In merito ad articoli comparsi su alcuni quotidiani, in cui si afferma che chi ha contestato la scheda referendaria dinanzi al TAR Lazio avrebbe compiuto una “clamorosa retromarcia”,avendo in precedenza proposto il referendum col medesimo quesito, gli avvocati Enzo Palumbo e Giuseppe Bozzi, quali esponenti del Comitato liberali per il NO, evidenziano la confusione che si continua a fare, contro ogni evidenza legislativa, tra “richiesta di referendum” che si rivolge all’Ufficio Centrale presso la Cassazione, e “quesito referendario” che si rivolge ai cittadini attraverso la scheda, atti chiaramente distinti nella legge n. 352/1970.
La legge stabilisce infatti che i promotori del referendum sottoscrivono in Cassazione la richiesta contenuta inmoduli predisposti, tutti eguali, dove compare per espressa prescrizione normativa (art. 4) “l’indicazione della legge di revisione della Costituzione o della legge costituzionale che si intende sottoporre alla volontà popolare……”, e l’indicazione non può che farsi inserendo nel quesito il titolo della legge, che chiaramente i promotori non possono cambiare.
Altra e diversa cosa è invece la formulazione del quesito che dovrà comparire sulla scheda da sottoporre ai cittadini, cosa che avviene in un successiva fase del procedimento, ad opera del Governo che lo propone al Presidente della Repubblica, dopo che l’Ufficio ha verificato la legittimità della richiesta (sottoscrizioni, documentazione), e anche in tale fase i promotori non possono avere alcun ruolo.
Nessuna norma – affermano Bozzi e Palumbo – prevede che il quesito sulla scheda debba coincidere con il titolo della legge sottoposta a referendum, mentre l’art. 16,su cui è fondato il ricorso Tar Lazio, dice una cosa opposta, allorché prescrive inderogabilmente che per la legge di revisione costituzionale la formula del quesito deve recare obbligatoriamente l’indicazione “degli articoli ……….della Costituzione“ che sono sottoposti a revisione dal “testo della legge”, giammai dal suo titolo, che in tale fase è assolutamente ininfluente.
Non c’è quindi nessuna “retromarcia”,perché si può sottoscrivere la richiesta di referendum, indicando il titolo della legge, e al contempo contestarne il testo,che concerne gli articoli revisionati.
E’ triste constatare– concludono Bozzi e Palumbo– che giornalisti esperti come taluni di quelli che intervengono in materia, non riescano a comprendere e/o a fare comprendere quanto diverse siano due cose (la richiesta e la scheda) così concettualmente e giuridicamente diverse, come tali regolate da due diverse disposizioni di legge, e finiscono invece per accusare i ricorrenti di comportamenti incoerenti e contraddittori, quando sarebbe bastato dare un’occhiata alla legge per convincersi del contrario.
In un articolo a firma di Carmelo Lopapa (La Repubblica del 7 ottobre 2016) si afferma che il Comitato dei Liberali per il No e in particolare sottoscritti, che hanno denunciato al Tar del Lazio l’illegittimità del quesito referendario, avrebbero compiuto una “clamorosa retromarcia” poiché avevano proposto in Cassazione il referendum con il medesimo quesito oggi contestato.
L’affermazione non può che derivare dalla sorprendente confusione e sovrapposizione che si continua a fare, contro ogni evidenza, legislativa, tra richiesta di referendum che si rivolge all’Ufficio Centrale presso la Cassazione, e quesito referendario che si rivolge ai cittadini attraverso la scheda, che sono invece due atti distinti chiaramente nella legge n. 352/1970.
Questa, come qualsiasi legge, non può essere ignorata da nessun cittadino e, in particolare, da chi, intervenendo nella specifica materia, ha il dovere di informare correttamente la pubblica opinione, e quindi anche quello di informare preventivamente sé stesso.
I promotori del referendum si limitano a sottoscrivere presso l’Ufficio Centrale della Cassazione la richiesta contenuta in un modulo predisposto, nel quale compare per espressa prescrizione normativa (art. 4) “l’indicazione della legge di revisione della Costituzione o della legge costituzionale che si intende sottoporre alla volontà popolare……”, e l’indicazione non può che farsi inserendo nel quesito il titolo della legge, in termini che non possono essere elusi dai promotori.
Altra e diversa cosa è invece la formulazione del quesito che dovrà comparire sulla scheda che dovrà essere sottoposta ai cittadini, che avviene in un fase del procedimento distinta e successiva, dopo che l’Ufficio Centrale ha verificato la legittimità della richiesta (numero e regolarità delle sottoscrizioni), e in tale fase i promotori non hanno e non possono avere alcun ruolo.
Non solo nessuna norma prevede che il quesito debba coincidere con il titolo della legge sottoposta a referendum, ma l’art. 16, la cui palese violazione è stata denunciata davanti al Tar del Lazio, dice una cosa opposta, allorché prescrive inderogabilmente che per la legge di revisione la formula del quesito debba recare l’indicazione “degli articoli ……….della Costituzione“ che siano stati revisionati dal “testo della legge” (e non dal suo titolo, che in questo caso è assolutamente ininfluente).
Quindi nessuna “retromarcia”, per altro comunque ammissibile in una materia di così tanta rilevanza pubblica, perché si può sottoscriverela richiesta di referendum e al contempo contestarne il testo e quindi la revisione costituzionale, essendo queste attività concettualmente e giuridicamente diverse.
Ci chiediamo come sia possibile chesi giunga al punto di ignorare o travisare l’univoco contenuto della legge, accusando gratuitamente i sottoscritti di comportamenti incoerenti e contraddittori, al solo evidente scopo di giustificare un quesito non solo contrario alla legge, ma suggestivo, parziale, ingannevole e fuorviante per i cittadini alla stregua di uno spot pubblicitario,
Ed è triste constatare che ciò avviene soltanto perché ci siamo assunto il compito civico, che nell’Italia di oggi è incredibilmente gravoso e misconosciuto, di restituire ai cittadini la pienezza e la consapevolezza del loro diritto di voto, come già stiamo facendo nel giudizio costituzionale in corso contro la legge elettorale.
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TESTO DELLA LETTERA INVIATA A REPUBBLICA COM RICHIESTA DI RETTIFICA
In un articolo a firma di Carmelo Lopapa (La Repubblica del 7 ottobre 2016) si afferma che il Comitato dei Liberali per il No e in particolare sottoscritti, che hanno denunciato al Tar del Lazio l’illegittimità del quesito referendario, avrebbero compiuto una “clamorosa retromarcia” poiché avevano proposto in Cassazione il referendum con il medesimo quesito oggi contestato. L’affermazione non può che derivare dalla sorprendente confusione e sovrapposizione che si continua a fare, contro ogni evidenza, legislativa, tra richiesta di referendum che si rivolge all’Ufficio Centrale presso la Cassazione, e quesito referendario che si rivolge ai cittadini attraverso la scheda, che sono invece due atti distinti chiaramente nella legge n. 352/1970. Questa, come qualsiasi legge, non può essere ignorata da nessun cittadino e, in particolare, da chi, intervenendo nella specifica materia, ha il dovere di informare correttamente la pubblica opinione, e quindi anche quello di informare preventivamente sé stesso. I promotori del referendum si limitano a sottoscrivere presso l’Ufficio Centrale della Cassazione la richiesta contenuta in un modulo predisposto, nel quale compare per espressa prescrizione normativa (art. 4) “l’indicazione della legge di revisione della Costituzione o della legge costituzionale che si intende sottoporre alla volontà popolare……”, e l’indicazione non può che farsi inserendo nel quesito il titolo della legge, in termini che non possono essere elusi dai promotori.
Altra e diversa cosa è invece la formulazione del quesito che dovrà comparire sulla scheda che dovrà essere sottoposta ai cittadini, che avviene in un fase del procedimento distinta e successiva, dopo che l’Ufficio Centrale ha verificato la legittimità della richiesta (numero e regolarità delle sottoscrizioni), e in tale fase i promotori non hanno e non possono avere alcun ruolo. Non solo nessuna norma prevede che il quesito debba coincidere con il titolo della legge sottoposta a referendum, ma l’art. 16, la cui palese violazione è stata denunciata davanti al Tar del Lazio, dice una cosa opposta, allorché prescrive inderogabilmente che per la legge di revisione la formula del quesito debba recare l’indicazione “degli articoli ……….della Costituzione“ che siano stati revisionati dal “testo della legge” (e non dal suo titolo, che in questo caso è assolutamente ininfluente).
Quindi nessuna “retromarcia”, per altro comunque ammissibile in una materia di così tanta rilevanza pubblica, perché si può sottoscriverela richiesta di referendum e al contempo contestarne il testo e quindi la revisione costituzionale, essendo queste attività concettualmente e giuridicamente diverse. Ci chiediamo come sia possibile chesi giunga al punto di ignorare o travisare l’univoco contenuto della legge, accusando gratuitamente i sottoscritti di comportamenti incoerenti e contraddittori, al solo evidente scopo di giustificare un quesito non solo contrario alla legge, ma suggestivo, parziale, ingannevole e fuorviante per i cittadini alla stregua di uno spot pubblicitario,
Ed è triste constatare che ciò avviene soltanto perché ci siamo assunto il compito civico, che nell’Italia di oggi è incredibilmente gravoso e misconosciuto, di restituire ai cittadini la pienezza e la consapevolezza del loro diritto di voto, come già stiamo facendo nel giudizio costituzionale in corso contro la legge elettorale.
Per il Comitato dei Liberali x il NO
prof. avv.Giuseppe Bozzi avv. Enzo Palumbo
{ Pubblicato il: 07.10.2016 }