peter gomez
Nessun commentoIo vorrei partire da un esempio, che poi è uno dei motivi scatenanti della nascita del Fatto Quotidiano. Quando siamo andati in edicola, la prima notizia con cui partiamo è la notizia scritta da me e Marco Lillo che riguardava un’ indagine della magistratura su Gianni Letta. Non si trattava di un nostro scoop, bensì di una notizia nota a quasi tutta la stampa italiana, addirittura già uscita come breve su una prima edizione de La Repubblica per poi scomparire sulla seconda edizione del quotidiano di Scalfari.
Noi abbiamo voluto raccontare questa notizia non tanto perchè Letta fosse un politico quanto perchè in quel momento Letta era sottosegretario del governo in carica con delega all’ editoria. Questo fatto è emblematico di quello che accade nella stampa italiana: da una parte è un problema storico legato agli editori, abbiamo troppi editori che non sono editori puri e che non ambiscono a guadagnare con il loro giornale ma che vogliono attraverso il loro organo di informazione interloquire con il potere.
L’esempio classico di tutto questo è rappresentanto dagli Angelucci gli editori di Libero che sino a qualche tempo fa editavano anche Il Riformista. Perchè gli Angelucci avevano un giornale di destra e uno di sinistra ? Perchè il loro core business erano le cliniche e per avere cliniche convenzionate era necessario convenzionarsi a volte con regioni di destra e con regioni di sinistra. Secondo me è emblematico della questione della stampa italiana e perchè la stampa stessa non reclami tutti quegli strumenti che sono gli strumenti caratteristici di tutte le democrazie più evolute nel cercare non solo di riportare notizie ma di svolgere il proprio fondamentale ruolo di controllo del potere. Nel momento in cui gli editori non hanno come proprio obiettivo il “far soldi” tutto questo viene a cadere.
C’è uno studio molto interessante di una serie di storici dell’economia americani che lega l’innovazione tecnologica e la diffusione di massa dei giornali con la diminuzione di tasso di corruzione tra le loro classi dirigenti. Durante tutto l’800 negli States le classi dirigenti americane venivano considerate le più corrotte di tutto il mondo. I giornali generalmente all’ epoca erano legati al potente locale e venivano pubblicati localmente cittadina per cittadina. Nel momento in cui l’ innovazione tecnologica attraverso l’ introduzione delle rotative ha permesso di stampare migliaia e migliaia di copie e quello diventa un business, una serie di imprenditori si dà all’editoria su larga scala ed essendo editori puri si rendono conto che ad interessare molto al pubblico non sono solo le “tre esse del giornalismo: sangue, sesso, soldi”, ma anche i comportamenti degli amministratori pubblici.
Ciascun lettore vuole sapere come vengono spesi i soldi dei contribuenti. E in questo modo fra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 inizia una guerra fra editori a colpi di scoop su sindaci, governatori e membri del congresso che porterà ad un miglioramento della classe dirigente, nessuno vuole essere sputtanato e finire sui giornali.
Questa è un pò, secondo me, la chiave di lettura da cui dobbiamo partire se vogliamo interpretare quello che è accaduto nel nostro Paese. Non mancano ottimi giornalisti in questo o quel giornale. Ma le scelte che vengono fatte a livello editoriale sono scelte di tipo diverso. Del resto lo sappiamo, lo dice il contratto di lavoro giornalistico. Il garante dell’ autonomia della redazione è il direttore ed è l’unico che può interfacciarsi con l’editore, nel momento in cui a causa dell’innovazione tecnologica e a causa del mutamenti di comportamento da parte dei lettori e di tutti noi che abbandoniamo progressivamente la carta per rivolgerci al digitale; nel momento in cui i direttori si trovano in acque particolarmente brutte a causa della crisi economica e hanno brutti bilanci, scade anche la qualità giornalistica.
Un cane che si morde la coda. Ci sono ottimi giornalisti. Meglio nelle altre testate che da noi anche solo per il grande bagaglio di esperienza. Io penso però che i lettori si accorgano di una serie di differenze. Vi faccio un esempio pratico: Repubblica di oggi (20 settembre): ieri il Fatto Quotidiano da una notizia che ha una rilevanza politica importante, racconta come il candidato alla Corte Costituzionale Donato Bruno sia sotto inchiesta ad Isernia, ovviamente per Bruno come per tutti vale la presunzione di innocenza. E’ altrettanto vero che da un punto di vista etico, politico e morale è inusuale, non è mai successo, che venisse eletto alla Corte Costituzionale qualcuno che avesse un’inchiesta in corso, se non altro perchè se l’inchiesta andasse male ci troveremmo con un giudice che potrebbe essere condannato o in conflitto di interesse e alla fine decidere una eccezione di costituzionalità sul proprio processo. Questa è evidentemente un’enormità ed è una delle cause per le quali siamo criticati all’estero. Uno dei problemi che viene spesso sollevato da imprenditori ed economisti esteri è la diffusa illegalità presente nel nostro Paese a tutti i livelli, corruzione, mafia, burocrazia inefficente.
Oggi Repubblica decide di riprendere questa notizia con rilevanza di piede in basso. Io penso che questo non vada inquadrato nella classica invidia fra giornali e che quindi un pezzo non si riprende perchè lo scoop l’ha fatto un altro. Io penso, ed è una mia opinabilissima opinione, che sia una legittima scelta di linea politica di Repubblica che però si può rivelare da una parte una scelta editoriale controproducente e un pessimo esempio per le classi amministrative del Paese.
Abbiamo un difetto culturale legato al fatto che proveniamo dal ‘900, la storia di molti di noi che siamo più anziani è una storia novecentesca, e si pensa che i giornali possano o abbiano il compito ancora di influenzare in qualche modo la politica. Secondo me questo è un punto di vista sbagliato. Per me il nostro primo compito come giornalisti è duplice: dire la verità, e cercare di guadagnare e far guadagnare il più possibile i nostri editori. Abbiamo il dovere di farci leggere. Perchè la sostenibilità economica è uno dei cardini della nostra indipendenza. Questa scelta è doverosa da parte nostra ma è una scelta che gli editori non condivono.
Pensiamo a quello che sta per accadere al Corriere della Sera, ne parlavo prima con Raffaele Fiengo. Si parla sempre più insistentemente di una sorta di maxi testata unica che andrebbe in un prossimo futuro a inglobare Corriere, Stampa e Secolo IXI. Raffaele sollevava tutti i problemi legati alla perdita di pluralismo rispetto all’informazione nazionale e io sono d’accordo però dall’altra parte però secondo me con perdite economiche come questa i giornalisti sono inermi dal punto di vista editoriale quella è la soluzione più semplice da perseguire per tentare di tenere in piedi tutto quel sistema.
Dobbiamo, ribadisco, farci leggere il più possibile e per farlo c’è un unico sistema, dobbiamo scrivere quello che cercano i lettori sia online che sulla carta. Io voglio leggere qualcosa che non so che non ho trovato da un’altra parte. E questo riguarda qualunque settore.
Chi si trova al potere ha la tendenza ad eternare se stesso. Le notizie invece tradizionalmente rendono il re nudo. Non solo migliorano alla lunga i comportamenti della classe dirigente. Ma nell’immediato sono assolutamente scomode. Quindi io immagino che questa giusta battaglia per l’adozione di un FOIA anche in Italia, una battaglia giusta per i giornalisti non l’affronteremo con gli editori al nostro fianco. Gli editori in buona parte hanno interessi diversi da questo.
[estratto dal sito www.lsdi.it]
{ Pubblicato il: 28.10.2014 }