sono precipitati a farsi benedire dal cardinal Bertone. Pure in questa gara a chi è più clericale il nostro Veltroni, anche se ce la mette tutta, arriverà secondo.
{ Pubblicato il: 12.12.2007 }