Dal 1969 la voce del pensiero laico e liberale italiano e
della tradizione politica che difende e afferma le libertà, l'equità, i diritti, il conflitto.
"Critica liberale" segue il filo rosso che tiene assieme protagonisti come Giovanni Amendola e Benedetto Croce,
Gobetti e i fratelli Rosselli, Salvemini ed Ernesto Rossi, Einaudi e il "Mondo" di Pannunzio, gli "azionisti" e Bobbio.
volume XXIV, n.232 estate 2017
territorio senza governo - l'agenda urbana che non c'è
INDICE
taccuino
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67. paolo bagnoli, la nostra preoccupazione
68. coordinamento democrazia costituzionale, appello alla mobilitazione per una legge elettorale conforme alla Costituzione
106. comitati unitari per il NO al “rosatellum”, l’imbroglio degli imbrogli
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territorio senza governo
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69. giovanni vetritto, l’italia del “non governo” locale
73. pierfranco pellizzetti, alla ricerca del civismo perduto
79. antonio calafati, le periferie delle metropoli italiane
84. paolo pileri, molta retorica, pochi fatti
86. giovanni vetritto, post-marxisti inutili
88. valerio pocar, primo comandamento: cementificare
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astrolabio
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89. riccardo mastrorillo, finanziare sì, ma come?
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GLI STATI UNITI D'EUROPA
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93. sarah lenderes-valenti, la risorsa più grande
94. luigi somma, le democrazie invisibili
97. claudio maretto, la discontinuità paga
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castigat ridendo mores
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100. elio rindone, basta con l’onestà!
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l'osservatore laico
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103. carla corsetti, il principio di laicità
107. gaetano salvemini, abolire il concordato
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terrorismo e religione
109. pierfranco pellizzetti, jihad combattuta alla john wayne
114. alessandro cavalli,quattro cerchi
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lo spaccio delle idee
117. gianmarco pondrano altavilla, cari liberisti, chi conosce un buon medium?
118. luca tedesco, savoia o borbone? lo storico è un apolide
«Passans, cette terre est libre» - Abbiamo scelto come logo la fotografia d'un autentico "Albero della Libertà" ancora vivente. È un olmo che fu piantato nel 1799 dai rivoluzionari della Repubblica Partenopea, Luigi Rossi e Gregorio Mattei, a Montepaone Superiore, paese dello Jonio catanzarese. La scritta 'passans ecc.' era qualche volta posta sotto gli "Alberi della Libertà" in Francia.
Mauro Barberis, Piero Bellini, Daniele Garrone, Sergio Lariccia, Pietro Rescigno, Gennaro Sasso, Carlo Augusto Viano, Gustavo Zagrebelsky.
* Hanno fatto parte del Comitato di Presidenza Onoraria: Norberto Bobbio (Presidente), Vittorio Foa, Alessandro Galante Garrone, Giancarlo Lunati, Italo Mereu, Federico Orlando, Claudio Pavone, Alessandro Pizzorusso, Stefano Rodotà, Paolo Sylos Labini. Ne ha fatto parte anche Alessandro Roncaglia, dal 9/2014 al 12/2016.
Basta fare un salto su “Wikipedia” per leggere la definizione del “Cartello”. Dicesi “cartello” «l’accordo fra più produttori indipendenti di un bene o di un servizio per porre in essere delle misure che tendono a limitare la concorrenza sul proprio mercato, impegnandosi a fissarne alcuni parametri, ecc.». Il Cartello è la figura principale dell’oligopolio. E’ la bestia nera del liberalismo economico. Negli ultimi mesi abbiamo visto la singolare realizzazione più o meno silenziosa d’un Cartello politico tra Berlusconi e Veltroni con lo scopo di assicurare a entrambi 1) il progressivo potere monopolistico nella propria area d’influenza; 2) una seconda fase post-elettorale per introdurre norme e regole che rendano forzoso e irreversibile il monopolio del Cartello stesso; 3) la fine del conflitto tra i due poli, attraverso la liquidazione del sistema maggioritario e il ritorno – senza alcun preventivo dibattito politico – a un proporzionale bastardo. A un nuovo sistema troppo simile alla legge Acerbo che portò al consolidamento definitivo del fascismo.
Con l’attuale rapporto di forze il Cartello assicura a Berlusconi la posizione dominante e a Veltroni congrue ma subordinate posizioni di potere. Il terreno di prova del Cartello è stato la Tv pubblica, dove il monopolio di Berlusconi è stato assoluto e i ds hanno offerto con Annunziata e Petruccioli la copertura al potere di Raiset. Con alcune briciole in cambio. Fatto l’accordo, i due competitori, più che a combattersi, come avviene in qualunque competizione democratica, si sono impegnati a fare tabula rasa nella propria sfera d’influenza. Berlusconi ha messo immediatamente in ginocchio il velleitario Fini, riducendolo in un notabile del Pdl, e si è tolto di torno il pretenzioso Casini, mirando così (risultati elettorali permettendo) un dominio incontrastato. Veltroni, da parte sua, ha potuto comprare per un piatto di lenticchie sia Di Pietro sia i radicali, nonché liquidare il fastidioso partito dei socialisti perché detentore di un prezioso marchio di fabbrica europeo. La Sinistra arcobaleno sarà destinata all’irrilevanza, anche grazie al suo stesso contributo.
Secondo vantaggio immediato: Berlusconi ha ottenuto la piena legittimazione da parte degli avversari (un tempo si sarebbe detto che è stato fatto entrare nell’”arco costituzionale”). Con un solo colpo di spugna il ceto politico più squalificato del mondo occidentale è diventato improvvisamente “normale”. Veltroni da parte sua incassa la fine d’ogni polemica sull’Unipol e le cooperative rosse, e la possibilità di non uscire definitivamente dal gioco grazie a un inciucio definito graziosamente “larghe intese”, destinato – se si realizza – a concretizzare la seconda fase di completamento e di istituzionalizzazione delle regole ferree del Cartello.
Contemporaneamente, è partita per i Ds la lunga marcia delle “scatole cinesi”. Essendo più potenti della Margherita hanno conquistato il controllo del patto di sindacato che gestisce il partito democratico. A sua volta il partito democratico, ostentando una “vocazione maggioritaria” (ma quale partito non l’ha?), intende fare piazza pulita dei suoi vicini, o annettendoseli o comprandoseli o distruggendoli o emarginandoli. Intanto, l’antagonismo verso l’avversario passa nettamente in secondo piano. È più importante essere primi nella propria area di mercato politico che tentare di governare e di mettere in minoranza la destra. Alla fine di questo processo di progressiva conquista di pacchetti azionari altrui, i ds immaginano di rimanere padroni assoluti nella loro fetta di mercato. Ovviamente questa strategia è oltremodo semplicistica, ed è cara.
Il primo prezzo da pagare (ma i ds sono in grado di pagarlo, visto che sono gli unici in tutto lo schieramento politico a essere totalmente “vuoti” di valori, di politiche, di tradizioni ostentabili) è l’annullamento della Politica. Si può ingurgitare tutto, perché tutto viene svilito e reso insapore. Ci si trasforma solo in una macchina di potere che ha come fine la gestione del potere stesso. Purtroppo per il Pd, però, la realtà si muove lentamente ed è difficilmente riconducibile a schematismi velleitari. Così lo sbandierato obiettivo di “semplificare” il quadro politico, perché eccessivamente polverizzato (cosa che fa tanto fremere il qualunquismo nostrano), si è tramutato nel primo grande fallimento veltroniano. Al livello della stabilità governativa, il passaggio dal maggioritario al proporzionale ha comportato non più lo scontro tra due possibili leader ma la moltiplicazione dei contendenti (in questo caso quindici), e anche se non li prendiamo tutti sul serio, saranno almeno 4-5 i soggetti politici che dopo le elezioni potranno dire la loro e renderanno più complicata e fragile la governabilità. E il trasformismo andrà a mille. Poi, se ci limitiamo al solo schieramento di centrosinistra, la pluralità esistente prima non si è dissolta, tutt’altro, ma si è semplicemente trasferita quasi tutta all’interno del partito democratico, destinato dalla sua stessa voracità a ingessarsi politicamente. Nelle periodo delle belle intenzioni, nel Pd circolava orgogliosamente lo slogan che il Pd non era “il partito che scrive il suo programma”, bensì era “il programma su cui si erige un partito”. Il risultato è di fronte a tutti. Il partito è semplicemente un’accozzaglia di spezzoni di vecchia classe dirigente che va da una cultura vagamente di destra, omofoba e statalista, a residuali velleitarismi di sinistra, passando per un progressismo politicallycorrect di maniera. L’unico legame serio che unisce insieme le componenti di questo minestrone dai mille ingredienti contraddittori è il potere. Il programma non esiste perché il vero programma di un partito è la somma della sua cultura e dei suoi valori. Così come era ingestibile il governo Prodi, una volta abbandonata la sua vera ragione d’essere, così sarà ingovernabile il partito democratico. Dove c’è di tutto. E tutti daranno strattoni, sgomiteranno e si metteranno sul palcoscenico per farsi notare. Dove c’è di tutto dominano il nulla e l’immobilismo. Il Pd sarà pilotabile soltanto confermandolo come perfettamente antidemocratico, un partito monocratico che va avanti a slogan populisti e demagogici. Dove conta solo il Capo, che ogni quinquennio si fa riconfermare con plebiscitarie primarie fasulle.
Non sappiamo se questi programmi del Cartello si realizzeranno compiutamente. Ma questi sono i programmi del Cartello.
I PRIMI TRE GRAVI GUASTI
Il Cartello ha già prodotto tre gravi guasti: Che si possono riassumere in un solo grande disastro: tutto il dibattito politico è diventato improvvisamente astruso e irreale. Tutti non tengono conto della realtà, non ne parlano, non ci si misurano e pensano che basti il silenzio per scongiurarla. Il più grave rimprovero che si può muovere a Veltroni è che alla sua prima grande prova non si è dimostrato un vero uomo politico, perché un vero uomo politico non mente, non aggira la realtà, ma mette il paese di fronte all’effettiva situazione, non lo avvolge in un gas soporifero che nasconde i problemi. Non lo inganna con la propaganda. Non lo distrae col “buonismo” e con le carezze sulla testa dei bambini. Invece di apprestare le scialuppe di salvataggio e additare l’iceberg responsabile della catastrofe, Veltroni si è messo a dirigere l’orchestrina del Titanic. Se fosse stato all’altezza del suo compito, Veltroni non avrebbe esorcizzato il governo Prodi facendo finta di arrivare in Italia da chissà quale paese lontanissimo, ma avrebbe analizzato ciò che è andato bene e ciò che è andato male. E avrebbe dovuto sottolineare le cose positive e indicare dove si è sbagliato, e chi ha sbagliato. Al contrario, Veltroni si è limitato a perfezionare l’errore, perpetuandolo e ingigantendolo. Se fosse stato all’altezza del suo compito, Veltroni avrebbe dovuto affrontare lo scontro con l’avversario, non fare finta che non esistesse. Perché Berlusconi esiste, e Veltroni se ne accorgerà di quanto esiste. Avrebbe dovuto non rinunciare a priori alla competizione, confidando che una sconfitta annunciata sarebbe stata metabolizzata e quindi meno grave d’una sconfitta sul campo.
La realtà è diversa e, nonostante le complicità trasversali per occultarla, è assai deprimente e ha tre nuclei durissimi.
1) Il paese è al collasso. Ogni giorno i quotidiani riportano nuove cifre, dati, sondaggi, che dimostrano come il nostro paese sia precipitato agli ultimi posti nelle graduatorie europee su quasi tutti gli indicatori. La scuola e la giustizia sono in una crisi che appare irreversibile, il meridione è ormai nelle mani dell’intreccio della malavita organizzata e d’una classe politica apertamente connivente e inamovibile. Il 22 % dei giovani non ha il lavoro, la recessione economica incombe, le corporazioni son diventate persino sfacciate. L’Ordine degli avvocati non riesce a radiare neppure un suo membro dedito a corrompere i giudici. Il presidente del comitato di sorveglianza di Mediobanca, interdetto e sospeso dall’esercizio dei suoi uffici, viene raggiunto sempre più spesso - per reati finanziari - da incriminazioni e condanne, e non va in galera solo grazie all’indulto. Però nessuno, né politico né opinion leader, trova nulla a che ridire sul fatto che il capo della finanza italiana sia un tale personaggio. E mi limito alla cronaca degli ultimi giorni.
2) La classe politica negli ultimi anni ha dimostrato tutta la sua inconsistenza. La parola esatta sarebbe “imbecillità”. L’esperienza del governo Prodi è stata disastrosa, tuttavia l’accordo bipartisan garantisce che l’azione del passato governo non sia nell’agenda politica. Prodi ha grandi responsabilità, ma il suo governo era composto nella stragrande maggioranza da uomini della Margherita e dei Ds. Che ora fanno finta di non esserci stati. La strategia fellona era imposta proprio da questi due partiti. La negazione fin dall’inizio dell’unica “ragione sociale” che aveva unito tutti (ovvero l’antiberlusconismo) è stata la premessa della successiva litigiosità e della fragilità. Veltroni può anche non parlarne, ma non basta tacere per cancellare questa gravissima colpa e per rendere legittima la continuazione, anzi il perfezionamento, come se nulla fosse, della stessa strategia che si è già dimostrata catastrofica. Ora è la campagna elettorale a fornire la prova del nove dell’estraneità di questo ceto politico dalla realtà del paese. Tutti si abbandonano alla demagogia più spinta. (Anche noi di “Critica” possiamo promettere ai nostri abbonati l’esenzione dell’Ici e pensioni milionarie. Intanto non costa nulla). Tutto è avvolto nella fatuità più sfacciata. Veltroni nella Napoli ricoperta di immondizia promette addirittura di liquidare la camorra, quando non riesce neppure a far dimettere il suo sodale di partito, Bassolino, anzi lo protegge col bell’argomento che non è il solo responsabile. Dunque, parole in libertà. Si distruggerà la mafia, si faranno riconciliare Stato e Chiesa, si lotterà allo stremo a favore del “merito”, e intanto si dimostra cosa si intende per “merito”: avere il cognome giusto, lavorare come portaborse o come segretaria nell’ufficio giusto. Nel frattempo il silenzio tombale è calato sul conflitto d’interessi (ma che noia!) e sul monopolio televisivo. O su altri problemucci che inquinano la democrazia italiana. E viene la pelle d’oca a pensare alle prossime riforme elettorali, regolamentari e addirittura costituzionali che saranno bipartisan. Veltroni, se in questi ultimi anni fosse vissuto in Italia, si sarebbe dovuto accorgere che i Calderoli e i berlusconiani, proprio in questi tre campi, hanno dato il “meglio” di sé. E riesce a non ridere di se stesso. Ma gli interessi del Cartello incombono.
3) Il berlusconismo, ovvero quella “cultura” fatta di impunità, illegalità, assoluta mancanza di senso dello stato, egoismo sociale, sfruttamento personale della cosa pubblica, ha ormai contagiato il paese e l’opposizione tutta. Mentre scrivo, il rappresentante della parte estrema della sinistra (a parole), Bertinotti, a meno di una settimana dal voto, dalle colonne del “Giornale” di Arcore (un tempo alcuni maniaci osavano persino ricordare che quel foglio usciva in barba alla legge) tranquillamente tesse l’elogio del prossimo ministro dell’economia. Mostrando in anticipo quale feroce opposizione si stia apprestando. E qualche giorno fa l’autore del programma economico del Pd, Morando, non è stato da meno prendendosela col Pdl che non interpreta correttamente il genuino pensiero di Tremonti. Quello sì che è accettabile.
IL VOTO VUOTO E LE MANI LIBERE
Il veltrusconellum ci porta al voto in una condizione che non ha uguali nel mondo civile.
1) Durante la Prima Repubblica vigeva il sistema proporzionale. Si sa che quel tipo di votazione ha il pregio di fotografare l’esatto rapporto di forze tra i soggetti che partecipano alla competizione elettorale, non favorisce nessuno e, nello stesso tempo, lascia decidere all’elettore chi eleggere in Parlamento. Ha tuttavia un difetto: i partiti, dopo il voto e durante la legislatura, possono comporre e scomporre qualsivoglia formula di governo. Ciò che si guadagna in rappresentanza si perde in scelta sul governo.
Il sistema elettorale maggioritario, al contrario, non rispecchia l’esatta geografia politica del paese ma assicura all’elettore la decisione su quale sarà il governo e, nei collegi, anche sul proprio rappresentante parlamentare. Ovviamente bisogna essere flessibili, al di là delle preferenze personali un sistema è preferibile all’altro secondo la fase politica che si vive, e non bisogna neppure dimenticare che il maggioritario nostrano è stato incompiuto e imbastardito dal matterellum.
2) Il veltrusconellum realizza un vero miracolo. Noi lo chiamiamo “colpo di Stato”, lo è in senso proprio. Perché la Porcata più il Cartello assommano i difetti dei due sistemi elettorali e annullano i rispettivi pregi. L’elettore non sceglie assolutamente i propri rappresentanti, il premio di maggioranza per il partito più forte falsa largamente l’esattezza della “fotografia”, e in più i partiti sono lasciati liberi di decidere dopo il voto di scegliersi gli alleati che vogliono , per poi cambiarli come e quando preferiscono alla faccia degli elettori. I parlamentari sono nominati già prima del voto nella loro stragrande maggioranza dai vertici di partiti, che non sono vincolati ad alcuna regola, né ad alcuno straccio di controllo democratico. I “nominati” sono quindi dei semplici funzionari di partito. Insomma, il povero elettore non può decidere né il suo rappresentante né la formula di governo. E’ la fine del parlamentarismo. Questa “somma di vizi” e questo “annullamento di virtù” ci fa giudicare questo “colpo di Stato” assolutamente indigeribile.
L’ARCA DI NOE’
Diciamoci tutta la verità. Un cittadino virtuoso, il 13 aprile, dovrebbe rifiutarsi di farsi prendere in giro e dimostrare la propria avversione al “colpo di Stato” annullando il proprio voto e lasciando i Veltroni soli con le sue ragazzotte furbastre e le sue segretarie, e i Berlusconi soli con i suoi Ciarrapichi e i suoi Dell’Utri. Per la prima volta nella mia vita credo che, ridotto così a spazzatura il rito democratico del voto, sia più legittimo il non-voto. Nonostante ciò andrò a votare. E’ una malattia di noi riformisti non arrendersi mai. Anche se la ragione fa giudicare disperata la situazione. Cercherò però di contraddirmi il meno possibile. Esclusi i due partner del Cartello, voterò alla Camera per la lista socialista. Il diluvio la spazzerà dalla scena parlamentare, ma ha ai miei occhi il pregio d’essere l’unica “debolezza” che il Pd non ha potuto o voluto comprare. L’unica forza che è situata nella sinistra italiana tra il minestrone “democrat” e l’antidiluviana Cosa Rossa. Per il Senato il voto dovrà essere calibrato regione per regione in modo da fare il più male possibile al veltrusconi. Non potrà che essere un voto che sottragga eletti alla lista berlusconiana e un voto contro le “larghe intese”.
Da tempo “Critica” va sostenendo che la crisi italiana, tra le tante cause, ha anche quella di non avere la rappresentanza delle forze laiche della modernità. I nostri lettori si ricorderanno le prediche sul “buco” di liberalismo. E’ stata ed è la mia ossessione. I liberali non sono riusciti a organizzarsi, i socialisti saranno spazzati via dal Parlamento. Il voto a loro favore è quello che più assomiglia all’annullamento della scheda o all’astensione come scelta consapevole. Votare per questa area laica stavolta avrà purtroppo un valore quasi solo simbolico. Ma non per questo meno importante. Perché esprimerà anche la volontà di apprestare chiodi e martelli per costruire proprio in quest’area un’Arca di Noè che sappia resistere al duraturo diluvio universale della fine della democrazia anche formale nel nostro paese. Un monaco tibetano in questi giorni ha pressappoco detto: «avranno i nostri corpi, ma non vinceranno perché non possono avere le nostre menti». L’Arca di Noè sarà la nostra resistenza, il nostro non allineamento al conformismo nazionale. Bisognerà mettersi di buzzo buono a ricostruire dal nulla, e non è detto che sia più difficile, perché i guasti saranno sempre più evidenti. Inoltre ogni programma, anche il più perversamente studiato, ha mille falle. Noi siamo qui. Sono sicuro che buona parte della società italiana non mollerà e troverà il modo di far sentire la propria opposizione civile e morale.
TU QUOQUE, PAULE MI…(con una nota acida)
Caro Paolo Flores d’Arcais, questa volta hai esagerato. Sai quanto stimi la tua capacità di organizzatore culturale. Forse non hai uguali in Italia. Ma questa impareggiabile abilità di smuovere idee e di aggregare persone si accompagna a un’incapacità altrettanto consistente nel giudicare situazioni politiche e uomini. E poi ti tradisce sempre lo spirito di clan. Così nel passato prossimo facesti sorgere dal nulla, e mettesti insieme, l’opposizione antiberlusconiana di massa, ma poi assistesti silenziosamente alla sua liquidazione e al regalo da parte di Moretti dell’intera esperienza girotondina al Fassino di turno. Ancora peggio, fosti mallevadore di quell’alleanza Di Pietro-Occhetto che, tirando la coperta troppo a sinistra, portò a Berlusconi buona parte del voto dipietrista (secondo miei calcoli almeno 500 mila voti) che con combinazioni elettorali differenti sarebbe rimasto all’interno dello schieramento di centrosinistra. Se ci mettiamo anche noi a portare acqua elettorale a Berlusconi siamo proprio fritti. Però così andò, e fu errore di una gravità inaudita. Ma veniamo all’oggi. Ha fatto clamore la tua decisione di far votare per Veltroni. Spero di riassumere con precisione le tue tesi. Tu scrivi che sbagliavi quando dicesti al centrosinistra: “non ci tureremo più il naso, non vi voteremo più”. Adesso, però, consideri (e io con te) che il pericolo Berlusconi sia esiziale per il nostro paese, e che con questo sistema elettorale alla Camera se Veltroni (tu sei sempre generoso e gli affianchi. ogni volta che lo citi, i due fantasmi Di Pietro e Bonino) «otterrà anche un solo voto in meno della coalizione berlusconiana la nostra democrazia sarà finita» e tutti noi «avremo cooperato concretamente e irreversibilmente a cinque anni di governo Berlusconi seguiti da sette anni di Berlusconi al Quirinale». (Qui apro una parentesi: noi di “Critica” siamo stati i soli – e lasciati soli – durante la crisi del governo Prodi a sostenere che fosse meglio votare subito perché il voto dopo giugno avrebbe garantito che la legislatura berlusconiana avrebbe potuto eleggere il successore di Napolitano. Noi, soli soli, mentre tutti, Veltroni in testa, facevano carte false per guadagnare qualche mese e infiocchettare il regalo in più che andavano facendo a Berlusconi. Ma noi siamo stati fortunati, Veltroni è stato sfortunato e il cadeau completo a Berlusconi non lo potrà fare: per qualche settimana la prossima legislatura berlusconiana non eleggerà il nuovo Presidente della Repubblica).
Dunque tu ritorni al “turiamoci il naso”, al voto per Veltroni e per il Pd. Lo stesso ragionamento (di cui poi discuteremo) fa immediatamente acqua quando lo riferisci anche al Senato. Tu stesso fai notare che pure per Palazzo Madama c’è un premio di maggioranza, seppure distribuito in modo diverso, e sottolinei che «le liste minori devono raggiungere un quorum quasi improbo, l’8 per cento, al di sotto del quale tutti i loro voti valgono zero». La tua riflessione, coerentemente, dovrebbe portare a un’analisi molto accurata sulle aspettative di voto regione per regione e alla decisione di considerare “voto utile” al Senato anche quello per le liste che sfiorano l’otto per cento e non solo per il Pd, altrimenti collabori a buttare i voti, tutto a favore di Berlusconi.
Ma torniamo alla Camera. Il Flores d’Arcais indossa per la prima volta le vesti del “realista”. Ma a sproposito. Diventi anche un po’ sbrigativo: «non possiamo invece far finta di non sapere. Sarebbe disonesto, sarebbe immorale». Ben detto. Ma perché fai finta tu di non sapere:
1) che alla Camera la partita è già perduta da tempo. Tutti, dico tutti, gli osservatori politici sono sicuri che Berlusconi ha un vantaggio consolidato, e stabile da settimane, circa del sette per cento. Il professor Roberto D’Alimonte, che è assai autorevole e certo non un fan del Popolo delle libertà, il 28 marzo ha riassunto la situazione confermando il distacco dei sette punti e (sulla base di una ricerca Ipsos sugli indecisi) concludendo che Veltroni per vincere dovrebbe conquistare il 73 per cento dei dubbiosi. Invece sia tu sia io sappiamo che l’astensionismo sarà maggioritario proprio a sinistra, per ragioni che sia tu sia io conosciamo bene;
2) che la competizione per conquistare il determinante premio di maggioranza alla Camera non è mai esistita e il primo a non volerla è stato proprio Veltroni quando ha deciso ufficialmente a) di “correre da solo” e di non provarci neppure ad aggregare uno schieramento alternativo a quello della destra; b) di non citare neppure l’avversario, anzi di portare a termine il processo di legittimazione del berlusconismo cominciato con l’inciucio dalemiano dai tempi della famigerata bicamerale e del “patto della crostata”; c) di non accordarsi con i radicali e i socialisti per un apparentamento che avrebbe acconsentito d’acchiappare voti laici; d) di respingere addirittura i voti socialisti, ben sapendo che si possono vincere le elezioni (il 2006 docet) anche con i suffragi di un condominio; e) di dichiararsi disponibile alle “larghe intese”, per di più proprio sulle regole. Se la vedrà con Calderoli.
Ti erano sfuggite queste notizie?
Conclusione: questi dati di fatto e questa politica hanno l’unico vantaggio di rendere anacronistica e perfettamente inutile l’ambascia della scelta del “turarsi il naso”. L’abbiamo subìta tante volte, adesso ci è stata affrancata. Anzi, “turarsi il naso” porta a un risultato che aggiunge il peggio al male. Perché non raggiunge l’obiettivo da te sbandierato, non so con quanta convinzione, e ottiene che alla deprecabilissima vittoria di Berlusconi si aggiunga una relativa affermazione di Veltroni. Sarebbe riconfermata la sua visione demagogica, populista e non conflittuale della politica. Al berlusconismo si aggiungerebbe il non anti-berlusconismo. Sarebbe l’affermazione del Cartello. Così non solo avremmo perduto il governo, ma avremmo il risultato di una “non opposizione”. Avremmo perduto il presente, ma cosa ancora più grave avremmo contribuito a compromettere il futuro. Quando Berlusconi, facendo propri due sciagurati punti programmatici di Veltroni, vorrà far saltare l’obbligatorietà dell’azione penale e si sbrigherà ad approvare una bella legge contro la libertà di stampa sulle intercettazioni, tu e Travaglio piangerete lacrime di coccodrillo di fronte all’acquiescenza o alla complicità della controparte.
Purtroppo il tuo finale sui candidati mi fa tremare, perché contraddicendo la parte iniziale sembri considerare di qualche importanza la presenza nelle liste di alcuni nomi eccellenti, come se i deputati “nominati” dalle oligarchie incontrollate dei partiti non fossero che funzionari irrilevanti. Come se intervenissero nella partita. Voglio sperare che non sia stata la presenza del buon Pancho Pardi nelle liste Di Pietro-Veltroni ad averti fatti cambiare idea, da quando l’avevi giusta. La sostituzione di De Gregorio con Pardi non cambierà nulla. Le generazioni passano, il trasformismo resta. Per finire: anche Travaglio è della tua stessa idea. Proclama di votare per Di Pietro-Veltroni. Anche se, per non farsi beccare in flagrante contraddizione, è lui stesso a elencare le malefatte di Di Pietro. Questa volta Travaglio ha intaccato gravemente la sua credibilità di cerbero censore di chi ruba persino un francobollo. Non mi aspettavo la sua incoerente indulgenza nell’assolvere Di Pietro e le sue «cadute di stile» (ora anche Travaglio si è convertito agli eufemismi: “caduta di stile” sta per disinvolta gestione bulgara dei soldi del partito, come il peggiore della Casta). Ma Travaglio almeno è più chiaro, si disinteressa della politica: chiude tutti e due gli occhi per la contentezza d’avere alla Camera un amico, quel Pancho Pardi, quello del Palavobis e di tutti i girotondi di un millennio fa. Travaglio dimentica che Pardi, ormai in pantofole, sarà iscritto d’ufficio al gruppo Pd della Binetti, dei Fioroni, dei Del Vecchio, dei Calearo, eccetera eccetera. Lotterà duramente per la democrazia assieme a Bassolino[1].
[1]E già che ci sta, gli consigliamo di dare un’occhiata a quanto scrive “Democrazia e legalità” sul partito che si è apparentato col Pd dopo aver tentato invano l’alleanza con Baccini e Pezzotta, e nelle cui liste si presenta: «Nell’incontro del 2 Aprile a la Spezia, presenti Marco Travaglio ed io, alcuni dei partecipanti hanno chiesto informazioni su Di Pietro e sulle vicende di cui si parla da tempo sui giornali: immobiliari in Italia e all’estero, affitto al partito di due case di sua proprietà, gestione del finanziamento pubblico, direzione teocratica dell’IDV. Travaglio ed io abbiamo dato valutazioni diverse (cosa nota), ma io ho raccontato un fatto che ho scoperto da poco tempo e che forse nemmeno Travaglio conosceva, tanto divertente ( si fa per dire) da ricordare la caduta di Mussolini ad opera del Gran Consiglio. Il fatto è questo: accanto al partito Italia dei Valori, opera un’Associazione costituita davanti al notaio (e anche questo si sapeva) che ha caratteristiche e poteri unici almeno in Europa (e questa è la scoperta recente). Infatti nello Statuto datato 2004 c’è scritto: L’associazione è costituita da Di Pietro Presidente, da Silvana Mura Tesoriera e dall’avvocato Susanna Mazzoleni moglie di Di Pietro; - Nel consiglio dell’Associazione si può entrare solo con il consenso del Presidente davanti al notaio; - Il finanziamento pubblico che lo Stato dà all’Italia dei Valori va all’Associazione e non al partito che si finanzia con i soldi degli iscritti; - La Presidenza del partito è del Presidente dell’associazione, cioè di Di Pietro a meno che egli non vi rinunci; - La Tesoreria del partito è della tesoriera dell’associazione e cioè della Mura. Quindi, Camera e Senato distribuiscono il finanziamento pubblico convinti di darlo al partito ma li danno ad un’Associazione privata impenetrabile. Di Pietro rimane Presidente a vita del partito perché né gli iscritti né un eventuale congresso può sfiduciarlo e certo non lo faranno la moglie e la Mura. E anche Silvana Mura è nominata tesoriera a vita. Come esempio della riforma della politica non è male ed è anche un caso più unico che raro. Ma che c’entra Mussolini? C’entra, perché se avesse fatto il Gran Consiglio con donna Rachele e la Petacci il 25 luglio non lo avrebbero mandato a casa e il Re non lo avrebbe fatto arrestare. Tonino predica bene e razzola male. Gli piace tanto la democrazia. Ma quella degli altri. Però, in un paese come il nostro, è davvero una Bazzecola».(Di Pietro e il Gran Consiglio, di Elio Veltri). Pancho Pardi e i suoi sostenitori, tra cui Flores, non possono far finta di non conoscere tutto ciò, altrimenti cadono nelle ire di Flores e saranno colpiti dal suo anatema: «Non possiamo far finta di non sapere. Sarebbe disonesto, sarebbe immorale».