Camillo Berneri abitava con alcuni compagni nel centro di Barcellona, in Plaza del Angel n. 2 e, secondo la testimonianza dell’anarchico triestino Umberto
Tommasini, stava attraversando un periodo molto difficile e pesante anche dal punto di vista fisico: “Camillo, no’ te vedi che no’ te sta gnanche in pie’… bisogna che
te vada a riposar da qualche parte!” Come abbiamo avuto modo di dire la zona era completamente circondata dai comunisti e dall’esercito ai loro ordini. La piazzetta
sulla quale si affacciava l’abitazione di Berneri presentava ai quattro angoli d’accesso barricate e posti di blocco che impedivano qualsiasi movimento da parte dei
miliziani rimasti intrappolati. Di ciò che accadde a Berneri e al suo compagno Barbieri abbiamo la testimonianza dei compagni presenti al momento dell’arresto e quanto
pubblicato successivamente dai giornali libertari.
Tosca Tantini così ricorda e ricostruisce quei momento:
“La mattina del 4 maggio verso le dieci si presentarono alla porta dell’appartamento sito al primo piano del n. 2 de la Plaza del Angel due individui con i bracciali rossi. Furono ricevuti da Berneri e Barbieri, cui dissero di non sparare, poiché erano amici. I nostri due compagni risposero che in quanto antifascisti che erano giunti in Spagna per difendere la rivoluzione non avevano alcun motivo per sparare contro lavoratori antifascisti; dopo di che i due uscirono e se ne andarono. Dalla finestra furono visti entrare nei locali del palazzo di fronte, sede dei sindacati della Ugt. Verso le 15 di quello stesso giorno, si presentarono alla porta dell’appartamento cinque o sei individui provvisti come quelli del mattino di bracciali rossi e anch’essi forniti di caschi d’acciaio e carabine, che dissero di avere ordini per iniziare una perquisizione. Vedendo che rovistavano minuziosamente dappertutto, la compagna Tantini presenta agli intrusi tre carabine, dicendo che erano state affidate, per poco tempo, dai compagni miliziani che erano arrivati con un permesso dal fronte di Huesca”.
A questo proposito occorre ricordare che secondo un decreto del 4 marzo del 1937 ogni civile che fosse stato trovato in possesso di un’arma non autorizzata sarebbe
stato arrestato e condannato. Tale misura evidentemente era stata adottata con lo scopo di disarmare i volontari e le milizie rivoluzionarie, costringendole così ad aderire alle formazioni regolari governative.
“Ottenute le armi, poliziotti e ugetisti se ne andarono. Solo due di essi rimasero per portare a termine la perquisizione. Furono sequestrati documenti anche
dall’abitazione di Fantozzi e qualche libro e lettere da quella di Mastrodicasa. Nell’abitazione di Berneri, vedendo che il materiale da trasportare era troppo voluminoso, ne presero solo una parte, dicendo che sarebbero ritornati dopo con un’auto. Uscendo avvertirono i nostri compagni di non allontanarsi e di non sporgersi dalla finestra, perché rischiavano di essere presi a fucilate. Interrogati a fondo, quelli risposero di essere venuti a sapere che nell’appartamento si trovavano anarchici italiani armati. Verso le diciotto di mercoledì si presentarono come al solito una dozzina tra miliziani della Ugt, con bracciali rossi e poliziotti armati, oltre a un altro vestito in borghese, i quali arrestarono Berneri e Barbieri. Allora il compagno Barbieri chiese il motivo di quell’arresto. Gli fu risposto che li arrestavano in quanto elementi
controrivoluzionari. A tale affermazione Barbieri rispose che in vent’anni di militanza anarchica quella era la prima volta che gli veniva fatto un simile oltraggio. A ciò il
poliziotto rispose che nella misura in cui era un anarchico egli era un controrivoluzionario. Irritato, Berneri chiese allora il nome a quello che l’aveva insultato, riservandosi di chiedergliene conto in un’altra occasione. Fu allora che il poliziotto, voltando il bavero della giacca mostrò il distintivo metallico che portava il numero 1.109. La Tantini protestò per il fatto che mentre le armi erano state affidate a lei, essa rimaneva libera. Poi lei e la compagna di Barbieri, Fosca Corsinovi, chiesero di poter seguire gli arrestati; a ciò i poliziotti risposero che se fosse stato necessario sarebbero tornati ad arrestarle. Il mattino di giovedì, verso le nove e mezzo, si presentarono alla porta dell’appartamento due individui coi bracciali rossi dicendo che erano venuti per tranquillizzare le donne che gli arrestati del giorno prima sarebbero stati rimessi in libertà a mezzogiorno; dopo di che se ne andarono. Come si è poi saputo dai cartellini dell’Hospital Clinico, Barbieri e Berneri furono condotti morti all’ospedale nella notte tra mercoledì e giovedì, raccolti dalla Croce Rossa, il primo sulle Ramblas e il secondo in Plaza de la Generalitat”.
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Analizzando meglio tale testimonianza si evincono alcune considerazioni e alcuni interrogativi decisivi per inquadrare i fatti e dare loro una spiegazione razionale e
veritiera. Riassumiamo prima di tutto i fatti certi:
1. Berneri e i suoi compagni erano prigionieri nella loro abitazione, circondati come erano dai miliziani comunisti;
2. essi possedevano armi e probabilmente furono oggetto dell’interessamento di una spia, forse lo stesso portiere dello stabile;
3. il bracciale rosso portato dai “visitatori” li indicava senza ombra di dubbio quali agenti comunisti. L’uomo in borghese poi potrebbe essere stato un commissario
politico o un agente segreto;
4. il fatto che furono visti, almeno il primo giorno, entrare nello stabile dell’Ugt, posto di fronte all’abitazione, sta a testimoniare che essi potevano contare almeno sulla
complicità di quell’organizzazione sindacale.
Veniamo invece ora agli interrogativi e alle questioni aperte:
1. perché Berneri, Barbieri e gli altri compagni non cercarono di abbandonare la casa da loro occupata una volta iniziati gli scontri nelle strade di Barcellona?
2. Pensava davvero Berneri, nel momento in cui chiese il nome dell’agente comunista, di avere la possibilità e l’autorevolezza per chiedergliene conto?
3. Perché alcuni poliziotti si preoccuparono di rassicurare le donne circa l’imminente liberazione dei loro due compagni? Forse per attribuirne poi la morte ad altri o a un
incidente dovuto alla confusione regnante nelle strade di Barcellona?
4. Quei poliziotti agirono di propria spontanea iniziativa, o, come appare più probabile, furono comandati in quella missione?
5. Perché ciò avvenne proprio in quei giorni? Si volle sfruttare la confusione del momento o un fatto imprevisto scatenò improvvisamente tale ferocia?
Altra importantissima, e per molti verso coincidente, testimonianza è quella affidataci da Virgilio Gozzoli in "Guerra di Classe" del 25 maggio1937:
“Dalla sede del Comitato regionale a Plaza del Angel ci sono poco più di un centinaio di metri. Nonostante la vicinanza, ogni volta che devo avvicinarmi a questa piazza,
preferisco fare un giro largo invece di attraversarla, tanto penoso o piuttosto spaventoso mi è calcarne il terreno macchiato di tanto sangue nostro. Plaza del Angel (ora Plaza Dostoievsky), è stata, in effetti, nelle giornate dal 4 al 7 di maggio, teatro di fatti sanguinosi inauditi. E là nella casa di fronte alla stazione della metropolitana e che ha di fianco la facciata dello stabile (via Layetana) in cui vivevano quelli che all’inizio s’erano dichiarati amici, che poi investigarono e infine arrestarono i compagni Berneri e Barbieri per massacrarli poco dopo; e lì, al n.2 in cui abitavamo con loro; io, Mastro, Fantozzi, la compagna di Barbieri (Fosca Corsinovi) e Tosca Tantini; e lì, dico, ci vedemmo per l’ultima volta con Berneri e Barbieri. La notte del tre, dopo l’episodio della Telefonica da parte della guardia de asalto, tutte le sedi confederali stettero all’erta e, naturalmente, noi che lavoravamo nella sede Regionale, come gli altri. Quella notte uscimmo dalla Regionale per andare a dormire nella casa tragica, eravamo in otto: Berneri, Barbieri, Fosca, Tosca, io, Bonomini, Ludovici e Mastrodicasa. In casa, e precisamente nell’alloggio di Tosca Tantini c’erano tre fucili con le munizioni, lasciate in custodia da tre miliziani che si trovavano in Francia in licenza. Al mattino presto io, Ludovici e Bonomini, dopo essersi messi la giubba da miliziani, ritornammo alla Regionale dove tutti erano già sul piede di guerra. In casa rimasero erneri, Barbieri, la sua compagna e Tosca Tantini. Da quel momento e per tre giorni rimanemmo completamente bloccati: noi tre alla Regionale, Camillo, Ciccio e le due donne in casa… Il mattino del 5, preoccupato che i nostri compagni e compagne fossero rimasti senza viveri, lasciai la giubba da miliziano e ne indossai la prima da civile che trovai sotto mano (seppi poi che era una vecchia giacca di Camillo); uscii per la porta posteriore, girai attorno all’edificio e sboccai in Via Layetana con l’intenzione di attraversarla a carponi, girare attorno all’isolato di case dall’altra parte e andare a prendere contatto con quelli che non sapevamo se erano già stati assediati, o arrestati e forse già massacrati. Ebbi la sfortuna che mentre mi disponevo prendere la rincorsa per attraversare la strada, un nutrito fuoco di mitragliatrici che sia che dalla nostra parte che dalla loro spazzavano il selciato, mi consigliò di girarmi prudentemente e rientrare nella Regionale. Solamente con la casa in cui rimanevano bloccati Barbieri, Berneri e le due donne non riuscivamo a comunicare, poiché non c’era telefono…Ritornai nello stesso posto del giorno prima e riuscii ad arrivare a Plaza del Angel. Che spettacolo inatteso e impressionante! Nei quattro vicoli che sboccano nella piazzetta c’erano grosse barricate e una barricata terminava proprio sulla porta della nostra casa.
La piazzetta era piena di Mozos de Escuadra (guardie della Generalitat), di miliziani della Ugt e della Esquerra catalana, di guardias de asalto e di bracciali rossi del
nefasto e sinistro Partito Comunista… Giunsi fino alla porta di casa, non so come. Era aperta. Nell’atrio la faccia ipocrita e vile del portiere mi sorride… sinistra figura,
ho saputo poi del suo ambiguo ruolo, ma sono sicuro che in quel momento lo indovinavo, anche se non arrivavo ad averne esatta coscienza… Feci quattro a quattro gli scalini di marmo. Avevo lasciato le chiavi nella giubba di miliziano, poiché m’ero messo anche oggi quella del giorno precedente, quella di Berneri. Toccai il campanello, la porta carica di ottoni luccicanti si apre immediatamente. Due donne apparvero: Fosca e Tosca. La loro espressione vedendomi lì fu di sorpreso timore. ‘Per carità, cosa vieni a fare?’ mi chiesero a bassa voce. ‘Vengo a vedere se avete da mangiare’. ‘Vattene, vattene! – mi implorarono – se no, arresteranno anche te, come Ciccio e Camillo’. Scesi o meglio saltai la scala. Sotto, il portiere aveva più paura di me. Non per me, ma per lui. Non mi aveva denunciato, perché non aveva avuto il tempo di recuperare il fiato per lo spavento di avermi visto comparire lì. Ripassai attraverso la turba ebbra di sangue e di vendetta e corsi alla Regionale. Mi precipitai al telefono e comunicai a tutti i posti in cui i nostri continuavano a battersi: Berneri e Barbieri sono stati arrestati!…”
"Solidaridad Obrera" dell’undici maggio 1937 rivelò: “Qualche mese fa e secondo notizie degne di fede, un’alta personalità che alloggiava a Barcellona, ebbe un incontro con un’alta personalità a proposito degli articoli che Berneri scriveva. Sembra che ai due personaggi dessero parecchio fastidio gli scritti di Berneri e a questo fastidio e ai mezzi per calmarlo si riferissero nel loro incontro. Quali considerazioni è dunque possibile e lecito trarre da una simile testimonianza?
Bisogna intanto ricordare che la notte del 3 maggio tutti gli otto compagni tornano a casa senza unirsi ai contendenti che si stavano già affrontando nelle strade di
Barcellona. Eppure la notizia della Centrale Telefonica era già circolata in ogni ambiente e loro, che si trovavano presso la sede regionale del sindacato, non potevano certo ignorarla. Fu dunque una scelta precisa quella di rincasare, dettata forse dalla preoccupazione di non acuire ulteriormente la tensione e nella speranza di essere di fronte a scontri che necessariamente avrebbero dovuto ricomporsi nel volgere di poche ore. La mattina seguente, quando Gozzoli, Ludovici e Bonomini uscirono per tornare al regionale non notarono nella piazzetta, sulla quale s’affacciava l’abitazione, nessuna barricata o posto di blocco. In caso contrario non avrebbero potuto allontanarsi e, in ogni caso avrebbero avvertito chi era rimasto. La testimonianza di Gozzoli conferma l’ipotesi che il portiere fosse in realtà una spia e che sia stato lui ad avvertire le guardie della presenza in casa dei tre fucili.
Ma andiamo oltre. Una cosa è certa: Berneri, e tutti gli altri occupanti l’appartamento, rimasero sorpresi dalla visita delle guardie. Nonostante ciò, anche quando le prime
se ne andarono, non tentarono di mettersi in salvo. Perché? La prima ipotesi dice che non erano in grado di farlo, essendo già circondati dai comunisti; la seconda
possibile spiegazione ci fa ritenere che essi non temessero più di tanto le intenzioni degli agenti e che non immaginassero la gravità delle conseguenze che da quella visita potevano ricadere su di loro. Sapevano di essere dei combattenti della causa repubblicana e rivoluzionaria e ciò a loro bastò per sentirsi sicuri.
Domandiamoci ora perché sia potuto accadere tutto ciò e perché proprio in quei giorni? Berneri era infatti sufficientemente conosciuto per essere colpito in qualsiasi
momento e in qualsiasi altro posto. Bastò la denuncia del portiere per far scattare l’operazione? Quale pericolo avrebbero rappresentato quei tre fucili in una zona
completamente controlla dai comunisti? Anche se Berneri e compagni avessero sparato, certo non avrebbero avuto nessuna possibilità di fuga e di salvezza. I
protagonisti di quella truce vicenda furono alcuni “incontrollati” della Ugt o del Pce che agirono di testa propria, magari sull’onda dell’emozione per gli scontri che si
stavano verificando in città? Questa tesi, come vedremo, si avvicina molto a quella sostenuta dal Bifolchi, un altro testimone di parte anarchica. O ciò che accadde
rappresentò la risposta ragionata dei dirigenti dell’Ugt all’uccisione misteriosa del loro segretario Sesé, avvenuta poche ore prima? Solo Berneri in quelle circostanze e
in quel luogo poteva valere la testa del segretario sindacale e neo ministro Sesé. Barbieri in questa ipotesi rappresenterebbe solo un “incidente di percorso”. Certo non
era conosciuto e temuto come Berneri, ma anche nel suo caso si trattava di un anarchico il cui passato era di tutto rispetto, almeno per quanto riguardava la prontezza nell’affrontare le situazioni più difficili. Anarchico antiorganizzatore di origine calabrese, Barbieri era emigrato in Argentina dove aveva militato nel gruppo di Severino Di Giovanni. Dopo la fucilazione di questi era riuscito a rifugiarsi in Francia e poi in Spagna. Ora a Barcellona non si allontanava un attimo da Berneri, per il quale provava, oltre ad un profondo sentimento d’amicizia, una stima e un rispetto assoluto. Le guardie che tornarono dunque la mattina seguente per rassicurare le donne dell’imminente liberazione dei loro compagni anticiparono in realtà la tattica che avrebbero di lì a poco riservata a Nin: misero cioè in atto il tentativo di attribuire la responsabilità ad altri, magari a qualche pallottola vagante sparata dai loro stessi compagni. Lo stesso fatto che i corpi siano stati rinvenuti in luoghi diversi sembra avvalorare tale tesi. Solo l’autopsia dimostrerà le modalità dell’esecuzione e la volontà omicida dei loro sequestratori. Un’altra ragione poi mosse la mano degli assassini: con la morte di Berneri si faceva definitivamente tacere una importante e influente voce dissidente, si toglieva la guida politica e morale a migliaia di volontari, accorsi in Spagna per battere il fascismo e praticare la rivoluzione sociale.
È corretto a questo punto dare conto anche della versione, molto contestata, di G. Bifolchi esposta su L’Adunata dei refrattari il 29 aprile 1967. Egli ricorda che l’ingresso della sede della Cnt in via Layetana era bloccato da sacchi di sabbia e di aver incontrato Berneri in compagnia di Ludovici, in procinto di raggiungere l’albergo in cui abitava, a meno di duecento metri dalla sede dell’Ugt.
Secondo Bifolchi, Berneri e Barbieri, non potendo essere condotti dai loro sequestratori a destinazione per la sparatoria in atto, furono massacrati in strada. La
destinazione più probabile, secondo Bifolchi, sarebbe dovuta essere l’albergo Colombo, dove pare che in quei giorni funzionasse un Comitato rivoluzionario presieduto da Orlov.
Ma ecco l’interpretazione personale di Bifolchi: per lui anche l’assalto alla centrale Telefonica non fu opera di un putsch comunista, ma l’opera di gruppi armati tollerati
dai partiti e incontrollabili. Secondo lui anche la Quinta colonna non fu estranea a quei fatti. L’esito dell’autopsia sul corpo di Berneri non lasciò dubbi:
“Il corpo presenta una ferita d’arma da fuoco con foro d’entrata dietro la linea ascellare destra e d’uscita nella mammella destra a livello della 7° costola. Il proiettile ha una direzione da sinistra a destra da dietro in avanti e dall’alto in basso. Il cadavere presenta una ferita d’arma da fuoco nella regione temporo-occipitale destra con direzione dall’alto in basso e dal dietro in avanti. A giudicare dalla condizione degli orli delle ferite, queste furono prodotte a corta distanza, circa 75 cm. La ferita addominale fu causata stando l’aggressore di dietro o di fianco all’ aggredito; quella alla testa stando l’aggressore ad un livello superiore all’aggredito”. Stando poi alla testimonianza dell’anarchico Tommaso Serra che, insieme ad altri riconobbe la salme all’obitorio, Berneri e Barbieri “erano inverosimilmente gonfi e cianotici e
portavano i segni dei proiettili posteriormente nella nuca e nelle spalle”.
Il 13 maggio 1937 Giovanna Berneri, ancora scossa dal terribile fatto, scrisse a Max Sartin alcune righe per informarlo dell’accaduto. Ella si trovava ancora a Barcellona
con la figlia Maria Luisa, intenta nella triste opera di raccolta delle carte e dei documenti del marito. In Francia l’attendevano l’altra figlia Giliana e la suocera Adalgisa Fochi. Per tutte loro cominciava il tempo della memoria e della difesa morale e politica del loro caro.
“Caro Max, la terribile notizia dell’assassinio del nostro Camillo ti sarà già giunta. Mi trovo qui a Barcellona dove sono venuta con Maria Luisa a raccogliere gli scritti e
i documenti ch’erano così preziosi al nostro caro. Siamo angosciate per questa terribile fine. Lui, che ha lottato sempre con un entusiasmo e una fede impareggiabili, è stato colpito alle spalle dai nemici della libertà. Sono troppo addolorata per potervi scrivere più a lungo. Ma a te, agli amici dell’Adunata, ch’eravate per lui la sua
famiglia, ho voluto mandare queste due righe perché vi sento vicini in questi momenti angosciosi. Vi saluto tutti.” Giovanna.
La risposta di Sartin non si fece attendere e giù su "L’Adunata dei refrattari" del 29 maggio 1937, scrisse: “Sono grato a Giovanna Berneri di aver potuto in circostanze
così terribili pensare a me, a noi. E, sicuro d’interpretare i sentimenti dei compagni d’America, mando a lei, alle sue figlie, alla dolente signora che a Montreuil, carica
d’anni e di strazio, attenderà sempre invano il ritorno dell’unico figlio, l’espressione commossa del nostro dolore per la perdita che tutti ci colpisce.” Max Sartin.
A conferma dell’assassinio e in contrasto con quanto la propaganda comunista andava affermando, Angelo Tasca il 22 maggio 1937 su "Il Nuovo Avanti", dichiarò: “Le ultime informazioni che ci sono giunte da Barcellona confermano che Camillo Berneri non è morto combattendo per la sua causa, quale egli sentiva, ma prelevato al suo domicilio e ucciso poi in seguito, freddamente, barbaramente. La sua tragica fine è tanto più deplorevole, che Berneri aveva assunto di fronte ai problemi della lotta antifascista in Spagna un atteggiamento ispirato a un gran senso di responsabilità, e alla preoccupazione di salvaguardare nello stesso tempo le necessità immediate della guerra e gli sviluppi futuri della rivoluzione”.
In effetti il 21 aprile 1937 Berneri aveva scritto su "Guerra di Classe": “Non bisogna cadere nell’errore opposto di un estremismo socialista che si ispiri non alle necessità
della lotta armata bensì alle formule programmatiche e alle finalità avveniristiche. La posizione feconda è quella ‘centrista’. La chiarisco per evitare equivoci, con un
esempio evidente. Io penso che la socializzazione della grande e media industria sia una necessità di guerra… Faccio invece molte riserve sull’utilità economica della
socializzazione della piccola industria in rapporto alle necessità di guerra e sono costretto a dissentire con dei compagni che vorrebbero estendere al massimo la
socializzazione industriale… La posizione centrista tiene conto non soltanto delle ragioni strettamente economiche ed attuali che militano a favore della tolleranza nei
riguardi della piccola borghesia, ma anche delle ragioni psicologiche… Tale impostazione non basterà certamente a gettare ponti tra le sfere dirigenti del Psuc, noi e il Poum ma potrà facilitare l’intesa sincera e fattiva fra tutti coloro che sono sinceramente antifascisti e, in un secondo piano, una più intima collaborazione tra coloro che sono sinceramente socialisti.”
Il 19 agosto si svolse a Parigi presso la sala dei sindacati la commemorazione ufficiali dei caduti antifascisti in Spagna, "Guerra di Classe" di Barcellona del 23 settembre
1937 riferì che alla commemorazione un anarchico chiese che fosse inserito il nome di Berneri. A quella proposta un dirigente comunista rispose: “non si può mandare
un saluto a colui che pugnalava alla schiena dei bravi militi.” L’anarchico intervenuto era Umberto Tommasini di Trieste, mentre il comunista che si incaricò della
risposta rispondeva al nome di Giuseppe di Vittorio.
Altri invece espressero giudizi ben diversi. Rodolfo Pacciardi, ad esempio, nel suo libro Il Battaglione Garibaldi, pubblicato a Roma nel 1945, testimoniò che Berneri fu
“uomo al quale non si possono negare onestà di intenzioni e un ardore apostolico e idealistico veramente suggestivo. Egli fu vittima del momento severo di repressione,
seguito ai fatti di Barcellona”.
Pietro Nenni poi in Spagna nel 1958 elencava il caso Berneri come “una delle cose più tristi fra quelle in cui era facile individuare la mano dei comunisti”. Ancora nel
1950 "Via Nuove" continuava ad affermare: “Non abbiamo notizie precise sulla morte di Camillo Berneri, non sappiamo dire se sia morto al fronte, in combattimento o
durante la sommossa di Barcellona nel maggio 1937.”
Nel marzo 1950 su "Rinascita", Roderigo di Castiglia (Palmiro Togliatti), polemizzò con Gaetano Salvemini, reo di aver portato in un’aula universitaria una “tra le più infami calunnie della libellistica anticomunista”, di aver cioè riferito, ricordando Berneri, che egli era stato “soppresso in Spagna da comunisti nel 1937”. Togliatti nella sua risposta fu particolarmente duro, fino ad affermare: “O quest’uomo le beve veramente tutte le panzane, purché siano di marca americana e anticomunista, o è disonesto. Camillo Berneri era anarchico, e tra gli anarchici di Barcellona, nell’aprile del 1937, egli apparteneva alla tendenza che in un certo modo si stava avvicinando ai socialisti unificati, ai catalanisti e ai repubblicani, in quanto si era opposto, anche vivacemente e suscitando contrasti, alla condotta dei famosi incontrolados. Vi fu la nota rivolta barcellonese del maggio una serie confusa di sanguinose battaglie di strada, da casa a casa, dai tetti, ecc. Il Berneri cadde in uno di questi scontri, ecco tutto”. Tale sua dichiarazione, mentre da un lato continuava a sostenere l’incidente (vedi il tentativo messo in atto prima che il suo corpo venisse ritrovato di convincere le sue compagne d’abitazione che i due sarebbero stati liberati), dall’altro lato ripudiava la tesi del “Grido del Popolo” di Parigi, organo ufficiale del Pci che aveva detto:
“Camillo Berneri, uno dei dirigenti de Los Amigos de Durruti, che, esautorato dalla Direzione stessa Fai ha provocato il sanguinoso sollevamento contro il governo del
fronte popolare della Catalogna, è stato giustiziato dalla Rivoluzione Democratica, a cui nessun antifascista può negare il diritto della legittima difesa.”
L’undici maggio 1937 un lungo corteo percorse le strade di Barcellona alla volta del cimitero di Sans (Carrettera Col Blanc). Accanto alla bara di Berneri vi erano quelle
di Ferrari Adriano, Barbieri Francesco, Di Peretti Lorenzo e Macan Pietro. Il numero 4034 distinse la tomba di Camillo Berneri da una miriade di altre tutte uguali.
[Avanti! 12-12-2014] http://www.avantionline.it/2014/12/lassassinio-di-berneri-un-anarchico-socialista/#.VI2TAsu9KSM
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UNA POSTILLA di Enzo Marzo
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Fabrizio Montanari, nel suo documentatissimo e benemerito saggio, cita delle frasi dell'indecente articolo di Togliatti su "Rinascita" del 1950 contro Gaetano Salvemini [ripubblicato da "Critica liberale" n.219], ma ne presenta una versione inesatta. Infatti il "Migliore", nella filippica in cui cerca di avallare una falsa versione dell'assassinio dell'anarchico, tutte e due le volte che cita Berneri lo fa sbagliandone sia il nome sia il cognome. Così i lettori si trovano di fronte a un Cammillo Bernieri. Togliatti vuol suggerire forse che conosceva poco, neppure come si chiamava, colui che aveva fatto assassinare? Oppure, come dice la vulgata popolare, il porta-ordini di Stalin in Spagna è tornato sul luogo del delitto per la seconda volta: e dopo le fucilate, il suo inconscio (o il suo cinismo) ha voluto uccidere ancora, questa volta con la penna?
{ Pubblicato il: 13.12.2014 }