La Camera dei deputati,
premesso che:
l’articolo 7 della Costituzione riconosce che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, stabilendo che i loro rapporti siano regolati su base paritetica secondo il principio concordatario;
la scelta della forma pattizia, ancorché svolgentesi al livello dell’autonomia e non della sovranità, è confermata per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica dall’articolo 8 della Costituzione, che prevede a tal fine lo strumento dell’intesa;
rientra tra i principi fondamentali del nostro ordinamento, in nessun modo derogabili neppure da altre fonti costituzionali, il principio della laicità dello Stato, «che implica, tra l'altro, equidistanza e imparzialità verso tutte le religioni, secondo quanto disposto dall'art. 8 Cost., ove è appunto sancita l'eguale libertà di tutte le confessioni religiose davanti alla legge» (ex plurimis Corte cost. n. 168 del 2005), per quanto non sia da intendere «come indifferenza dello Stato di fronte all’esperienza religiosa, bensì come tutela del pluralismo, a sostegno della massima espansione della libertà di tutti, secondo criteri di imparzialità» (ex plurimis Corte cost. n. 67 del 2017);
rilevato che:
in ragione della particolare natura dell’ordinamento canonico, possono verificarsi situazioni di concorrenza tra esso e l’ordinamento dello Stato italiano nell’ambito delle materie regolate dall’uno e dall’altro per le sfere di rispettiva competenza (materie miste);
in tali casi, l’attuazione del principio concordatario si esplica pienamente attraverso la collaborazione leale e paritaria tra le due istituzioni nel perseguimento dei rispettivi fini, concorrenti al pieno sviluppo della persona umana nell’ordine che a ciascuna è proprio;
nell’ambito delle materie miste, l’individuazione di mezzi e forme regolate di cooperazione rappresenta non soltanto uno strumento di prevenzione e risoluzione di interferenze reciproche, ma anche un efficace mezzo per armonizzarne l’azione, con utilità per le istituzioni medesime e per l’intero corpo sociale, nel rispetto dei distinti ma non contrapposti fini, in conformità al principio pattizio sancito dalla Carta costituzionale;
lo stesso esercizio delle funzioni di natura amministrativa e giurisdizionale degli ordinamenti civile e canonico, nelle situazioni concrete in cui si realizza, può comportare momenti di interazione o di opportuna cooperazione, in particolare in casi nei quali l’accertamento di condotte penalmente rilevanti per l’ordinamento dello Stato italiano come per il diritto canonico tenute da soggetti sottoposti a entrambe le giurisdizioni potesse giovarsi di atti e materiale probatorio eventualmente esistenti presso il giudice ecclesiastico;
a questo riguardo si può richiamare l’articolo 4, numero 4, dell'accordo firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, reso esecutivo con legge 25 marzo 1985, n. 121, il quale, riproducendo sostanzialmente l’articolo 7 del Concordato dell’11 febbraio 1929, stabilisce che «Gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero»;
tale disposizione costituisce, per gli ecclesiastici cattolici, norma speciale – quanto al diritto processuale penale dello Stato – rispetto alla disciplina del segreto professionale regolata dall’articolo 200 del codice di procedura penale, in forza del quale «Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria:
a) i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano;
b) gli avvocati, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici e i notai;
c) i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria;
d) gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale»;
l’esposta disciplina, che garantisce in particolare, ma non esclusivamente, il segreto sacramentale della confessione, certamente intangibile in quanto pertinente in modo proprio e riservato all’ordine spirituale della Chiesa, potrebbe altresì venire in rilievo nei riguardi dell’ecclesiastico il quale – in virtù del principio di territorialità – fosse soggetto alla giurisdizione dello Stato italiano, in relazione a fatti conosciuti nell’ufficio di giudice ecclesiastico da esso rivestito, ossia nell’esercizio di una funzione connessa alla potestas ordinis et iurisdictionis;
in particolare, la necessità di una maggiore collaborazione, rispetto alla messa a disposizione delle autorità competenti (anche) nell’ordinamento dello Stato italiano delle notizie acquisite dall’ecclesiastico nei limiti appena indicati è emersa in relazione ai reati di pedofilia, particolarmente odiosi e diffusi anche negli ambienti ecclesiastici;
rispetto a questo fenomeno, le reazioni degli ambienti ecclesiastici sono state molto diverse, per quanto si debba riconoscere, negli ultimi anni, una maggiore sensibilità favorita anche dall’attenzione degli ultimi Pontefici. In particolare, Papa Francesco, nel 2014, ha istituito la Pontificia Commissione per la protezione dei minori, presieduta dal cardinale di Boston, il cappuccino Sean Patrick O’Malley, che ha precisato poche settimane fa come «I crimini e i peccati degli abusi sessuali sui bambini non devono essere tenuti segreti mai più. Garantisco la zelante vigilanza della Chiesa per proteggere i bambini e la promessa della piena responsabilità per tutti», precisando altresì che «Noi, il Presidente e gli altri Membri della Commissione, desideriamo affermare che i nostri obblighi ai sensi del diritto civile devono essere rispettati, certamente, ma anche al di là di tali vincoli, abbiamo tutti la responsabilità morale ed etica di denunciare gli abusi presunti alle autorità civili che hanno il compito di proteggere la nostra società»;
la corretta applicazione del principio costituzionale d’indipendenza e sovranità dello Stato e della Chiesa nei rispettivi ordini richiederebbe di ricercare la soluzione per tali casi nella prospettiva interordinamentale e internazionalistica nella quale si esplica l’istituto concordatario;
il mezzo proprio e idoneo a una coerente e compiuta regolazione degli aspetti sopra descritti si rinviene nello strumento dell’accordo di mutua assistenza e di cooperazione giudiziaria, ampiamente ed efficacemente impiegato nei rapporti tra gli ordinamenti statuali;
tale strumento, con iniziativa certamente innovativa ma perfettamente coerente con l’assetto concordatario previsto dalla Costituzione, ben potrebbe adottarsi per regolare i rapporti tra gli organi della giurisdizione dello Stato e della Chiesa, limitatamente alle materie in cui possa verificarsi un concorso di competenze, sia quanto all’esecuzione delle sentenze, sia quanto all’assistenza in relazione ai procedimenti penali;
l’articolo 13, numero 2, del citato accordo firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, prevede che «Ulteriori materie per le quali si manifesti l'esigenza di collaborazione tra la Chiesa cattolica e lo Stato potranno essere regolate (…) con nuovi accordi tra le due Parti»;
ritenuto che:
nel rispetto della complessità e del pluralismo che caratterizza le società moderne, lo sviluppo di forme di cooperazione tra le istituzioni civili e religiose, nei limiti posti dalla rispettiva autonomia e salva la fondamentale distinzione dei fini che a ciascuna appartengono, può contribuire a garantire i diritti inviolabili dell’uomo secondo l’articolo 2 della Costituzione e l’ordinato soddisfacimento delle esigenze della persona e all’evoluzione armonica della convivenza civile e dello sviluppo umano nei suoi aspetti morali e culturali, favorendo il libero concorso di ogni individuo al progresso materiale o spirituale della società;
sussistono casi e situazioni di comune competenza e potenziale interferenza tra gli ordinamenti civile e canonico, tra i quali emergono, con particolare riferimento alla sfera penale, fattispecie che sono o possono divenire rilevanti per ambedue gli ordinamenti, quali – a titolo di esempio – i delitti di omicidio (articoli 575 e seguenti del codice penale; Codex iuris canonici, can. 1397), di violenza sessuale (articoli 609-bis del codice penale; Codex iuris canonici, can. 1395, § 2), commessi da ecclesiastici, ovvero il delitto di falso (Codex iuris canonici, can. 1391), qualora l’atto pubblico ecclesiastico falso o alterato sia impiegato a fini o in circostanze rilevanti per il diritto dello Stato (articoli 482 e 489 del codice penale);
tra questi delitti emergono, come abbiamo già ricordato, i casi di abuso sessuale commessi in danno di minori, non solo per la riprovazione e il disorientamento suscitati nell’opinione pubblica, ma anche per la gravità dei danni psicologici e morali che ne derivano a carico delle vittime, con ferite interiori profonde e durevoli che possono talora segnarne la vita intera, tanto più reprensibili, se commessi da ecclesiastici, sia per la violazione della fiducia riposta nella rettitudine della loro condotta, sia per il discredito che ne proviene, sia per la dolorosa antitesi con la dottrina e la morale evangelica, ai quali l’ordinamento penale canonico ha progressivamente reagito attraverso la più precisa ed estesa definizione delle fattispecie, l’aggravamento delle pene e il notevole ampliamento del termine di prescrizione (da ultimo con gli articoli 6 e 7 delle Normae de gravioribus delictis approvate con rescritto del Pontefice Benedetto XVI il 21 maggio 2010);
con riferimento a tali casi e situazioni, l’instaurazione concordata di forme di collaborazione tra l’ordinamento dello Stato e quello della Chiesa può risultare utile e opportuna, sia per agevolare l’esercizio delle funzioni dei rispettivi organi, sia per conseguire la piena tutela dei valori giuridici e dei diritti delle persone coinvolte, specialmente delle vittime di reati la cui punibilità sia prevista da entrambi gli ordinamenti secondo le competenze a ciascuno proprie,
impegna il Governo
ad assumere le necessarie iniziative, in conformità all’articolo 13, numero 2, dell’accordo firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, ratificato ai sensi della legge 25 marzo 1985, n. 121, per promuovere la negoziazione di un accordo con la Santa Sede, nella qualità di supremo organo di governo della Chiesa cattolica, che, nel rispetto dell’indipendenza degli ordinamenti civile e canonico e della distinzione della sfera propria a ciascuno riservata secondo i princìpi della Costituzione, disciplini – eventualmente, ove ritenuto congruo dalle Parti, mediante protocollo aggiuntivo al vigente Concordato secondo le procedure di cui all’articolo 7, secondo comma, della Costituzione – gli aspetti della cooperazione e della mutua assistenza giudiziaria tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica nell’esercizio delle funzioni dei rispettivi organi giurisdizionali e, per quanto attiene in particolare alla materia penale, limitatamente alle fattispecie di doppia incriminazione rilevanti per entrambi gli ordinamenti, ferma restando comunque la vigente disciplina del riconoscimento civile delle sentenze ecclesiastiche in materia matrimoniale.
{ Pubblicato il: 09.05.2017 }