Faccio parte del gruppo di avvocati c.d."antitalicum" che ha promosso 22 ricorsi dinanzi a 22 tribunali italiani per sentir dichiarare il diritto dei cittadini elettori di votare secondo Costituzione, palesemente violato dall'Italicum.
Dopo il No del 4 dicembre che ha fragorosamente bocciato la connessa riforma costituzionale celebrativa del funerale del senato elettivo prima che defungesse, il 24 gennaio, 27 avvocati provenienti da Messina, Torino, Genova, Trieste, Perugia si sono dati appuntamento nell'aula di udienza pubblica della Corte costituzionale, chiamata a decidere.
Avvocati anche di lunga o lunghissima esperienza amici di lunga data o divenuti amici nel corso della battaglia giudiziaria iniziata nei primi mesi del 2016. Dopo il tribunale di Messina, quello di Torino, e via via gli altri, avevano deciso di interrogare la Corte costituzionale.
Ispirandoci alla lezione dell'avv. Aldo Bozzi che per primo nel 2008, tenacemente con 27 cittadini milanesi affrontò, con gli avvocati Tani e Besostri, tre gradi di giudizio che solo a dicembre 2013 portarono al suicidio del Porcellum a opera della Consulta con la sentenza 1/2014, abbiamo sempre avuto di mira una legge elettorale senza premi, tanto più se arbitrari e irragionevoli e, con l'Italicum, prodotto di un Parlamento sostanzialmente delegittimato.
Ritenendo incomprensibile che si debba alterare il risultato elettorale al solo scopo di consentire a un solo partito di governare: uno scopo antidemocratico.
Avendo sempre avuto di mira la restaurazione della forma parlamentare di governo e delle prerogative presidenziali, minacciate e compromesse dalla pretesa di sapere la sera stessa delle elezioni, se non anche il giorno prima, chi governerà il Paese in forza dell'irragionevole premio,e chi siederà in Parlamento in virtù del sistema dei capilista nominati e della loro candidatura multipla in più collegi.
L'emozione era forte, il clima dell'attesa dell'udienza e della sua preparazione febbrile e a un tempo sereno. Sembrava di sentire dentro di noi le parole di Piero Calamandrei nel suo Elogio dei giudici: "Da quarant'anni faccio l'avvocato e ogni volta che devo discutere ringiovanisco: perchè prima di cominciare provo allo stomaco quello struggimento che provavo da studente prima di entrare nella stanza dell'esame, e poi, appena ho cominciato, quella specie di eccitazione inebriante che anche allora provavo dinanzi agli esaminatori".
E dopo la discussione orale, ci fu tra di noi uno sguardo che sembrava ancora l'eco della penna del grande giurista fiorentino, quasi per tenerci su in un momento di grande responsabilità, di chi, indossando la toga forense si era speso come i grandi oratori della Roma repubblicana, per difendere grandi principi di civiltà democratica e liberale, contro il sopruso di un legislatore improvvido e arrogante; "Questi sono i giorni di festa dell'avvocato: quando si accorge che, contro ogni espediente dell'arte o dell'intrigo, più vale, modestamente e oscuramente, l'aver ragione".
L'attesa un po' ansiosa della sentenza, dopo che ci siamo lasciati con grandi abbracci, come i giocatori di una squadra di calcio in trasferta dopo la partita, si è parzialmente conclusa nel pomeriggio del giorno dopo, con il comunicato stampa della Consulta che sintetizza la decisione.
Attendendo di leggere le motivazioni, come ha pubblicamente dichiarato l'avv. Enzo Palumbo, difensore dei messinesi, certamente "avremmo voluto che questa legge elettorale, fatta con un procedimento di dubbia costituzionalità, che rimane, e che ha messo tra parentesi la rappresentanza reale del Paese, venisse eliminata come un incidente della storia. Così non è stato, la Corte ci spiegherà il come e il perché non lo ha fatto".
Ma per vedere se il bicchiere è quasi pieno è pur vero che:
1. Non è più legge dello Stato l'Italicum. Smentendo, dopo la batosta referendaria, Renzi che il 23 marzo 2015 dichiara al Sole 24 ore "Se ci rivediamo tra cinque anni con la legge elettorale provata e sperimentata vedrete che quella legge elettorale sarà copiata da mezza Europa".
2. la Consulta "ha accolto le questioni, sollevate dai tribunali di Torino, Perugia, Trieste e Genova, relative al turno di ballottaggio", in assenza di una qualunque soglia, "dichiarando l'illegittimità costituzionale delle disposizioni che lo prevedono", nonché la questione sollevata dagli stessi tribunali "relativa alla disposizione che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d'elezione."
Non senza apparente sostanziale contraddizione, forse derivante da soli motivi formali di pertinenza con il contenuto e i limiti delle ordinanze dei 5 tribunali remittenti, con la diversa decisione 1/2014 che bocciò tout court e senza appello i capilista bloccati, sottraendo alle segreterie di partito l'indicazione dei nominati, la Consulta ha comunque bocciato la norma odiosa per cui un capolista eletto in più seggi poteva scegliere "a propria discrezione" il collegio d'elezione, insulto pesante alla rappresentanza democratica.
Mantenendo il premio di maggioranza, sia pure con soglia del 40% al primo turno, è stato eliminato il ballottaggio e unicamente la discrezionalità di scelta del collegio dei candidati plurieletti, resuscitando una norma del 1957 che prevedeva che, in assenza di opzione, si andasse a sorteggio.
Norma che si riferiva a un sistema elettorale completamente proporzionale e prevedeva, in caso di elezione in 3 diverse circoscrizioni alla Camera, indipendentemente dall'essere capolista, giacchè era possibile la preferenza, o in 3 diversi collegi al Senato, nella stessa Regione, e per l'ipotesi di mancata opzione, l'ora redivivo sorteggio.
Con la legge rimasta in piedi, i due terzi dei deputati della Camera sarebbero composti da nominati. Per queste ragioni, l'udienza del 24 e la sentenza della Consulta sono una tappa di un percorso non ancora concluso.
Importante e fondamentale in quanto il meccanismo della democrazia parlamentare rappresentativa è stato rimesso in piedi, ma con ancora qualche zoppia da rimuovere, anche in via processuale e soprattutto attraverso la mobilitazione dei tanti che votando No al referendum del 4 dicembre hanno inteso e intendono far sentire la propria voce. A cominciare dall'armonizzazione dei due metodi elettorali, per ora ancora distonici, tanto per la Camera che per il Senato.
Verso la riconquista di una democrazia parlamentare pienamente rappresentativa, con una legge elettorale legittima e coerente al dettato costituzionale, attenta a garantire sia la formazione di maggioranze, sia la rappresentanza.
Avendo nella mente quanto affermato nella fondamentale sentenza che "desuinizzò" il Porcellum: "l'obiettivo di rilievo costituzionale" qual è la stabilità del governo, non può essere perseguito al prezzo di "una compressione della funzione rappresentativa dell'assemblea nonché dell'eguale diritto di voto, eccessiva e tale da procurare un'alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica" (cfr. sentenza n. 1-2014).
E ricordando, con quella fondamentale decisione, che l'Assemblea Costituente, "pur manifestando, con l'approvazione di un ordine del giorno, il favore per il sistema proporzionale nell'elezione dei membri della Camera dei deputati, non intese irrigidire questa materia sul piano normativo, costituzionalizzando una scelta proporzionalistica o disponendo formalmente in ordine ai sistemi elettorali, la configurazione dei quali resta affidata alla legge ordinaria" (sentenza n. 429 del 1995).
Non c'è, in altri termini, un modello di sistema elettorale imposto dalla Carta costituzionale, in quanto quest'ultima lascia alla discrezionalità del legislatore la scelta del sistema che ritenga più idoneo ed efficace in considerazione del contesto storico.
Ma proprio per questo, per scongiurare in radice la possibilità stessa di nuovi colpi di mano, di riforme di sistema imposte a colpi di maggioranza che riguardino la forma di governo e di stato, è ora necessario mettere in sicurezza l'impianto, rafforzando il meccanismo della rivedibilità costituzionale di cui all'art.138, con la previsione di una maggioranza parlamentare qualificata e di un referendum popolare confermativo.
Come sollecitato sin dal 1995 da un indimenticato Maestro. Leopoldo Elia, che in tal modo intendeva prevenire il rischio di premierato assoluto insito nel principio di semplice maggioranza. La tirannide della maggioranza di Alexis de Tocqueville. Certo è che il sistema elettorale non è esente da controllo, essendo sempre censurabile in sede di giudizio di costituzionalità quando risulti manifestamente irragionevole o lesivo di principi assoluti.
Cosa c'entra con tutto ciò il barbiere del Prof. Lorenzo Acquarone, cattedratico insigne e difensore dei genovesi finiti in Corte a seguito dell'ordinanza emessa dal tribunale di Genova? C'entra, eccome!
Quasi tutta la discussione orale in udienza è stata dedicata, non meno del 70% delle parole (ci vorrebbe un'analisi specifica) al problema dell'interesse ad agire e dell'ammissibilità dei ricorsi, contestata dall'Avvocatura generale dello Stato su mandato del governo (che bene avrebbe fatto a mantenere la promessa di tenersi distante dalla legge elettorale, anche in sede giurisdizionale).
Il principio passato con la decisione della Corte, che ha respinto l'eccezione, che costituisce ora jus receptum, anche alla stregua della sentenza 1/2014 della Corte Costituzionale. È che la tutela costituzionale dei diritti fondamentali indisponibili perché assoluti, come in materia elettorale e non solo, non può mai essere pregiudicata.
E che non è lecita l'introduzione di norme che possano pregiudicarli indipendentemente dalla loro applicazione in concreto. Le applicazioni di un tal principio sono potenzialmente tante e aprono spazi ampi a una più solida tutela concreta dei diritti fondamentali, in un sistema come il nostro che ancora non prevede l'accesso diretto alla Corte costituzionale, come in Spagna o in Germania, né Istituzioni terze di rango costituzionale, preposte a garantire l'effettività dei diritti fondamentali, come il Defensor del pueblo spagnolo o il Défenseur des droits francese.
Insomma, ha fatto scuola l'insegnamento del barbiere del Prof. Acquarone, al quale potremmo intitolare il principio. Non occorre che la sentenza capitale venga eseguita prima di rimuovere la legge che l'abbia prevista.
Lorenzo Acquarone nella sua dotta arringa ha riferito l'espressione al suo barbiere genovese, incontrato in bottega il giorno prima dell'udienza,per confutare la tesi dell'Avvocatura che pretenderebbe che si vada al voto prima di contestare la legge incostituzionale e valutare se la stessa legge abbia arrecato danno (come avvenuto 3 volte col Porcellum).
"Il mio barbiere - ha detto Acquarone - mi ha chiesto: Dunque, se si fa una legge sulla pena capitale, per sapere se è costituzionale bisogna prima aspettare che sia applicata la pena di morte e poi, una volta che il condannato è morto, decidere se era o no costituzionale?".
A proposito di bicchiere quasi pieno, le leggi incostituzionali non si possono mai applicare, ha detto la Corte!
[da www.huffingtonpost.it]
{ Pubblicato il: 07.02.2017 }