Fondazione Critica Liberale   'Passans, cette terre est libre' - Abbiamo scelto come logo la fotografia d'un autentico 'Albero della Libertà ancora vivente. È un olmo che fu piantato nel 1799 dai rivoluzionari della Repubblica Partenopea, Luigi Rossi e Gregorio Mattei, a Montepaone Superiore, paese dello Jonio catanzarese. La scritta &lequo;passans ecc.» era qualche volta posta sotto gli 'Alberi della Libertà' in Francia.
 
Direttore: Enzo Marzo

Dal 1969 la voce del pensiero laico e liberale italiano e della tradizione politica che difende e afferma le libertà, l'equità, i diritti, il conflitto.

"Critica liberale" segue il filo rosso che tiene assieme protagonisti come Giovanni Amendola e Benedetto Croce, Gobetti e i fratelli Rosselli, Salvemini ed Ernesto Rossi, Einaudi e il "Mondo" di Pannunzio, gli "azionisti" e Bobbio.

volume XXIV, n.232 estate 2017

territorio senza governo - l'agenda urbana che non c'è

INDICE

taccuino
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67. paolo bagnoli, la nostra preoccupazione
68. coordinamento democrazia costituzionale, appello alla mobilitazione per una legge elettorale conforme alla Costituzione
106. comitati unitari per il NO al “rosatellum”, l’imbroglio degli imbrogli
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territorio senza governo
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69. giovanni vetritto, l’italia del “non governo” locale
73. pierfranco pellizzetti, alla ricerca del civismo perduto
79. antonio calafati, le periferie delle metropoli italiane
84. paolo pileri, molta retorica, pochi fatti
86. giovanni vetritto, post-marxisti inutili
88. valerio pocar, primo comandamento: cementificare
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astrolabio
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89. riccardo mastrorillo, finanziare sì, ma come?
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GLI STATI UNITI D'EUROPA
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93. sarah lenderes-valenti, la risorsa più grande
94. luigi somma, le democrazie invisibili
97. claudio maretto, la discontinuità paga
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castigat ridendo mores
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100. elio rindone, basta con l’onestà!
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l'osservatore laico
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103. carla corsetti, il principio di laicità
107. gaetano salvemini, abolire il concordato
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terrorismo e religione
109. pierfranco pellizzetti, jihad combattuta alla john wayne
114. alessandro cavalli,quattro cerchi
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lo spaccio delle idee
117. gianmarco pondrano altavilla, cari liberisti, chi conosce un buon medium?
118. luca tedesco, savoia o borbone? lo storico è un apolide
119. gaetano pecora, ernesto rossi, “pazzo malinconico”
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78.92.102. spilli de la lepre marzolina
116. la lepre marzolina, di maio ’o statista
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comitato di presidenza onoraria
Mauro Barberis, Piero Bellini, Daniele Garrone, Sergio Lariccia, Pietro Rescigno, Gennaro Sasso, Carlo Augusto Viano, Gustavo Zagrebelsky.

* Hanno fatto parte del Comitato di Presidenza Onoraria: Norberto Bobbio (Presidente), Vittorio Foa, Alessandro Galante Garrone, Giancarlo Lunati, Italo Mereu, Federico Orlando, Claudio Pavone, Alessandro Pizzorusso, Stefano Rodotà, Paolo Sylos Labini. Ne ha fatto parte anche Alessandro Roncaglia, dal 9/2014 al 12/2016.
 
05.02.2018

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perché l'italicum è incostituzionale. intervento di enzo palumbo presso la corte costituzionale, 24 gennaio

enzo palumbo

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1) Onorevole presidente, i principi disattesi.
Onorevole presidente, onorevoli giudici della corte,
Se, a seguito della sentenza n. 1-2014 della corte il parlamento ne avesse seguito la traccia e avesse esitato una nuova legge elettorale rispettosa di quei principi, invece di approvarne una piena di criticità costituzionali, in qualche modo sovrapponibili alle precedenti, non avremmo dovuto disturbare decine di tribunali italiani per farle nuovamente emergere e non saremmo oggi qui a discuterne, tre anni dopo, circa il modo di darvi concreta attuazione.
Quella sentenza aveva stabilito alcuni punti fermi, bastava tenerli a mente e tutto si sarebbe risolto in tempi rapidi, consentendo di rinnovare il parlamento con una legge sicuramente costituzionale; e poi, con l’esito uscito dalle urne, un parlamento nuovamente legittimato dal popolo sovrano, avrebbe potuto provvedere eventualmente anche a revisionare la carta fondamentale della repubblica.
Provo ora a ricordare a me stesso quei principi, perché in fondo è proprio su di essi che si basano le questioni oggi all’esame.
 Il principio di ragionevolezza e di proporzionalità della normativa elettorale, sotto il profilo della sua coerenza con sé stessa e con l’ordinamento;
 Il principio del minore sacrificio possibile per la rappresentanza, che e’  caratteristica assoluta ed essenziale del sistema istituzionale ed è la misura della legittimità delle istituzioni rappresentative, pur potendosi perseguire, come scopo ulteriore, anche l’utilita’ politica di una migliore efficienza del processo decisionale;
 Il principio della massima possibile eguaglianza degli effetti del voto, che non può subire distorsioni eccessive e irragionevoli tra la sua espressione (“voto in entrata”) e i suoi effetti (“voto in uscita”);
 Il principio della massima possibile libertà dell’elettore nella scelta dei suoi rappresentanti territoriali, pur nella facoltà dei partiti di stabilire l’ordine di lista (cfr. Il richiamo alla sentenza 203-1975);
 Il principio della massima possibile prevedibilità degli effetti del voto, secondo cui l’elettore deve potere sapere, nel momento in cui lo esercita, quale ne sarà il potenziale esito, che non può essere rimesso alla discrezione del candidato plurieletto o all’occasionalita’ del collegio di destinazione del seggio utile.
Invece, nel confezionare la legge 52-2015, il parlamento ha totalmente disatteso tutti i principi costituzionali che presidiano la materia, quali sono stati affermati in tutta la risalente giurisprudenza costituzionale d’indirizzo, da ultimo richiamata nella sentenza n. 1-2014, e così:
 Non ha tenuto conto che non era ragionevole deliberare una normativa elettorale per la sola camera, in termini assolutamente incoerenti con un sistema bicamerale;
 Non ha tenuto conto che privilegiare la  governabilità significava subodinarle la rappresentanza;
 Non ha tenuto conto che il voto in uscita non poteva valere due o tre volte quello in entrata.
 Non ha tenuto conto che non si poteva limitare la scelta degli elettori a una parte minoritaria dei deputati (per la prima lista, almeno 100 su 340 , ma anche di più per le opzioni post voto, e quasi tutti per i 278 delle  alle altre liste).
 Non ha tenuto conto che il sistema delle pluricandidature e delle opzioni post-voto metteva l’elezione di moltissimi  parlamentari nell’assoluta discrezionalità dei leader dei partiti.
 E, tra l’altro, non ha tenuto conto che quel parlamento, sia pure legittimo, era ormai politicamente delegittimato, e non poteva continuare a operare come se niente fosse, utilizzando come giustificazione quella che mi sono sentito opporre più volte, anche da politici e giuristi eminenti, e cioè che esso sarebbe stato pienamente abilitato a fare tutto, perché così aveva stabilito la corte costituzionale; cosa questa parzialmente, ma non del tutto vera. Ma questo e’un altro discorso.
E così, affievolendosi via via, il ricordo di quelle precise indicazioni, questo parlamento:
- ha prima convalidato deputati e senatori, come non avrebbe nemmeno potuto fare applicando una normativa non più esistente nell’ordinamento;
- poi si è fatto addirittura costituente deliberando una riforma costituzionale; e buon per tutti noi che a bocciare questa riforma ci hanno pensato gli elettori, come dieci anni prima avevano già fatto bocciando la riforma di allora.
- e nel frattempo ha deliberato una nuova normativa elettorale, reiterando i difetti già censurati dalla corte con la sentenza n. 1-2014.
Man mano che il tempo passava, i principi affermati nella sentenza n. 1-2014 sono andati via via sfumando nel ricordo collettivo, sopraffatti dalla polemica che ha accompagnato e seguito il quasi parallelo percorso della riforma costituzionale.
E siamo ora qui nuovamente a discuterne per cercare di mettervi riparo, in tempi che, questa volta, sono stati ben più veloci degli otto anni trascorsi per fare approdare dinanzi alla corte la legge 270-2005, otto anni che, in politica, sono un’eternità, e che avevano allora consentito di celebrare ben tre tornate elettorali, nel 2006, nel 2008 e nel 2013, prima di poterne ottenere l’invalidazione.
*********
2) una legge mai applicata: meglio cosi’!
Questa essendo l’esperienza, appare alquanto singolare la pretesa dell’avvocatura dello stato quando sostiene che l’italicum, non potrebbe essere oggetto di scrutinio costituzionale proprio perché non è stata ancora applicata, onde la lesione ai diritti costituzionali dei cittadini ricorrenti non si sarebbe ancora verificata.
Sul piano strettamente giuridico tale tesi non tiene conto della differenza ontologica che esiste tra entrata in vigore di una legge e applicabilita’ di una sua specifica disposizione, e trascura che per verificare l’interesse ad agire in giudizio non rileva l’attualità e l’immediatezza della lesione al diritto, quanto piuttosto l’attualità del pregiudizio, che per definizione e’ un evento di pericolo, essendo sufficiente che il diritto azionato si trovi in uno stato d’incertezza oggettiva e di pericolo incombente sulla sua esistenza e sulla sua effettiva portata.
Del pari, non rileva che il giudizio messinese sia iniziato prima di quella singolare e irragionevole scadenza del 1° luglio 2016, quando invece sappiamo che l’interesse ad agire va valutato al momento della decisione, e, nel nostro caso, deve essere valutato proprio in prevenzione rispetto alle future elezioni, perché solo così il pregiudizio potrà essere rimosso.
Ma e’ sul piano istituzionale che la tesi dell’avvocatura mostra la sua assoluta debolezza, perche’, se venisse assecondata, ne deriverebbe che una legge elettorale incostituzionale dovrebbe necessariamente produrre i suoi venefici frutti prima di poterla contestare, dando luogo a un nuovo parlamento, la cui legittimità costituzionale sarebbe contestabile solo ex post, e così via di seguito, facendo sparire dal panorama dello stato di diritto il principio dell’effettività della tutela costituzionale.
Di tale singolare orientamento, crediamo abbia già fatto giustizia la sentenza n. 1-2014 della corte, quando ha affermato che l’ammissibilità di quella questione si desumeva, da un lato, dalla peculiarità e dal rilievo costituzionale del diritto di voto, e, d’altro lato, dal sospetto d’incostituzionalità che ne rendeva incerta la portata, che e’ gia’, di per sé, una lesione del diritto indipendentemente da atti applicativi della normativa elettorale.
Per altro, nel nostro caso, il pregiudizio ai diritti costituzionali che presidiano l’elettorato attivo e passivo dei ricorrenti, e in genere di tutti i cittadini elettori, non è solo ipotetico, ma è già in itinere, ed è assolutamente certo nell’”an” (ovviamente, se le nostre censure sono fondate), nel “quomodo” (attraverso le norme censurate), nel “quantum” (provocando l’abnorme lezione che si prefigura), e, in fondo, anche nel “quando” (essendo ormai imminente la scadenza della legislatura).
E’ proprio la vicenda parlamentare che ha seguito la sentenza n. 1-2014 sta lì a dimostrare che il ripristino della pienezza dei diritti elettorali deve necessariamente operare in prevenzione rispetto all’evento elettorale, se non si vuole correre il rischio che le elezioni si svolgano sotto l’imperio di norme contrarie alla costituzione.
Delle criticità di questa normativa elettorale, sia di quella per la camera, sia di quella per il senato residuata a seguito della sentenza n. 1-2014, abbiamo ampiamente trattato nelle nostre difese scritte.
Non ci sarebbe, qui e ora, il tempo di ripercorrere singolarmente tutte le q. L. C. All’esame, e non faremo alla corte il torto di ripeterne le motivazioni, ben consapevoli che, se anche ora avessimo modo e tempo di farlo, non riusciremmo a esporle negli stessi analitici termini con cui l’abbiamo già fatto, con puntuali riferimenti a spunti dottrinali e giurisprudenziali che si sono formati e consolidati sulle singole questioni.
Tuttavia, ci sia consentito di affrontare alcune questioni di ordine generale, che in qualche modo costituiscono la cornice in cui le singole questioni all’esame s’inquadrano.
Sta di fatto che l’italicum, oltre che costituzionalmente illegittimo nelle sue singole previsioni, oggetto dei dubbi dei giudici remittenti, lo è anche nella sua totalità, per le seguenti ragioni:
- Perché nasce male, giacché il suo iter parlamentare è stato costellato da illegalità incostituzionali che abbiamo gia’ dettagliatamente evidenziato;
- Perché produce effetti irragionevoli, alla luce della costituzione allora e ancora oggi vigente.
*********
3) una legge nata male.
Per potere affrontare in questa sede il primo aspetto, che sia cioe’ una legge nata male, ci siamo permessi di formulare un’istanza di autoremissione relativamente all’iter legislativo, che il tribunale di messina non ha esaminato essendo incorso in due vere e proprie sviste processuali:
-  la prima allorché ha affermato la mancanza di documenti che invece erano stati tempestivamente prodotti per ben tre volte, prima in cartaceo, banco iudicis, all’udienza del 5 febbraio 2016, poi telematicamente appena finita l’udienza, infine ancora telematicamente insieme alla memoria autorizzata=;
- e la seconda  quando ha affermato che l’avvocatura erariale si era opposta alla produzione dei documenti, mentre a verbale l’avvocatura aveva dichiarato di non opporsi.
La questione che ora tratteremo, non figurando tra quelle sollevate dal tribunale, è stata trattata al termine della nostra prima memoria illustrativa; e tuttavia, se la corte la valuterà come non manifestamente infondata, e come tale la sottoporrà al suo scrutinio in autoremissione, essa finirà per rivestire natura processualmente pregiudiziale nel rito oltre che preliminare nel merito, perché, ove venisse poi accolta, l’incostituzionalità dell’iter formativo travolgerebbe l’intera legge, e ne risulterebbero inevitabilmente assorbite tutte le singole questioni all’esame.
Nella nostra prima memoria abbiamo ripercorso il cammino costituzionale dell’autoremissione, che parte nel 1960 in tema di conflitti di attribuzione, si afferma via via in tale ambito e si generalizza, cinque anni dopo, anche nei giudizi incidentali, mentre sin dal 1959 l’autoremissione aveva anche riguardato i vizi procedimentali delle assemblee legislative, proprio in tema di conformità dell’iter legislativo rispetto ai canoni costituzionali, avendo cosi’ la corte affermato la sua natura di giudice di ultimissima istanza sulla conformità costituzionale della legislazione
Non ignoriamo ovviamente che la corte ha ritenuto, anche di recente, l’impossibilità di ricorrere al procedimento di autoremissione in ordine a questioni previamente valutate come manifestamente infondate dal giudice remittente,
E tuttavia, il nostro caso è assolutamente diverso:
- Perché una tale valutazione negativa il tribunale di messina non l’ha mai fatta;
- Perché la questione riveste natura assolutamente pregiudiziale e preliminare rispetto a quelle altre positivamente delibate dal tribunale;
- E infine perché, ci sia permesso di dirlo, una valutazione di merito su questo specifico punto finirebbe per assumere un valore chiaramente nomofilattico per un futuro legislatore che si accingesse domani a legiferare sulla materia con la medesima “leggerezza” (diciamo così) con cui l’ha fatto in quest’occasione.
Proprio in ragione delle particolarità che hanno contraddistinto sul punto l’ordinanza messinese, ove la corte accogliesse la nostra richiesta, facendosi giudice “a quo” nell’esercizio del suo potere officioso, non si aprirebbe la strada all’accesso diretto alla giustizia costituzionale, non consentito dall’ordinamento.
Si resterebbe pur sempre nell’ambito del giudizio incidentale ad opera di un’autorità giurisdizionale, qual è certamente la corte, superando così le strettoie dell’ordinanza di rimessione in ragione dell’evidente preminenza della questione generale (l’illegittimità dell’iter legislativo) rispetto alle questioni particolari (quelle già sollevate nell’ambito della medesima normativa).
Sappiamo tutti che, in ragione dell’interesse pubblico a cui è finalizzato, il giudizio costituzionale non soggiace al principio dispositivo del processo civile, e che ciò che rileva al fine dell’autoremissione è il requisito della pregiudizialità e/o della continenza rispetto alla questione all’esame, nei casi in cui una questione ne presupponga un’altra logicamente prioritaria, sia sotto il primo profilo (la pregiudizialità) sia sotto il secondo (la continenza).
E sappiamo anche che la pregiudizialità si ha tutte le volte in cui una diversa questione all’esame non possa essere valutata e decisa se non facendo applicazione di altra norma; mentre la continenza si ha tutte le volte in cui la previsione generale (continente) sia maggiore e più ampia di quella particolare (contenuta), onde vanno entrambe scrutinate per affermarne o negarne la costituzionalità.
Crediamo che non ci siano dubbi che il requisito della “continenza” sia nella specie ravvisabile, essendo le norme impugnate inserite in un sistema la cui legittimità viene messa in dubbio.
Ma ci spingiamo a credere che sia anche ravvisabile il requisito della pregiudizialità, perché solo la legittimità costituzionale (in denegata ipotesi) dell’iter legislativo dell’italicum potrebbe rendere legittime (sempre in denegata ipotesi) le norme all’esame, tuttavia scrutinabili ulteriormente per ciò che esse poi specificatamente dispongono.
E crediamo che tale percorso non sarebbe sostanzialmente diverso da quello che ha portato più volte la corte a estendere il proprio esame anche alle norme sopravvenute, che in fondo sono anch’esse in rapporto di sostanziale pregiudizialità rispetto a quelle all’esame, ancorché “a contrario”, nel senso che la loro eventuale riconosciuta legittimità costituzionale precluderebbe l’esame delle questioni all’esame della cui legittimità il giudice remittente aveva in principio dubitato.
D’altra parte, quand’anche la corte ritenesse infondati quegli specifici dubbi del giudice remittente sulle singole norme all’esame, ci chiediamo come potrebbe giungere a validarle ove mai essa stessa nutrisse qualche dubbio circa la complessiva validità dell’intera legge in cui quelle specifiche norme risultino inserite.
In tal caso, chi continuasse a dubitare della legittimità costituzionale di quell’iter legislativo sarebbe costretto ad attivare una nuova iniziativa giudiziaria, con le lungaggini che ne conseguirebbero, e così mettendo a rischio il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, di ogni processo, anche di quello costituzionale.
Il che consentirebbe a quella, in ipotesi illegittima, normativa, di produrre medio tempore i suoi effetti, che, come sappiamo, in una materia come questa, non sono agevolmente rimuovibili.
Da qui l’opportunità costituzionale di valutare l’italicum per come è stato deliberato, in termini assorbenti rispetto a ciò che esso ha disposto, e l’esito eventualmente positivo di tale valutazione, renderebbe superfluo il successivo esame delle specifiche questioni sollevate dal giudice remittente.
In questa fase, dico meglio, in questo momento, alla corte chiediamo di dubitare, non di condividere, le nostre convinzioni sull’illegittimità costituzionale dell’iter legislativo.
E solo all’esito positivo di tale dubbio, di valutare anche le nostre convinzioni e le relative motivazioni, sulla base dei parametri di costituzionalità che presiedono al processo di formazione delle leggi, specie in una materia così sensibile come quella che determina il processo d formazione delle assemblee parlamentari, che devono sapere di non potere deliberare in materia sulla base degli esclusivi interessi dei loro componenti, magari nel tentativo di perpetuare il loro ruolo istituzionale.
Quanto alle singole illegalità costituzionali che hanno accompagnato l’iter legislativo dell’italicum, le abbiamo singolarmente illustrate nella nostra memoria.
Ci limiteremo quindi qui a richiamarne i passaggi salienti, che dimostrano come quell’iter sia stato assai poco rispettoso della procedura “normale”, che è sempre richiesta in materia dall’art. 72, ultimo comma, cost.; e lo faremo:
- partendo da ciò che è avvenuto nella commissione aa. Cc. Del senato, quando il ddl è stato licenziato senza l’approvazione della rituale relazione;
- proseguendo con ciò che è avvenuto nell’aula del senato, allorché un singolo senatore si è fatto lecito di utilizzare la tecnica del c. D. “supercanguro”, che è prerogativa della presidenza, applicandola a un emendamento premissivo con natura precettiva, in luogo della sua normale natura ordinamentale, finalistica o definitoria, sino ad allora nota alla prassi parlamentare, così precludendo la discussione di emendamenti e subemendamenti, e quindi impedendo ai senatori di discutere e affrontare le singole norme risultate pregiudicate da quel singolare espediente;
- passando poi nella commissione aa. Cc. Della camera, i cui lavori si sono anch’essi conclusi senza relazione, dopo avere visto l’epurazione di dieci deputati presunti dissenzienti sostituiti da altrettanti deputati presunti consenzienti, in chiara violazione del divieto costituzionale del mandato imperativo;
- e concludendo con ciò che è avvenuto nell’aula della camera, allorché il ddl è stato approvato con tre voti di fiducia per appello nominale, e cio’ sulla base di una bizantina e inesistente distinzione tra voto segreto prescritto ed opzionale.
Basta dare una lettura sistematica a tutte le norme in materia (art. 116, c. 4; 49, c. 1,1-bis, 2, 3; 51, c. 1; 53, c. 1 e 4; 54, c. 1 e 2) per capire che, assecondando quella interpretazione, si dovrebbe concludere che il voto di fiducia sarebbe ammissibile su tutto tranne che nelle votazioni sulle persone; una conclusione fantasiosa, posto che nessun governo ardirebbe di porre la fiducia sull’elezione di persone destinate a rivestire ruoli in organi monocratici o collegiali.
E, quand’anche il voto segreto non fosse stato richiesto, quei tre articoli andavano comunque approvati obbligatoriamente per alzata di mano, anche attraverso il procedimento elettronico, e senza registrazione dei nomi, e cioè con la procedura “quasi segreta” prescritta dall’art. 53, comma 4, reg. Camera, e non potevano quindi essere sottoposte a un triplice voto di fiducia da farsi necessariamente per appello nominale.
Invece, operando come ha fatto, il parlamento ha adottato, per la legge elettorale, un iter formativo che ha assunto i caratteri della  “specialità e anormalità” in luogo della “normalita” prescritta, e quindi senza alcun voto di fiducia, come per altro la bozza di regolamento in itinere si preoccupa di precisare, codificando la prassi regolamentare sempre osservata dopo la votazione sulla legge c. D. Legge-truffa del 1953, che, confrontata con quella di oggi, beneficia di una postuma riabilitazione.
Ciò che qui ci preme di sottolineare è che l’occasione che oggi si presenta è propizia per dire una parola chiara su come debba essere condotto l’iter legislativo di disegni di legge in materia elettorale, per evitare che in futuro simili forzature abbiano a ripetersi.
La corte, già in occasione della sentenza n. 1-2014, ha trovato il modo di rischiarare quella zona d’ombra che sino ad allora aveva impedito di valutare la legittimità costituzionale delle leggi elettorali, sulla considerazione che l’esigenza di garantire il principio di costituzionalità rendeva imprescindibile affermare il sindacato della corte, e che, diversamente ragionando, si sarebbe finito per creare una zona franca nel sistema di giustizia costituzionale.
E l’ha fatto anche in altre materie, come le leggi penali di favore e addirittura le scelte di bilancio, che sono materie più propriamente connaturali alla discrezionalità politica, e che tuttavia la corte ha provato egualmente a rischiarare sulla considerazione che anche queste scelte legislative devono pur sempre muoversi all’interno dei confini presidiati dai canoni costituzionali.
A noi sembra che, muovendo dalle medesime considerazioni, la corte potrebbe cogliere l’occasione per rischiarare con la luce della costituzione anche la procedura parlamentare, che non può restare nell’esclusiva disponibilità delle furbizie e delle decisioni degli “interna corporis”, le une e le altre inevitabilmente influenzate dall’interesse della politica, dico meglio, dei politici, che spesso sono portati ad abusarne.
potrebbe essere questo il momento di riaffermare, come gia’ nelle antiche sentenze 3-1957 e 9-1959, la possibilita’ la possibilita’ del sindacato della corte sull’iter formativo dele leggi, che deve essere presidiato da comportamenti esclusivamente finalizzati all’interesse generale, cosi’ che nessun cittadino possa addebitare al parlamento mancanza di trasparenza o di obiettività.
Insistiamo quindi perche’ la corte voglia, in autoremissione, preliminarmente dubitare, e poi eventualmente decidere, che gli art. Li 1, 2 e 4 della legge 52-2015 sono stati approvati con un procedimento legislativo incostituzionale, in violazione di plurime norme della costituzione e della cedu.
*********
4) una legge che produce effetti irragionevoli.
Se ciò che abbiamo detto non bastasse per convincere la corte a un intervento demolitorio della complessiva normativa della legge 52-2015, anche al di là delle singole questioni all’esame, alla medesima conclusione si potrebbe giungere anche solo osservando gli effetti irragionevoli che essa produce, nel momento in cui si inseriva sin dall’origine (e si inserisce vieppiù oggi) in un sistema istituzionale che ne contraddice le finalità, secondo un elementare test di coerenza, congruenza, logicità, e non contraddittorietà.
L’esito del referendum del 4 dicembre, che ha visto rigettata con ampia maggioranza popolare la riforma costituzionale e ha quindi implicitamente confermato l’attuale impianto istituzionale -- con le due camere paritariamente deputate alla produzione legislativa e parimenti titolari del rapporto fiduciario col governo -- ha radicalmente mutato la situazione istituzionale nella quale la vostra decisione ora e’ destinata a collocarsi.
Sotto il profilo tecnico.giuridico, la questione ora all’esame è ovviamente quella sollevata dal giudice remittente in relazione all’irragionevolezza della data del 1° luglio 2016 come inizio di applicabilità di alcune norme dell’italicum, a costituzione non ancora riformata, quando non era scontata la positiva conclusione del complesso iter riformistico, con una presuntuosa previsione che si è manifestata in tutta la sua imprevidenza.
E siamo quindi, qui ed ora, a discutere di una legge che, ancora una volta complessivamente considerata, piuttosto che conseguire il risultato di garantire la c. D. Governabilità, consegue il risultato esattamente opposto.
Ed e’ ormai opinione generale che la sua applicazione non potrebbe che dare risultati difformi e confliggenti rispetto a quelli scaturenti per il senato dalla tuttora vigente legge 270-2005, nella parte residuata a seguito della sentenza n. 1-2014.
L’esito referendario ha reso palese ciò che prima era prevedibile: la rappresentanza e la governabilità, se si decide di coniugarle insieme, ancorché in diversa misura e pur sempre con prevalenza della prima sulla seconda, devono essere caratteristiche riferite all’intero sistema parlamentare, e non più alla sola camera, come il legislatore aveva preteso di fare commettendo quello che è stato recentemente definito un “clamoroso errore politico-strategico” .
L’impianto maggioritario dell’italicum e l’impianto proporzionale della legge 270-2005 non possono convivere nell’ordinamento istituzionale, e quindi, essendo oggi all’esame l’italicum, è di esso che l’ordinamento dovrà liberarsi utilizzando l’occasione di questo giudizio incidentale di costituzionalità, che si celebra quando è divenuto assolutamente conclamato “a regime” ciò che era prima semplicemente prevedibile, per la sua contraddittorietà intrinseca (rispetto agli scopi della legge) ed estrinseca (rispetto all’ordinamento nel quale era destinata ad inserirsi).
Siamo ovviamente consapevoli che una decisione del genere potrebbe trovare un apparente e formale ostacolo nella circostanza che la questione sollevata dal tribunale di messina potrebbe a prima vista sembrare non avere riguardato l’italicum nel suo complesso, ma solo la specifica disposizione che ne ancorava l’applicabilità alla data del 1° luglio 2016.
E tuttavia, il fatto che il tribunale abbia dubitato di tale specifica norma, subordinandola “al se e al quando” della definitiva approvazione della revisione costituzionale, rende evidente che il dubbio riguardava tutto l’italicum a costituzione vigente, e che l’ancoraggio a quella specifica norma era in quel momento, quando era ancora in corso l’iter legislativo della revisione costituzionale, il modo corretto per dubitare dell’intero impianto legislativo.
E, se la letteralità della questione sollevata dal tribunale fosse considerata preclusiva della possibilità di dubitare della costituzionalità dell’intera legge 52-2015, potrebbe in proposito soccorrere ancora una volta il meccanismo processuale dell’autoremissione, cui la corte potrebbe ricorrere d’ufficio, come ha in passato fatto intervenendo su  questioni pregiudiziali rispetto alle singole questioni già all’esame.
Diversamente ragionando, ne conseguirebbe che al danno costituito dalle innumerevoli lesioni ai diritti costituzionali, attivi e passivi, dei ricorrenti, oltre che di tutti gli elettori, si aggiungerebbe la beffa costituita dall’averlo fatto senza neppure conseguire il conclamato obiettivo della governabilità.
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5) auspicio conclusivo: ripristinare il  consultellum, con implicito suggerimento al parlamento
Se la corte riterrà quindi di adottare un intervento totalmente demolitorio, per una delle due ragioni testé esposte, sarà allora agevole ridare all’italia una legislazione elettorale autoapplicativa.
Ed e’ appena il caso di osservare che un intervento di tal genere, eliminando del tutto l’italicum e riportando indietro le lancette dell’orologio all’indomani della sentenza n. 1-2014, sarebbe il miglior viatico perche’ il parlamento si sentisse investito della necessita’ di riformulare una nuova normativa elettorale, nell’esercizio di quella quota di sovranita’ che il popolo gli ha delegato in occasione delle ultime elezioni, sia pure coi limiti cui abbiamo accennato.
E tuttavia, questa volta rendendo espliciti alcuni parametri costituzionali, auspicabilmente più precisi di quanto non sia stato fatto nella sentenza n. 1-2014, e che il parlamento ha preferito ignorare o travisare.
La normativa di risulta sarà in tal caso quella risultante dalla sentenza n. 1-2014, sia per la camera sia per il senato, e per quest’ultimo, se così riterrà la corte, con in più l’eliminazione delle eccessive soglie di accesso, a suo tempo non scrutinate perché non comprese nell’ordinanza di remissione, e oggi invece ritualmente impugnate.
Rappresentanza politica, partecipazione democratica, voto libero, diretto ed eguale sono le pietre angolari del sistema democratico disegnato nella costituzione, ne definiscono la natura e la forma e sono i parametri di valutazione di ogni normativa elettorale che ha l’obbligo di attuarli, e, se non lo fa, deve essere ricondotta ai canoni costituzionali.
L’essenza della democrazia, quella con la d maiuscola, è la contendibilità del potere, del cui esito l’unico decisore è il popolo, chiamato periodicamente a esercitare la sua sovranità, sancita dal secondo comma dell’art. 1 cost., in libere elezioni che devono di volta in volta svolgersi attraverso una competizione non suggestionata da regole elettorali che siano, o anche solo possano apparire, predisposte per favorire qualcuno, o danneggiare qualcun altro, o per impedire ad altri ancoradi affacciarsi sulla scena politica.
Con la legge 270, approvata alla fine del 2005, quella definita “porcellum” dal suo stesso principale autore, si era chiaramente perseguito lo scopo di rendere impossibile la vita alla coalizione che, sulla base di tutti i sondaggi, si apprestava a vincere le elezioni del 2006, come poi è effettivamente accaduto a quella legislatura, sciolta dopo appena due anni,
E la legge 52 del 2015, l’italicum e’ nata, almeno nel patto d’origine, coi seguenti presupposti:
“1) sterilizzare le chances elettorali di un nuovo movimento politico;
2) restringere la competizione elettorale a due soli protagonisti;
3) mantenere il controllo dei rispettivi partiti attraverso la nomina dei parlamentari
Esattamente il contrario di ciò che dovrebbe fare una buna legge elettorale, il cui scopo dovrebbe invece essere quello di:
1) non danneggiare alcuno dei soggetti in campo;
2) consentire la partecipazione nuovi soggetti politici per implementare la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica;
3) garantire la contendibilità interna ai soggetti politici.
I boatos mediatici di questi giorni, specie quelli dei giornali economici, provando ad attribuire alla corte i loro propri desideri, hanno cercato di  abituarci all’idea che il presente scrutinio di costituzionalità sia destinato a concludersi con la sola eliminazione del ballottaggio e della discrezionalita’ post-voto dei pluricandidati plurieletti; che e’ qualcosa, ma che non basta per rimettere insieme il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni.
Uno scenario minimalista che sembrerebbe fatto apposta per perpetuare la situazione di questo parlamento, in cui centinaia di deputati e di senatori sono passati da una parte all’altra, non gia’ per avere cambiato idea (cosa piu’ che lecita) ma solo per avere cambiato convenienza (cosa assolutamente immorale).
A noi corre il dovere di dire a voi, che siete i giudici di ultima istanza, che salvare la soglia del 40% al primo turno di votazione vorrebbe dire generare un sistema in cui:
-    un solo competitore può vincere;
- un altro, se gli va bene, può solo pareggiare;
-   un terzo è comunque destinato a perdere;
- e nessun altro può ardire di affacciarsi sulla scena elettorale, proponendo una nuova e diversa piattaforma politica;
Vorrebbe dire, in conclusione, sclerotizzare il sistema politico, contribuendo al crescente distacco dei cittadini dalle istituzioni, di cui tanto si parla per stigmatizzarla, savo poi fare di tutto per provocarlo.
Non e’ vero che i cittadini non vogliono partecipare; non appena gliene si da la possibilita’, quando si rendono conto che il loro voto vale comunque qualcosa, gli elettori si recano in massa alle urne, come hanno fatto nell’ultima occasione referendaria.
Ma se si accorgono che il loro voto vale poco o nulla, se non possono esprimere le loro convinzioni a favore di un partito o di un candidato, se sono tutt’al piu’ costretti a votare solo contro qualcun altro, allora il distacco si accresce e a soffrirne sono le istituzioni, la loro credibilita’, e nessun organo dello stato puo’ pensare di restarne indenne.
Se cosi’ fosse, se l’italicum superasse, anche solo in parte, lo scrutinio di costituzionalita’, questo scenario manterrebbe al paese l’apparenza della democrazia, ma ne negherebbe la sostanza; che e’ poi cio’ che e’ avvenuto nel momento in cui questo parlamento si e’ fatto lecito di varare una nuova costituzione che il popolo ha rigettato, e una legge elettorale che ha reiterato i difetti ai quali la sentenza n.1-2014 aveva pensato di aver posto rimedio, quei difetti da cui ho preso le mosse in questo mio intervento, che sto per concludere.
Ciascuno di voi, signori giudici, si e’ guadagnato per il suo percorso professionale nelle istituzioni della repubblica, il rispetto della comunita’ nazionale, e proprio in ragione di cio’ a ciascuno di voi ora tocca il compito di “dire la costituzione” in questo caso concreto, come ai giudici di ogni ordine e grado tocca di “iuris dicere”, di “dire il diritto secondo la legge”, e questa legge sara’ quella che voi, che ne siete i giudici, vorrete dire.
E che e’ poi cio’ che ha mosso tanti volenterosi cittadini e tanti generosi avvocati, gli uni e gli altri per mero spirito civico, a promuovere i giudizi che ci hanno portati sin qui..
E quindi, al di la’ delle tecnicalita’ attraverso cui una decisione totalmente demolitaria puo essere adottata, la ragione sociale del vostro compito, di cui noi ricorrenti e difensori siamo solo l’occasionale strumento, e’ quella di restituire agli italiani la sovranita’ che le ultime leggi elettorali hanno espropriato, ed e’ quella di ripristinare i danni provocati dai continui furti di democrazia che il popolo sovrano subisce da anni.
La vostra decisione deve rispondere alle aspettative di un popolo, che ha il diritto di esercitare la sua sovranita’, nei modi e termini stabiliti dalla costituzione, che e’ la carta fondativa del patto sociale, e non nei modi e termini che possano convenire agli attori politici del momento, quali che essi siano.
Ed e’ per questo che auspico che la vostra decisione faccia precipitare l’italicum nel cestino (stavo per dire nella pattumiera)  della storia, a cui l’ha destinato, il voto referendario del 4 dicembre, che ha bocciato sonoramente l’italicum insieme alla riforma costituzionale, per il combinato disposto tante volte evocato e che gli italiani, anche quelli digiuni di diritto, hanno ben compreso.
A quel punto, dopo che l’arbitro avra’ fischiato il fallo, le squadre in campo torneranno a giocare la loro partita, con regole piu’ chiare, sapendo che c’e’ qualcuno che guarda, vede e, all’occorrenza, interviene.
E, se cosi sara’,  penso che i giocatori di quelle squadre staranno in futuro piu’ attenti!

{ Pubblicato il: 23.01.2017 }




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