enzo marzo
Nessun commentoSMONTARE. I cittadini italiani, quando il potere fa la grazia di conceder loro il diritto di votare, riescono a dare indicazioni preziose sia votando sia astenendosi. Perché è chiarissimo che l’astensionismo nel nostro paese è in gran parte un voto politico e non certo frutto di indifferenza. Scalfari nel famoso colloquio con Renzi pubblicato su “Repubblica” del 12 giugno lo ammette quando afferma che i Cinquestelle «sono l’aspetto, non dico positivo, degli indifferenti, degli astenuti. C’è una massa di astenuti e e poi c’è una massa di Cinquestelle. Sono come astenuti che vanno a votare. Vogliono semplicemente smontare quello che c’è. Come gli astenuti». Non condividiamo il giudizio politico che è sotteso, ma l’analisi è giusta. Scalfari non vuole che si smonti l’impalcatura che Napolitano, operando al di fuori dei suo ruolo costituzionale, ha realizzato nell’ultimo decennio. Tuttavia riconosce il significato politico dell’astensionismo, ed estendendo la sua equazione si può dire che molti astenuti sono Cinquestelle che non votano ancora, o per troppo disgusto o per troppo pessimismo sulle possibilità di cambiamento. Però almeno in alcune città questa possibilità è diventata concreta. A Roma e a Torino la contrapposizione tra il “vero nuovo” e il “falso nuovo” renziano è sul campo. Il “falso nuovo” ha le fattezze di una foglia di fico come Giachetti che difende oggettivamente un passato nero fumo del Pd romano, e a Torino è impersonato da uno dei più consumati rottami della nomenclatura ex-comunista, la cui presenza dimostra in che modo demagogico e truffaldino Renzi ha realizzato secondo le circostanze il suo slogan della “rottamazione”. Quindi per “smontare” occorre andare a votare.
Purtroppo agli italiani il diritto di un voto democratico viene concesso raramente. Negli anni scorsi è infuriato il dibattito tra chi sostiene che il voto debba fotografare la geografia politica dell’elettorato e basta, e chi invece ritiene che debba indicare chi avrà il compito di governare. Discussione accademica e anche comica, perché i sistemi elettorali cui sono stati costretti gli italiani non hanno realizzato né l’uno né l’altro scopo. Non si sono mai visti tanti presidenti del consiglio non eletti nemmeno in parlamento né tanti parlamentari mai votati davvero dagli elettori. Fino ad arrivare all’assurdo che Renzi fa passare come una grande conquista il fatto che con la nuova riforma elettorale il Pd, se vincesse, avrebbe solo 100 nominati su 340. Come se il destino cinico e baro imponga al nostro paese questa tassa antidemocratica, da diminuire o da aumentare a volontà senza che passi nella testa dei nostri legislatori che nel mondo solo noi abbiamo questa figura di “nominati” che diventano parlamentari perché imposti come il cavallo di Caligola da 5-6 persone. Alla faccia dell’elettorato. Tutto questo - è bene che i cittadini lo sappiano - è un castello di privilegi fuoriuscito da un normale sistema democratico. Un castello che va smontato.
BENEFICI COLLATERALI. Da queste elezioni amministrative ci aspettiamo molti benefici. Per ora c’è molta confusione. Il presidente del consiglio (in preda al panico) a più riprese si è affrettato a sostenere che è solo un voto locale, il che è un’ovvietà che nasconde il fatto, purtroppo per lui, che i voti locali a volte possono assumere un grande significato politico (e Veltroni e D’Alema se lo ricordano ancora). Nello stesso tempo, il braccio destro di Renzi, parlando da ministra, ha inferto colpi bassi minacciando ritorsioni qualora i cittadini votassero un candidato al posto di un altro. Ma purtroppo la Boschi, da vera novizia inesperta , non conosce i ruoli istituzionali e con i suoi scarponi chiodati, proprio col suo intervento, ha attirato direttamente sul governo l’eventuale danno di una sconfitta “locale”. Buona cosa.
Già è bastato il primo turno per far arrivare, come pioggia attesa da molti, quattro benefici collaterali. Per carità, benefici secondari, ma come per tutti i chiarimenti, benvenuti.
Il primo beneficio è venuto dal risultato dei verdiniani. La catastrofe napoletana del plotone brancaleone si riflette sinistramente sulla Riforma costituzionale: ora a chiunque è chiaro che Renzi ha potuto far approvare la più corposa manomissione della Costituzione grazie ad alcuni soldati di ventura che non hanno alcuna presenza elettorale nel paese.
Il secondo beneficio è venuto dal risultato di Adinolfi. Finalmente i clericali hanno avuto il coraggio di misurarsi, dopo un Family Day cosi strombazzato dai media. Il servilismo mediatico è stato tale che ha raggiunto lo scopo opposto: ha ingannato e illuso gli stessi protagonisti. Il movimento di Adinolfi nella Città Santa ha raggiunto lo 0,6%. Non è stato votato neppure dai preti e dalle suore. Adinolfi ora è chiamato dai romani il “Prefisso”. Se si fosse presentato a Milano avrebbe preso lo 02, a Torino lo 011 e così via. Ci dispiace solo che con questo voto Adinolfi e altri clericali come Quagliariello e Roccella (tutti prodotti OGM di Pannella) avranno perso un po’ la voglia di affrontare l’avventura del referendum contro le Unioni civili. Sarebbe stata, quella, è una bella esperienza.
Il terzo beneficio è venuto dalla patetica vicenda dei fascio-liberali. Lo sappiamo che non se ne è accorto nessuno, ma i sedicenti liberali che sfruttano sfacciatamente il vecchio simbolodel Pli, con appena qualche modifica, a Roma si sono presentati con i fascisti. Un altro raggruppamento invece s’è impegnato con Marchini, Storace e Alemanno. Non conta tanto il miserrimo risultato di entrambe le debolezze quanto il significato politico della scelta. Forse inconsciamente hanno voluto ripercorrere la squallida vicenda storica del primissimo Pli, quando anche allora i sedicenti liberali affiancarono i fascisti con un loro partitino di piccoli borghesucci che, non avendo neppure il coraggio di mettere la camicia nera, si inventarono la “camicia azzurra” dei complici. De Ruggiero li schernì molto. Ora, dopo aver realizzato la “rivoluzione liberale” assieme a Berlusconi, si abbinano senza alcuna vergogna alla Meloni e ai razzisti di Salvini. Anche questo è un buon chiarimento.
Il quarto beneficio è venuto dagli orfani pannelliani. A Roma sostengono la nomenclatura del Pd, che “qualche” responsabilità ha sulle vicende delinquenziali all’ombra del Campidoglio. A Milano hanno poi superato ogni livello di trasformismo. Poche settimane fa hanno presentato vari esposti contro Sala, il candidato di centrosinistra, sostenendo che fosse incandidabile e ineleggibile. Parole forti, quelle del candidato sindaco radicale, Marco Cappato, contro Sala che ha continuato a firmare atti anche dopo la supposta data di protocollazione delle dimissioni dall’Expo. Un altro esposto, addirittura, è stato presentato in Procura. Ma non finisce qui. Cappato ha denunciato anche un’altra possibile incompatibilità, quella relativa al ruolo di Sala nel consiglio d’amministrazione della Cassa depositi e prestiti, dov’è stato nominato lo scorso ottobre. «Sala - ha detto Cappato - continua a sedere nel consiglio di amministrazione di una Cassa depositi e prestiti alla quale il governo ha affidato competenze sulla valorizzazione delle aree Expo, e che ha competenze su attività comunali come gli aeroporti milanesi, o sui debiti della Città metropolitana e tanto altro. La sua candidabilità potrà essere impugnata anche dopo il voto». Certo, ora i radicali avranno forse qualche difficoltà a impugnare la “candidabilità” di Sala. Infatti, come qualunque ceto politico allo sbando, passati solo pochissimi giorni, i radicali - incassata una bella sconfitta elettorale - sono corsi a mettersi d’accordo proprio con Sala, e ora porgono i loro voti all’incandidabile e all’ineleggibile. Per qualche buono-posto.
{ Pubblicato il: 16.06.2016 }