Non abbiamo motivo di meravigliarci per gli ultimi atteggiamenti di Antonio Di Pietro, passato dai toni barricarderi di un recente passato a quelli soffici della campagna referendaria e di quel che ne è seguito. Non che sia diventato filoberlusconiano, sarebbe un grave torto attribuirgli una simile intenzione, ma egli, come ogni buon leader populista, non appartiene né alla destra né alla sinistra. Appartiene solo a se stesso e al suo bisogno di non perdere il consenso di un elettorato composito e fluttuante. Ora che il partito di Vendola gli porta via i voti di sinistra, in particolare quelli del mondo giovanile, e che lo stesso Pd ha accentuato e reso più combattivo il suo ruolo di oppositore, l’astuto contadino di Montenero di Bisaccia va alla ricerca di voti moderati, anche per una certa inconsistenza politica di quel terzo polo che dovrebbe farne incetta. Il partito dipietrista è una strana mescolanza di vecchio trasformismo democristiano e di moralismo puritano e intransigente. Ma in un simile partito, anche per la sua struttura personalistica e assai poco democratica, i puritani sono destinati inesorabilmente a perdere. Di Pietro potrebbe, a questo punto, tentare la strada di un moderno liberalismo, ma per una simile scelta gli mancano la cultura e il temperamento.

{ Pubblicato il: 24.06.2011 }