enzo marzo
Nessun commentoIl Pd è sovraccaricato dal fardello di ripetute sconfitte elettorali (meno che a Modica) e da un leader che non è più credibile né come oppositore del Cavaliere né come suo sostenitore. Scopre d’avere 17 correnti più o meno organizzate e una struttura dichiaratamente antidemocratica. Non sa più a che santo votarsi dopo il fallimento della strategia del “bipartitismo”, delle “mani libere” e dell’”andiamo da soli” (viene da ridere: il Pd, quando predicava la presuntuosa solitudine faceva l’intesa con Di Pietro, ora che cerca affannosamente alleati rompe quell’unica alleanza). Avendo esso stesso ridotto la sinistra a gruppuscoli resi dalla propria irrilevanza ancora più rissosi e nostalgici, si ritrova senza credibili alleati da aggregare. Al centro non gli restano che Casini e Cuffaro, che però aggiungono pochissimo in termini di forza e sottraggono moltissimo in credibilità e decenza. Nel frattempo, tutti i “cantieri” sorti nello spazio vuoto, obiettivamente enorme, a sinistra del Pd non stanno dando frutti rilevanti. Anche perché ciascuno vuole egemonizzare gli altri e rinuncia a confrontarsi con l’idea dell’edificazione di una sinistra moderna. Perché la modernità è incompatibile sia con la rimozione dell’”anomalia” berlusconiana sia con la fuga nel passato remoto. Anche chi non ha impacci di nostalgia, come i radicali e i socialisti, per tatticismo preferisce il silenzio reticente sul berlusconismo e lascia il dovere dell’opposizione al solo Di Pietro. I socialisti, addirittura, si sono accreditati il compito primario di fare opposizione all’opposizione.
Realisticamente non crediamo alla possibilità immediata di nuovi soggetti politici, tuttavia di questi ci sarà bisogno, perché ci pare illusoria ed elettoralmente perdente la scorciatoia dell’allargamento – per accaparramenti successivi – di un soggetto già esistente, che come tale ha ormai connotati così storicamente definiti che gli è impossibile riproporsi, con qualche possibilità di vero successo, alle nuove generazioni e a un elettorato giustamente disamorato se non collaborando alla costruzione di un crogiuolo di esperienze e d’idealità diverse ma tutte consapevoli della necessità di una modernizzazione della sinistra italiana. Senza questo esercizio di umiltà, tutte le “Costituenti” sono destinate al fallimento.
L’elaborazione del lutto sarà lunga. E resa più lenta dalla permanenza in gioco dei responsabili della “disgrazia”. Nemmeno Attila provocò un deserto così arido come quello causato dal veltrusconismo, e questo deserto è presidiato da figiciotti invecchiati, restii a prendere atto del fallimento che li insegue come un’ombra dalla loro gioventù inquinata da cattive letture anacronistiche e dal cinismo tattico di stampo togliattiano (ora Togliatti è additato ad esempio mirabile solo dalla destra più indecentemente furbetta dei Quagliariello e dei Galli della Loggia). Non resta che delimitare uno “spazio” che faccia riferimento a quanto di meglio ancora produce il pensiero liberale e socialista nel mondo, descriverlo, arricchirlo, delinearne contenuti e valori, indicare i suoi antagonisti. Questo è il fine del nostro Manifesto. E quindi cercare alleati. “Critica” crede di individuarli in coloro che sono stati massacrati negli ultimi anni dai nostri stessi avversari, cioè i berlusconiani, i filoberlusconiani, i clericali, i detrattori del valore del “conflitto”, i demolitori della nostra memoria e dell’identità italiana.
Papa Ratzinger con il suo ritorno all’integralismo e alla lotta dichiarata al liberalismo non ci ha molto danneggiati – noi liberali – perché conosciamo bene la grettezza e persino l’immoralità della chiesa preconciliare e antimoderna. Ma i cattolici democratici ne sono usciti distrutti (la sconfitta del prodismo è solo uno dei tanti effetti del nuovo corso reazionario della gerarchia romana). Quando Rutelli si è fatto prestanome di Ruini per allargare la Margherita a un’altra cultura cattolica (appunto, quella clericale e reazionaria della Binetti), il disegno dell’Ulivo (da noi sempre apprezzato) si è vanificato in una sorta di guazzabuglio con tutte le più contraddittorie politiche, e soprattutto si è ridotto a contenitore degli appetiti di potere dei ceti politici preesistenti. Ora il Pd è un surrogato di quart’ordine della Democrazia cristiana a conduzione post-comunista. Non ci coinvolge. Però riguarda i cattolici democratici, i quali non possono abdicare alla loro funzione, devono darsi corpo e visibilità. Devono approfondire il carattere anti-clericale della loro stessa presenza. Perché il clericalismo fa più danni a loro che a noi. Ugualmente devono porsi il problema della “riforma della politica”, se non altro per istinto di sopravvivenza. Perché è sul loro corpo che si consuma un esercizio brutale di potere senza regole. Devono confrontarsi con il liberalismo e col socialismo sulla questione sociale primaria, ovvero sulla compatibilità tra la diminuzione delle risorse e il dovere dello stato moderno di contrastare le disuguaglianze.
Se non rinasce la politica con valori, passioni, idee, se pieghiamo (come purtroppo hanno fatto anche i Girotondi) la politica allo “spettacolo”, la sinistra e il centrosinistra sono fritti. La sola speranza sta nel passare dalle conventicole al confronto aperto. Forse i nostri lettori lo hanno compreso: ci preoccupa B., ma ci inquieta assai di più la sudditanza politica e psicologica al berlusconismo di coloro che dovrebbero essere i suoi avversari. Nella fatuità dell’odierno dibattito si criminalizza l’antiberlusconismo come frutto di “odio”. Il conflitto politico, che è il sale della democrazia, è descritto come un criminale fratricidio che sta distruggendo il paese. Si copre con parole vuote come “dialogo” la rinuncia a “descrivere” il berlusconismo. Forse perché la sua raffigurazione “fotografica” rivelerebbe troppe collusioni, persino compromissioni irriferibili. Come si può pretendere, poi, che gli elettori maturino un giudizio critico, quando la quasi totalità dei politici e dei media sono occupati full time a occultare la realtà del fenomeno Berlusconi? Soltanto nei paese totalitari la rappresentazione del potere è fatta esclusivamente dall’immagine che il potere stesso dà di se stesso. Ci preoccupa il monopolio, ma ancor di più, per es., che il ministro-ombra dell’economia squami d’ammirazione, e lo dica e lo ripeta, per il ministro vero.
Con qualche ragione, i media hanno espresso il loro scandalo per la scurrilità del duo Grillo-Guzzanti (i quali, d’altronde, perfettamente inseriti in questo sistema, si erano proposti principalmente l’obiettivo del clamore), ma perché gli stessi media hanno chiuso in un trafiletto di poche righe, per es., la notizia – per noi “moralisti” agghiacciante – sul candidato a governare l’Italia che a pochissimi giorni dalle elezioni politiche si abbraccia e solidarizza con un tristo figuro, senatore e condannato a svariati anni di galera per un reato infamante, che spudoratamente aveva proclamato “eroe” un mafioso pluri-omicida come Mangano, il giardiniere di casa Arcore? Ugualmente, è più sconcio il grido della Guzzanti o il silenzio ostentato di Veltroni che consegna il paese ad ammiratori così sfacciati della criminalità organizzata? O, ancora, non è più inverecondo il televisivo «e chi se ne frega del lodo Alfano, ma concediamoglielo» del rifondarolo Sansonetti, all’unisono con Polito? Non vi sembra che Grillo sia un gentiluomo inglese dell’’800 in confronto al cinismo del solito intellettuale pseudoliberale come Galli della Loggia, che per rafforzare Berlusconi regala rilevanza alla categoria politicamente insignificante del “moralismo” e slitta dalla tradizione dell’antigiolittiano e “moralista” Albertini a quella del “realista” Pietro Croci, attacca Gobetti , perché – non lo crederete – si permise, da vero “moralista”, persino d’essere contrario a Mussolini, e (in un crescendo paradossale) se la prende con Giovanni Amendola, che osò scrivere da petulante “moralista” che «non gli piaceva» quell’Italia che di lì a poco lo avrebbe massacrato a manganellate.
Anche a noi quest’Italia così putrida d’ignoranza non piace. E non è “moralismo”. E’ consapevolezza di fatti, di biografie, di conoscenza di come e da chi viene gestito il potere. Non siamo ingenui, e nemmeno complici. Rivolere la democrazia con le sue regole e i suoi limiti, nonché lo stato di diritto, non è “moralismo” ma è un’”agenda politica” che vuole il ripristino delle condizioni democratiche della competizione politica ora drogata. Senza di queste, il già risibile argomento de “il popolo ha votato ed è democratico accettare che la maggioranza faccia ciò che vuole, anche trasformare un possibile corruttore in un impunito” diventa addirittura grottesco. Ci consola, tenuemente, che le manganellate siano solo mediatiche. Non uccidono, ma inquinano le menti e demoliscono ugualmente la democrazia.
[enzo marzo]
{ Pubblicato il: 14.07.2008 }