enzo marzo
Nessun commentoOrmai è chiaro, lampante. Non che non lo fosse da sedici anni. Ma oggi chiudere gli occhi di fronte allo sciorinamento alla luce del sole di tutte le turpitudini del sistema berlusconiano è inefficace, infantile, ugualmente sconcio. Quindi, un passo avanti si è fatto, e tocca registrarlo. L’opinione pubblica di destra e di sinistra ormai sa. La fogna è a cielo aperto. Certo, c’è ancora una grande massa d’italiani che sono costretti nella gabbia mediatica di Raiset e non hanno gli strumenti per uscirne fuori. È già un gran segno che molti fiutino l’aria mefitica e rifiutino di votare. Anzi, ora, la gabbia, la patiscono più di prima, perché se prima erano ingabbiati ora sono anche nutriti esclusivamente dal putridume minzoliniano e vespista.
Anche un secondo passo va registrato: è saltato ogni pudore civico. Le menzogne dell’informazione berlusconiana sono dichiarate. La sfacciataggine nasconde a mala pena il sorriso che vuol dire: «Ebbene sì, siamo servi. Pensate davvero che non lo sappiamo? Deformiamo a tavolino la notizia, la occultiamo, prendiamo in giro i nostri telespettatori e i nostri lettori, ma intanto non se ne accorgono, divorano qualunque immondizia proponiamo loro. E allora? Questo è il potere, bellezza». Finché dura.
Terzo passo: ora è impossibile far finta di non sapere e che la fogna berlusconiana sia altro da quel che è. Ci hanno diffamati per anni definendoci “demonizzatori”. Per quanto tempo hanno negato di trovarci tutti di fronte a un vero e proprio “sistema di illegalità organizzata”? Noi che “vedevamo” e che “gridavamo”non avevamo alcun merito particolare. A dir la verità, bastava pochissimo per essere pienamente consapevoli fin dal 1994. I presupposti erano tutti presenti e ben visibili. Gli stessi protagonisti dal passato “oscuro”, che era “chiarissimo”, avevano confessato di scender in politica per ottenere l’impunità e per salvare e incrementare la roba. Hanno mantenuto la promessa. Solo che per raggiungere l’obiettivo non hanno lasciato prigionieri: hanno corrotto giudici, hanno comprato giornalisti, hanno depenalizzato giuridicamente ed eticamente la corruzione e la malversazione, hanno infettato l’opposizione, hanno ridotto la politica a contesa tra comitati d’affari, hanno consegnato intere regioni alla criminalità organizzata, o ci hanno governato assieme. Insomma, hanno distrutto lo Stato di diritto. Nessuno di loro era un homo novus. Chiunque fosse in buonafede non poteva non sapere di quale pasta etica e politica fosse fatta la ”banda dei quattro”. Chi si è comportato come le famigerate tre scimmiette ha le stesse – se non maggiori – responsabilità dei malfattori.
Ora tutti sono costretti dalla dura realtà a tracciare la riga e stendere il bilancio. Il paese è alla bancarotta politica, economica ed etica. Una bancarotta fraudolenta che travolge vecchie e nuove generazioni, vittime e carnefici e complici. Nessuno è in grado di immaginare come la società italiana potrà risollevarsi. Le macerie ingombrano le menti, spossano le volontà. Impediranno per chissà quanto tempo la ricostruzione. Il Centro de l’Aquila è la metafora tangibile della nostra miseria civile.
Ci consola che un saggio come Piero Ottone sia d’accordo con la nostra analisi sul berlusconismo. Ora è fin troppo facile per tutti ammettere che è un sistema criminale fondato sull’incompetenza e sulla corruzione. Si vede a occhio nudo.
Ma c’è di più. E non sappiamo proprio farcene una ragione. Il popolo italiano ha sopportato e in parte amato un “uomo ridicolo”.
È il ridicolo la cifra del berlusconismo. Gli intellettuali hanno recuperato per lui la definizione ambigua di populista. Ma Berlusconi non è neppure populista, è triviale. Ha campato sull’esagerazione della volgarità. Ovviamente non solo di maniere, ma dei meccanismi mentali. La nomina a ministro di Bancher è stata la summa della sfacciataggine e della provocazione: «ho il potere e lo uso nominando un nuovo ministro solo per salvare dalla giustizia un mascalzone». «Cosi come nomino consigliere regionale l’ultima passante che ho incontrato». Ugualmente il suo degno sodale, Dell’Utri, all’indomani della conferma di una condanna infamante, proclama ancora una volta “eroe”un brutale assassino mafioso e dà la misura della profondità dell’abisso.
Tutto ciò è stato persino definito, da politici e intellettuli traditori di se stessi, “la rivoluzione liberale di massa”.
Come è potuto accadere tutto questo disastro? Per Ottone si è trattato di «supinità di tanta gente che conta». Ma c’è purtroppo molto di più: l’intera classe dirigente italiana, in tutte le sue componenti, ha tollerato, ha collaborato attivamente con questo “venditore di tappeti”. Lo ha preso sul serio, se ne è fatta complice, spesso per calcoli meschini. Incapace di costruire uno straccio di alternativa decente, adesso aspetta pazientemente che la destra si suicidi. Tutti aspettano un 25 luglio.
Alla caduta del fascismo, moltissimi ”complici” si precipitarono nelle biblioteche pubbliche, armati di lamette da barba, per ritagliare dalle collezioni dei quotidiani del ventennio gli articoli che riportavano le loro gesta e i loro nomi.
Adesso sarà più difficile cancellare la memoria: ogni Pc ricorda le comparsate teatrali di Cacciari a favore di un colluso con la mafia (vedete come la cifra del ridicolo riemerge sempre?), le contropartite di Violante, le ineffabili dichiarazioni della Finocchiaro, gli attacchi a nove colonne di Bertinotti al centrosinistra sul giornale avversario crumiro in un giorno di sciopero... giù giù fino ai Polito, ai Sansonetti, ai Salvati.
Si è allevata un’intera generazioni di opportunisti e di retori all’insegna del giovanilismo. Oggi i giovani leaderini del Pd hanno ben appreso la lezione di impudenza e di intrallazzo impartita loro dai padri fondatori di “Cose” senza senso, senza voti, senza politica, senza valori. E cosi vanno sui giornali solo in quanto taroccatori di sondaggi su se stessi.
Sono mille e mille e mille gli esempi che dimostrano chi come quando e perché è stato distrutto il paese.
Ci sarà tempo per stilare classifiche.
Ma che dire dei radicali che per un decennio, invece di mettersi di buzzo buono a costruire una sinistra che fosse liberale e riformatrice (erano gli unici in grado di farlo), hanno legittimato come liberale un monopolista ingrassato all’ombra del potere, hanno fatto parte integrante del gruppo parlamentare di Previti e di Dell’Utri, hanno allevato personale politico berlusconiano all’insegna dell’integralismo neocon, ancora adesso che hanno compiuto una scelta strategica differente tacciono e non soddisfano la nostra curiosità di conoscere il loro giudizio sulla criminalità organizzata in politica?
Ma che dire degli ex-piccisti? Qui la colpa ha dimensioni storiche. È direttamente proporzionale alla complicità e all’opportunismo. D’Alema e Veltroni sono i veri responsabili dell’egemonia berlusconiana. Entrando a farne parte, hanno permesso che diventasse “sistema”. A loro parziale discolpa – siamo equi – c’è da ricordaresoltanto che erano un esercito in rotta, senza passato utilizzabile, né futuro. E cosi sono scesi al “compromesso volgare” pur di conservare la poltroncina cui aggrapparsi. Sposetti, che non firma la mozione contro Brancher, lascia intravedere chissà quali losche solidarietà sotterranee ed è il punto terminale del degrado piccista. Supera persino la difesa bersaniana di quell’altro uomo ridicolo che fu Fazio. No, non ci fanno compassione questi piccisti.
E che dire, in ultimo, di quella palude di mezzo costituita dai liberaloidi? Ci si potrebbe scrivere un libro. Ci accontentiamo di stendere un breve resoconto da lettori per due giorni dell’organo ufficiale del cerchiobottismo liberaloide, il “Corriere della Sera”.
Infuria la bufera. A furor di popolo, B. è costretto a far dimettere Cosentino dal governo. È il terzo in poche settimane. Il governo affonda nella vergogna. Il “Corsera”ci offre un saggio da manuale del perfetto cerchiobottista. “Fondo” di prima pagina, firmato da Massimo Franco. Incipit con un bel colpo al “cerchio”:
«Bisogna dare atto a Silvio Berlusconi di aver compiuto la scelta giusta facendo dimettere il sottosegretario all’economia».
Proseguo immediato sulla “botte”: «sebbene lasci perplessi la sua permanenza nel pdl come coordinatore della Campania».
Si ritorna immediatamente al “cerchio”: B. «ha preso una decisione obbligata e saggia».
Poi alla “botte”, «anche se tardiva».
”Cerchio”: sono «casi singoli», “botte”, «anche se si moltiplicano».
“Cerchio” impudico: «Il fatto che il centro destra continui a perdere pezzi sull’onda di vicende estranee alla sua volontà e alla politica»...
“Cerchio” lirico: «È come se nella penombra del grande albero berlusconiano si fossero annidati segmenti di società che usano il governo come guscio dentro il quale ingrassare i loro comitati d’affari».
“Cerchio“ buonista: «Si tratta di un problema che sarebbe ingeneroso considerare un’esclusiva del Pdl». Ma sì, siamo generosi.
Qui ci sta bene un bel colpo alla “botte”:
«Ma la coalizione berlusconiana tende ad apparire più coinvolta di altri». Quell’”apparire”che “tende” è un vero gioiello gesuitico.
Gran finale da Piedigrotta, tamburi sul “cerchio” e sulla “botte”: «La difesa a oltranza dei suoi esponenti chiamati in causa nelle inchieste la sovraespone fino a schiacciarla su una questione morale che ha delegittimato la prima Repubblica: e che alla lunga non può non logorare l’attuale, sebbene abbia sempre rivendicato una diversità virtuosa dal passato».
Fuochi d’artificio: «Queste “vicende” azzerano qualunque successo del governo»... «ma soprattutto rischiano di trasmettere un’immagine di impunità che può ricreare le condizioni per “processi di piazza” ambigui». Qui Franco è fin troppo ansioso, come fa a temere che agli italiani bastino appena una ventina di provvedimenti ad personam per malignare che si stia tendendo all’impunità! D’altronde dal caso Brancher sono trascorse alcune ore, è tempo di dimenticare. Semmai leggendo il “Corriere”. Stressato dalla fatica di equilibrista fin qui sopportata, il maestrino sale in cattedra: «È un’involuzione da evitare». Ma Franco chiede davvero troppo: secondo lui la maggioranza berlusconiana dovrebbe accettare «l’idea che i comportamenti illegali nella vita politica vanno riconosciuti e sanzionati prima che diventino casi giudiziari». Sì, è vero che il “Corriere” non spiega ai suoi lettori i fatti e non si pone la domanda: chi ha nominato Cosentino, Brancher e Scajola? E questo “chi” perché li difende ancora? Ma non siamo troppo severi, in fondo il quotidiano arriva persino a sostenere l’ardita tesi che non sta bene che dei delinquenti facciano parte del governo.
Due giorni dopo scende in capo il campione del terzismo in doppiopetto, Sergio Romano. Passato assai di recente dal fiancheggiamento più spudorato sui fogli del Cavaliere a un terzismo più cauto. Reduce evidentemente da una lunga permanenza su un’isola deserta, viene a conoscenza di una retata poliziesca e non riesce a trattenere la «preoccupata sorpresa », perché appena oggi ha scoperto «la dimensione del fenomeno» della criminalità organizzata, di un «fenomeno molto più grave di quanto potessimo immaginare e sospettare». Sorpresa: «Emerge il quadro di una società in cui i riflessi morali si sono pericolosamente allentati». Questa sì che è una notizia. Va annotata la data: 17 luglio 2010. Romano oggi è caduto dal pero e ha scoperto l’acqua calda, la sua intuizione è da geniale scienziato politico: «Non credo che accadrebbe su vasta scala se una parte della classe politica non desse un pessimo esempio arricchendosi spregiudicatamente». Ma Romano è un signore, accenna a “una parte della classe politica” ma non fa nomi. E poi la soluzione è semplice: «Per impedire che la società venga occupata dalla criminalità occorre un galateo civile. ... Ma l’esempio deve venire dall’alto. ... La politica deve fare altrettanto con coloro che usano il potere per fini personali». Opera di non poco conto, perché l’esempio già “viene dall’alto”. Bisognerà che Romano, col lanternino, si metta a cercare e cercare e cercare in tutti gli angoli, chissà se troverà mai il prototipo della corruzione? Chissà se nel suo Galateo Civile è prevista la nomina e la difesa ad oltranza di ministri imbroglioni e corrotti. O il panegirico dell’evasione fiscale. O l’esaltazione di un eroico killer della mafia. O l’esaltazione della secessione armata. Ma Romano lo vediamo in difficoltà, mostra di non aver neppure letto l’articolo di un altro liberaloide come Ostellino. Non era difficile: stesso giornale, stesse pagine, stesso giorno. Ostellino, non avendo nulla da scrivere su Dell’Utri, Carboni, Balducci, Cosentino, Brancher, Di Girolamo si indigna contro coloro che hanno osato citare i nomi – e quindi a «restringere la libertà» – di chi ha evaso il fisco su depositi in Svizzera da un milione di dollari. Quattrini sottratti «alla voracità del fisco». Ostellino, bontà sua, ammette che «chi non paga le tasse, e trasferisce non ufficialmente denari all’estero non ha giustificazioni sotto il profilo giuridico. Si rispettano anche le leggi ingiuste. Ma sotto il profilo morale?». Bella domanda. Non si può rispondere facilmente. Non abbiamo ancora il Galateo Civile di Romano a farci da guida. Per toglierci ogni dubbio ci vorrebbe una insigna Commissione formata dal cardinale Sepe, dal Presidente della Corte d’appello di Milano Alfonso Marra, anche il giudice Metta ci farebbe la sua bella figura. Si potrebbero ritrovare tutti a cena da Vespa o da qualche giudice costituzionale. In caso di dubbi morali si potrebbero rivolgere a Cesare, sempre attraverso l’intermediazione di Marcello, che dagli ambienti frequentati sa cosa vuol dire “onore”. Nel paese dell’eroe-assassino Mangano si può far mancare un riconoscimento pubblico all’Evasore Ignoto, che tra mille fatiche ha portato in Svizzera un milione di dollari? Evasore così modesto che si adombra se qualche giornale fa il suo nome, restringendo la sua libertà. Non sa Ostellino che – regnante Cesare evasore prescritto – secondo la “comunista” Marcegaglia in Italia si evadono tasse per 125 miliardi di euro? L’equivalente di 5 volte la manovra finanziaria “lacrime e sangue”.
In fine stagione, perché siamo alla fine della stagione, i liberaloidi appaiono ancora più ridicoli e cinici. Ma presto cambieranno casacca. [enzo marzo]
{ Pubblicato il: 26.07.2010 }